La Costituzione della Repubblica romana (1849): una Costituzione moderna e attuale. Di Paolo Manzia.

Aurelio Saffi.

Un vento vigoroso, fresco e prepotente ha attraversato l’Europa nel corso del XVIII secolo. Le grandi monarchie erano impegnate a consolidare posizioni territoriali all’interno del continente e soprattutto nelle colonie, guerre prive di ideologie, mirate solo al consolidamento dell’aspetto economico e territoriale.

Lo scenario storico e i conflitti che hanno caratterizzato il secolo XVII hanno di fatto creato il quadro geopolitico del secolo successivo sul quale si è innestata l’evoluzione storica, filosofica e sociale dalla quale è sorta anche la Repubblica Romana.   Sopra a questo scenario, partendo dall’Inghilterra, ma trovando in Francia il terreno più fertile su cui attecchire, l’illuminismo, cavalcando la rivoluzione industriale, poneva l’individuo al centro del pensiero attraverso la luce della sua ragione e apriva possibilità fino ad allora riservate a pochissime menti eccelse che spesso hanno pagato con la vita, come Giordano Bruno, la loro libertà intellettuale.

PREMESSE STORICHE: IL XVIII SECOLO

Le guerre che hanno caratterizzato il ‘700 hanno visto, a Nord, la Russia di Pietro I sconfiggere la Svezia nel 1709 a Poltava e ottenere Estonia, Lettonia, Livonia e Carelia ai danni degli scandinavi che le persero definitivamente.

A Sud Est il declino dell’Impero Ottomano si concretizzò tra la fine del ‘600 e i primi anni del ‘700 con una serie di conflitti contro l’Austria, dove rimase sempre sconfitto perdendo l’Ungheria, la Dalmazia, e, per un certo periodo, anche la Serbia. Il generale che guidò le truppe austriache era l’italiano Eugenio di Savoia.

Molto importanti nella definizione dello scenario geopolitico furono le tre guerre di successione.

La guerra di successione spagnola all’inizio del XVIII° secolo, dopo la morte di Carlo II° d’Asburgo nel 1700, vide contendersi il trono iberico Filippo di Borbone, nipote di Luigi XIV e Carlo D’Asburgo, figlio dell’Imperatore Leopoldo I° d’Austria. Spagna e Francia, che sostenevano Filippo di Borbone, combatterono contro Austria, Ducato di Savoia, Inghilterra e Prussia, sostenitrici della casata d’Asburgo, alla fine la Spagna perse tutti i suoi domini in Italia e in Belgio. La Sicilia fu assegnata per un breve periodo al controllo dei Savoia, la Sardegna e la zona peninsulare passarono all’Austria. L’Inghilterra strappò alla Spagna Gibilterra e Minorca, mentre Filippo di Borbone divenne Re di Spagna con il nome di Filippo V.

Nel 1717 la Spagna, appoggiata dal Ducato di Savoia, tentò di riconquistare il regno di Napoli. L’Austria non rimase a guardare e fece una forte pressione politica sul Ducato Sabaudo obbligandolo a cedere la Sicilia in cambio della Sardegna, allora considerata arida e poco popolosa. Da quel momento il Ducato di Savoia prese il nome di Regno di Sardegna.

La guerra di Successione Polacca (1733 – 1735) ebbe una particolare importanza perché lo scenario bellico si svolse principalmente in Italia. Federico Augusto di Sassonia, figlio del defunto re Augusto II si contendeva il trono con Stanislao Leszczyński, il primo appoggiato da Austria e Russia e il secondo da Svezia e Francia. Leszczyński fu eletto dalla Dieta Polacca, ma la minoranza invocando il principio dell’unanimità, chiese l’intervento dei Russi che ottennero una seconda elezione favorevole a Federico Augusto di Sassonia. Come sempre, di fronte a conflitti interni, altri cercano di approfittarsene e così fece la Francia che, insieme al Piemonte e alla Spagna, erano intenzionati ad accrescere possedimenti a danno degli Asburgo. Le forze Franco-Piemontesi occuparono la Lombardia fermandosi davanti a Mantova, mentre la Spagna, che sperava nella assegnazione della Toscana dove erano sbarcate le sue truppe, nelle more degli accordi, mosse con successo alla conquista di Napoli e della Sicilia.

La guerra di successione austriaca nacque perché Carlo VI d’Asburgo, non avendo figli maschi, modificò la Legge con la Prammatica Sanzione del 1713 aprendo il trono anche alle donne. Forte fu la resistenza da parte dei nemici storici dell’Austria e da parte della Nobiltà, ma Maria Teresa d’Austria divenne imperatrice governando bene in difesa della sua patria, sebbene registrando perdite territoriali importanti.

La Slesia fu conquistata dalla Prussia e la Lorena fu affidata a Stanislao Leszczyński stabilendo che alla sua morte sarebbe passata alla Francia.

In Toscana invece, estinta la dinastia medicea, si decise che il Granducato sarebbe passato ai duchi di Lorena, imparentati con gli Asburgo, che divennero quindi Principi di Toscana e la regione di fatto passò sotto il controllo austriaco.

Fu importante nel secolo la Guerra dei Sette Anni (1756 – 1763) che vide confliggere Prussia e Inghilterra contro Francia, Austria, Svezia e Russia.

L’Austria era decisa a riprendersi la ricca regione mineraria della Slesia e per fare ciò non esitò ad allearsi con la nemica storica, la Francia. La Prussia reagì immediatamente e l’Inghilterra la seguì con l’intento di indebolire territorialmente i francesi. In Europa non comportò grossi modifiche di assetto, ma il conflitto si spostò nelle colonie dove in Nord America gli inglesi cercarono di cacciare i francesi, che però prevalsero, e conquistarono il Canada, mentre nelle Indie la Compagnia Coloniale Inglese prevalse su quella francese conquistando il monopolio commerciale con l’India che divenne una colonia dell’Inghilterra. Così si posero le basi dell’impero coloniale inglese del 1800.

Di fatto possiamo dire che la guerra dei 7 Anni, fu la prima vera guerra mondiale della storia.

La situazione in Italia era così delineata: il Regno di Sardegna, con un forte esercito occupava il Nord Ovest e l’Isola, gli austriaci erano in Lombardia, dove favorirono un forte sviluppo economico e commerciale partendo dallo sviluppo e dalla buona gestione del patrimonio immobiliare, i Borbone, nel Regno di Napoli, fecero un accordo con la Chiesa per modernizzare il Regno anche contro la resistenza della nobiltà e dei latifondisti, la Toscana degli Asburgo Lorena cambiò di poco la situazione, e, mentre la Repubblica di Venezia era in pieno declino, solo nello stato della Chiesa tutto rimase politicamente inalterato.

EVOLUZIONE FILOSOFICA DEL XVIII SECOLO

E’ in questo scenario che, traendo le proprie origini dalla rivoluzione scientifica sorta nel ‘600 con Galileo Galilei, l’Illuminismo prende forma e vitalità manifestandosi in tutti i campi della scienza, della cultura, dei rapporti con la religione e della politica e il movimento era tanto più forte, quanto più erano opprimenti le classi dominanti dell’epoca. I principi manifestati erano l’opposto dell’epoca assolutista: eguaglianza tra gli individui, libertà di pensiero, libertà di movimento attraverso ogni confine.

Locke, Leibniz e quindi Kant, Voltaire, Rousseau, Montesquieu furono alcuni tra i nomi di spicco che abbracciarono il movimento illuminista.

L’approccio non può fare a meno del razionalismo, del materialismo, del sensismo e del meccanicismo: ogni conoscenza nasce dalla ragione umana, solo la materia in perenne trasformazione ne costituisce la realtà, tutti i fenomeni avvengono per un rapporto causa/effetto, solo l’esperienza sensibile è quella esistente, mentre non esiste alcun fine prestabilito o disegno divino. Ne deriva una inevitabile laicità nel concetto di Stato, cresce la meritocrazia nella selezione della classe dirigente che non è più scelta da Dio ma cresce per i suoi meriti.

Il “lume naturale” della ragione e della scienza si estrinsecò anche nella tolleranza religiosa. Attenzione! L’illuminismo non nega la religione, ma manifesta anticlericalismo laddove la religione è strumento dogmatico di sottomissione del popolo. Così incontra la corrente del Deismo, cioè ricondurre sotto il controllo della ragione gli elementi soprannaturali e irrazionali delle religioni, sostenendo comunque l’esistenza di un essere creatore che però si manifesta con comportamenti umani.

Cosmopolitismo, separazione dei tre poteri statali (legislativo, esecutivo e giudiziario) e Sovranità Popolare caratterizzano la funzione del potere originario di ogni Stato.

Il pensiero Illuminista si preoccupò anche della sua diffusione che avvenne attraverso, la Libera Stampa, i luoghi di dibattito, le varie forme di scrittura, saggi, romanzi brevi, libelli accessibili ad un pubblico sempre più vasto, e in alcuni ambienti anche attraverso la nascente Massoneria. Importante è il ruolo dell’enciclopedia di Voltaire, che aveva l’obiettivo di raccogliere il sapere e per questo fu ostacolata dal Re di Francia e dal Papa con la scomunica e finì per essere stampata clandestinamente.

LE GRANDI RIVOLUZIONI DEL XVIII SECOLO

L’Illuminismo creò i prodromi ideologici di due grandi rivoluzioni.

La Rivoluzione Americana, appoggiata da Spagna Francia e Olanda, che si concluse con la pace di Parigi del 1783, dove l’Inghilterra riconobbe l’indipendenza delle ex colonie che si costituirono come Stati Uniti d’America promulgando una costituzione ancora oggi in vigore.

In Europa ci fu la Rivoluzione Francese che invece non portò originariamente alla destituzione della monarchia, bensì alla instaurazione di una monarchia costituzionale con una prima carta fondamentale datata 1791 che prevedeva il suffragio maschile per censo. Entrambe gli eventi furono caratterizzati da forti crisi economiche che in America del Nord furono affrontate dagli stati federali e, grazie ad una interpretazione corretta della rivoluzione industriale allora in atto, portarono gli Stati Uniti ad essere la potenza economica e militare attuale.

In Francia invece non ci fu una politica unitaria e nazionale dopo il 1789. Le correnti, tra foglianti, giacobini e girondini tutelavano le rispettive aree sociali e questo portò all’aggravarsi della crisi economica. Presero il sopravvento i giacobini di Robespierre che arrivarono all’arresto di Luigi XVI, alla sua decapitazione nel 1793 e a una nuova assemblea, la Convenzione Nazionale ché abolì la monarchia proclamando la Repubblica e approvando una seconda costituzione che prevedeva il suffragio universale maschile, non più legato al censo.

Purtroppo la crisi economica mordeva e molte furono le rivolte e sommosse contro il nuovo regime. La risposta fu il Comitato di Salute Pubblica che dispose il sistema del calmiere rivelatosi fallimentare in quanto capace di bloccare i redditi, ma non i prezzi e il sistema del terrore che spediva al patibolo ogni oppositore del regime compresi i borghesi che avevano condotto la rivoluzione. Il 27 luglio del 1794 Robespierre fu arrestato e successivamente ghigliottinato.

L’anno successivo fu approvata una terza costituzione ispirata dalle forze moderate e dalla borghesia dove il potere legislativo fu affidato a due camere elette su un criterio di censo dal popolo e il potere esecutivo ad un direttorio composto da 5 membri.

Il Direttorio non ebbe vita facile. Gli oppositori erano da un lato i conservatori del vecchio regime monarchico, dall’altro i Babuvisti, che si rifacevano alla “società degli Uguali” di Gracco Babeuf, che proponevano una società praticamente comunista. I fatti culminarono con la Congiura degli Uguali sventata e sedata con le solite condanne alla ghigliottina. Tuttavia il nemico peggiore restava sempre l’economia che contrapponeva il mondo urbano a quello rurale. Il Direttorio pensò di risolvere il problema con la guerra, che avrebbe compattato i francesi sotto la bandiera e avrebbe teso ad acquisire territori e ricchezze. La motivazione ideologica sarebbe stata quella di esportare il modello della Francia rivoluzionaria contro l’Europa assolutista. La Russia si era ritirata dalla vecchia coalizione antifrancese, la Prussia e la Spagna conclusero paci separate in funzione antinglese e quindi le truppe francesi non ebbero difficoltà ad invadere l’Olanda che si trasformò in Repubblica satellite, denominata Batava, e ad occupare il Belgio. Di fatto la Francia aveva ripreso in pieno la politica di espansionismo e potenza.

I Direttorio puntò quindi all’Austria e ai suoi alleati, il Piemonte. Le due armate inviate verso Vienna non ottennero grandi risultati, mentre quella, tra l’altro più debole, inviata in Italia ottenne successi strepitosi. Al comando era Napoleone Bonaparte.

DAL DIRETTORIO ALL’IMPERO – ERA NAPOLEONICA

Arrivati a questo punto dobbiamo fare una doppia cronologia storica sulle vicende che caratterizzarono la parabola Napoleonica: una che riguarda la politica espansionistica e militare del Direttorio prima, dei consoli e dell’Imperatore poi, e le vicende interne alla Francia che tra riforme e colpi di stato di fatto è diventata la nazione che ha adottato più dettati costituzionali in Europa (ben 13) in un arco di tempo relativamente breve dal 1793 al 1958. In pratica nessuno di coloro che hanno partecipato alla presa della Bastiglia ha avuto l’onore di conoscere la Repubblica Francese così come la vediamo oggi, a testimonianza che la forza dei grandi poteri mondiali non è cosa che possa essere eliminata o trasferita in pochi giorni e che la tendenza assolutista e espansionistica è sempre presente e vitale e trova anche nei popoli molti seguaci spinti da interesse personale o per seguire fenomeni di leaderismo.

Per dovere di sintesi, e per evidenziare come la Francia del dopo Rivoluzione abbia sicuramente svolto un ruolo da protagonista fino al Congresso di Vienna del 1815, vale la pena percorrere il ventennio Napoleonico su due piani paralleli anno per anno. Uno che riguarda la politica estera e l’espansionismo della Francia e l’altro che riguarda la instabile e tesissima politica interna che ha portato alla nascita dell’Impero.

IL 1796

L’ascesa militare di Napoleone inizia con l’incarico ricevuto dal Direttorio di comandare la campagna d’Italia.

Con tecniche militari innovative e soprattutto motivando le truppe con gli ideali rivoluzionari Bonaparte sconfisse i Piemontesi nel 1796 a cui tolse Nizza e Savoia con l’Armistizio di Cherasco.

Sempre nel 1796 vinse gli Austriaci entrando a Milano e arrivando fino a Trieste.

IL 1797

Il Trattato di Campoformio del 1797 firmato in prima persona da Napoleone decretò la sconfitta della Ia Coalizione Internazionale contro la Francia, sorta a partire dal 1793 dopo l’esecuzione di Luigi XVI° con successive aggregazioni e abbandoni di stati. In seguito agli accordi parte della Renania e il Belgio passarono alla Francia, la Repubblica di Venezia andò agli Austriaci e vennero create le Repubbliche Satelliti della Francia: La Repubblica Cisalpina, la Repubblica Elvetica e la Repubblica Ligure al posto di quella di Genova. Andarono alla Francia anche le Isole Ionie (Corfù, Cefalonia ecc.). Anche in Italia l’avanzata di Napoleone scatenò movimenti anti assolutisti che portarono alla creazione della Repubblica Cispadana, poi confluita nella Repubblica Cisalpina, la prima Repubblica Romana del 1798 e quella Partenopea del 1799 che seguirono l’avanzata napoleonica. Tutte queste repubbliche sorelle avevano costituzioni che ricalcavano quella francese dell’anno III° (1795) sostenute dal ceto dirigente, proprietario, nobile e borghese di ispirazione illuminista che vedeva nella Francia la nazione guida in Europa e considerava fondanti i principi della Rivoluzione.

Sul piano della politica interna francese, se fuori dei confini si garantisce solidità attraverso la progressiva creazione delle Repubbliche Sorelle, all’interno è tutt’altro che stabile.

Il potere esecutivo è sempre in conflitto con il legislativo rappresentato dalle due camere di elezione popolare e il voto del 1797 vide un forte recupero dei reazionari realisti e prevalenza dei giacobini moderati.

Il Direttorio, sempre grazie ad un’armata al comando indiretto di Napoleone, nella notte tra il 3 e il 4 settembre compie un vero e proprio “colpo di stato” anche contro se stesso. Furono epurati dal Direttorio gli elementi più moderati, arrestati i capi realisti e annullata l’elezione di 198 deputati. Ne nacque un secondo Direttorio che, come il precedente, aveva sempre il problema di una fragile economia e del debito pubblico. La politica del nuovo Direttorio fu un inasprimento delle misure contro gli oppositori e la stampa non allineata, mentre sul piano finanziario fu la dichiarazione di bancarotta, la riduzione del debito anche grazie ad un forte inasprimento fiscale. Come al solito, al fine di evitare reazioni interne, cercare di acquisire ricchezze esterne e, non ultimo, per allontanare Bonaparte che cominciava a brillare di luce propria, il nuovo Direttorio scelse la via della guerra: la Campagna d’Egitto, affidata ancora una volta a Napoleone Bonaparte.

IL 1798

E’ nel 1798 che, con l’intento di attaccare i possedimenti inglesi oltremare, il Direttorio intraprese la campagna d’Egitto dove Napoleone, prima conquistò Malta e Alessandria, per poi     spostarsi ad Est in direzione della Siria, incontrando però una prima resistenza ad opera di una guarnigione Turca nei confronti della quale i francesi riservarono un trattamento feroce dei prigionieri. Mentre la marina napoleonica non riusciva nel mediterraneo a tenere testa alla marina Inglese, la quale intercettava i mercantili con i rifornimenti destinati all’armata d’Egitto. Bonaparte restò prigioniero delle proprie conquiste.

In Italia all’inizio del 1798, in seguito all’assassinio del Generale Duphot preposto all’ambasciata francese a Roma, l’esercito Napoleonico invase lo Stato della Chiesa, dichiarando deposto il Papa Pio VI dal suo potere temporale e addirittura arrestandolo e trasferendolo in Francia dove morì poco dopo. Nacque la Repubblica Romana, primo esperimento di democrazia dalla vita estremamente effimera.

Alla fine del 1798 l’esercito napoletano, sorretto dalla marina inglese, approfittando delle fasi alterne della campagna d’Egitto, attaccò i territori della Repubblica Romana con l’intento di restituire il potere al Papa. L’iniziativa però si rivelò fallimentare e i napoletani furono sconfitti dai francesi i quali occuparono il Regno di Napoli. Il re Ferdinando IV riparò a Palermo accompagnato personalmente dall’Ammiraglio Nelson con la sua nave Vanguard.

Nella politica interna francese il Direttorio, oltre alla tecnica della guerra di espansione, nelle elezioni del 1798 usò il pugno di ferro ed invalidò la nomina di un centinaio di deputati ostili.

IL 1799

L’avanzata Napoleonica non poteva lasciare indifferenti le altre potenze europee preoccupate soprattutto per la spedizione in Egitto. Quindi Turchia, Russia, Inghilterra, Austria e Svezia si riunirono nella IIa Coalizione contro la Francia e, mentre in Egitto la guerra stagnava senza grandi successi di Bonaparte, entrarono in Italia, anzi la Russia tentò addirittura di occupare la Francia, ma fu respinta dal Gen. Massena.

In Italia intanto le repubbliche sorelle cadevano come un castello di carte di pari passo alla pressione militare della Coalizione, ma non solo per quello. La rivoluzione francese nacque come un grande movimento di popolo sorretto dai sanculotti parigini e dai contadini contro la prepotenza della nobiltà. Questo non avvenne in Italia dove aderirono agli ideali della rivoluzione una stretta cerchia di intellettuali e borghesi, affascinati dal carattere innovativo, liberale e libertario dei principi ispiratori. A parte che molti privilegi delle corti italiche erano

già stati aboliti o limitati dalle riforme ispirate all’illuminismo, le plebi italiche, affamate, conobbero i francesi solo come rapinatori di beni, danari, opere d’arte e nemici della religione il cui sentimento era profondamente radicato. Inoltre le riforme di ispirazione napoleonica indebolivano economicamente gli enti ecclesiastici, dove le plebi spesso trovavano rifugio e sollievo economico, mentre vedevano borghesi e proprietari, ancora più esosi della nobiltà e del clero. Bastò quindi l’ordine dei vecchi sovrani e del clero perché le masse si mobilitassero contro i propugnatori di un mondo nuovo.

Ciò non di meno, la brevissima esperienza democratica delle repubbliche sorelle, tra difficoltà e errori, non ha perso importanza, trattandosi del primo esperimento democratico in Italia, anzi furono gettate le basi di una unità politica, volta a organizzare una Italia moderna.

Napoleone era bloccato in Egitto, sconfitto per giunta dalla Marina Inglese al comando di Horacio Nelson ad Abukir e così decise di ritornare in Francia ritirando le truppe dall’Egitto, dalla Repubblica Partenopea e dalla Repubblica Romana. Immediatamente le forze dei Borbone, aiutate dagli inglesi e da insurrezioni popolari rioccuparono Napoli, quindi l’esercito borbonico invase i territori della Repubblica Romana restituendo al Papa il potere temporale. Le due repubbliche furono dichiarate decadute e nel Napoletano la restaurazione dei Borbone fu accompagnata da una feroce repressione nei confronti degli ex repubblicani.

In Francia la situazione era tutt’altro che tranquilla, il Direttorio non era più così Bonapartista e allora Napoleone accordandosi con Siéyès, Talleyrand, Fouché e con truppe fedeli attuò un nuovo colpo di stato “del 18 Brumaio” (9 novembre), abbattendo il direttorio e varando una nuova “Costituzione dell’anno VIII°”

La costituzione prevedeva:

– dittatura personale di Napoleone e riforme che favoriscono la ricca borghesia;

– potere esecutivo: Consolato di tre membri di cui Napoleone è il primo Console ed è arbitro tra gli altri due. Di fatto comanda lui;

– potere legislativo conferito a tre soggetti istituzionali: Consiglio di stato, che propone le leggi; Tribunato, che discute le leggi senza votarle (un ruolo tecnico); Senato Conservatore, che vota le leggi.

I membri del potere legislativo non erano eletti dai cittadini, ma nominati dall’esecutivo, praticamente un cerchio chiuso.

– Potere giudiziario conferito ad una magistratura di nomina governativa.

IL 1800 AL 1804

L’abilità politica di Napoleone Primo Console è stata quella di saper coniugare i sistemi autoritari dell’Ancien Régime pur mantenendo i principi di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e al fisco propri della Rivoluzione. Ciò trovava consenso sia nella borghesia repubblicana, sia negli ambienti monarchici e conservatori. Entrambi acclamavano Bonaparte come il garante dell’ordine, della proprietà e della sicurezza dei cittadini.

Questo clima di consenso generale consentì a Napoleone di riprendere la politica espansionistica che di fatto la Francia non aveva mai abbandonato.

Napoleone riaprì di nuovo la Campagna d’Italia, le truppe scesero dalle Alpi sorprendendo alle spalle quelle della IIa Coalizione che minacciavano i francesi bloccati a Genova. Analoghi successi militari furono raggiunti in Germania e l’Austria con la Pace di Lunéville del 1801 rientrò nelle frontiere stabilite a Campoformio.

La Francia si annetteva il Belgio, risorgevano le Repubbliche Sorelle: la Batava (Olanda), la Elvetica, la Ligure e la Cisalpina che divennero Repubblica Italiana e recuperarono anche il Piemonte.

Dopo i successi militari  la forza di Napoleone all’interno crebbe enormemente, poteva contare sull’appoggio di esercito, polizia, e burocrazia, mentre favoriva i rapporti con conservatori, cattolici e proprietari terrieri. Le riforme attuate furono ispirate alla dichiarazione del cattolicesimo come religione di stato, ma veniva abolito il clero pagato dallo stato (clero Costituzionale). I principi della Rivoluzione furono confermati in campo giuridico e fiscale, a favore degli industriali fu attuata una politica protezionistica e nel campo scolastico furono favorite le scuole destinate ai figli della borghesia, futura classe dirigente pubblica.

Pericolosa fu una riforma costituzionale detta Costituzione dell’anno X°, con la quale Napoleone si proclamava “Primo Console a Vita”.

Evidente era la aspirazione monarchica del Bonaparte e questo fece arricciare il naso sia ai monarchici conservatori fautori dei Borbone, sia ai repubblicani.

Napoleone trovò una soluzione nel rafforzamento del regime, compiendo un salto di qualità e nel maggio del 1804 si nominò Imperatore dei Francesi con il titolo ereditario di Napoleone I°. Fece le cose in grande, come era abituato a fare, e per il 2 dicembre 1804 ottenne l’incoronazione solenne da parte del Papa Pio VII nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, concordando un rituale tradizionale, ma con connotazioni innovative al fine di soddisfare la più ampia area dei sostenitori.

Le scelte della Francia imperiale seguirono un disegno di potere e ricchezza soprattutto a scapito dei traffici commerciali inglesi. Questi chiaramente non stettero a guardare e fecero leva sui loro punti di forza: senso dello stato e della corona dei cittadini, difendibilità insulare, superiorità della flotta e una forte rete diplomatica.

Dal 1805 al 1807

Nel 1805 si formò così la III° Coalizione Europea (Inghilterra, Austria e Russia) con eventi bellici alterni. Napoleone ad Austerliz vinse contro l’Austria che firmò la pace ed escì dalla coalizione, ma perse pesantemente a Trafalgar contro la flotta dell’ammiraglio Nelson.

La Prussia, sentendosi minacciata, nel 1806 formò la IV° Coalizione insieme a Inghilterra e Russia, ma Napoleone nel 1806-1807 riescì ad avere ragione della Russia che firmò la pace di Tilsit.

Nella politica interna il consolidamento di Napoleone crebbe dopo la vittoria su Austria e Russia e manifestamente si avviò un ritorno alla vecchia politica dinastica. Trattandosi di un impero, le repubbliche sorelle divennero regni dove mettere al trono personaggi della propria stirpe: Regno d’Olanda (non più repubblica Batlava), Regno di Napoli, Regno di Westfalia, Regno d’Italia dove il trono fu assunto dallo stesso Napoleone che lasciò come governatore il viceré Eugenio Beauharnais.

Sul piano socio economico l’impostazione ideologica della rivoluzione favoriva borghesia, commercianti e industriali a scapito dell’aristocrazia e del clero.

Questo andamento ebbe un riscontro anche in Italia, dove il nuovo ceto di possidenti borghesi e commercianti prosperava lasciando però i ceti bassi nella medesima condizione, ma entrambi mal tolleravano il dispotismo francese, l’autoritarismo e la politica predatoria. Nasceva il germe del risorgimento e del riscatto nazionale. 

La Francia però non riusciva ad aver ragione dell’Inghilterra in mare e, nonostante gli sforzi di Napoleone per rafforzare la marina, non arrivò a dominare.

Napoleone pensò di minare i commerci inglesi agendo dal continente, adottò la politica del Blocco Continentale, vale a dire impedire a navi di qualsiasi bandiera provenienti dall’Inghilterra di fare scalo nei porti della Francia e dei suoi alleati. Due erano gli obiettivi: bloccare il commercio inglese e favorire i prodotti francesi con una forte politica protezionistica.

La Francia però da sola non riusciva a soddisfare tutta la domanda europea continentale e rinunciava alla domanda dei consumatori inglesi. Aumentarono così fenomeni di contrabbando che costringevano i francesi ad uno sforzo enorme per il controllo in mare.

Dal 1808 al 1814

Ancora una volta Napoleone attuò una politica militare aggressiva per risolvere anche i problemi interni. Invase Spagna e Portogallo, aiutate dall’Inghilterra, arrivando anche a Madrid e iniziando una guerra lunga fino al 1814 con fasi alterne fino al ritiro definitivo.

Nacque così la V° coalizione antifrancese ad opera di Inghilterra e Austria. Ancora una volta Napoleone ebbe ragione degli austriaci. Tuttavia è all’interno e nella società civile che le cose cambiano. La figura di Napoleone ora viene assimilata al dispotismo, quindi l’imperatore ora si trova ad affrontare proprio quei sentimenti di libertà ed eguaglianza di cui lui stesso era stato portatore. Un esempio storico fu la rivolta degli spagnoli a Cadice, dove i rivoltosi si dettero una “Costituzione di Cadice” totalmente improntata agli ideali giacobini egualitari e democratici della rivoluzione.

 La politica interna napoleonica aveva sempre favorito le classi borghesi, commercianti, industriali, pur ricevendo originariamente consensi anche dai contadini. Questa nuova distribuzione delle ricchezze nel popolo aveva creato un soggetto transnazionale costituitosi come società segreta che traeva origine direttamente dall’illuminismo: la Massoneria, con i suoi ideali di fratellanza e di solidarietà.

Nel 1812 anche la Russia si atteggiava a protettrice delle idee liberali contro il dispotismo napoleonico, così inviò un ultimatum alla Francia per derogare alle regole del Blocco Continentale. La risposta di Napoleone fu la guerra. Invase la Russia arrivando fino a Mosca, ma rimase sconfitto dall’inverno russo, dalle incursioni dei cosacchi e da una guerriglia partigiana. Furono commessi errori di logistica negli equipaggiamenti. Le divise francesi ad esempio, già di per sé poco adatte al clima, avevano i bottoni di stagno che alla temperatura di – 40° praticamente si polverizzavano. Napoleone fu costretto ad una rovinosa ritirata.

Nel 1813, in seguito alla sconfitta in Russia, l’Europa insorse ancora contro la Francia creando la VI° Coalizione formata da Inghilterra, Russia, Svezia, Prussia e Austria. Il 16 ottobre Napoleone fu sconfitto nella furiosa battaglia di Lipsia ponendo l’Imperatore in forte minoranza politica in patria, dove Talleyrand, in assenza del Bonaparte, dichiarò decaduto l’Impero, formò un governo provvisorio e restaurò la monarchia dei Borbone con Luigi XVIII°. Napoleone, sconfitto, abdicò il 6 aprile 1814. Il 30 maggio la Pace di Parigi determinò il rientro della Francia nei confini del 1792. Fu deciso di celebrare un Congresso a Vienna al fine sistemare tutte le questioni europee e a Napoleone fu lasciata l’Isola d’Elba, dove svolse un importante ruolo amministrativo con riforme e interventi pubblici.

Dal 1814 IL CONGRESSO DI VIENNA E I CENTO GIORNI

I lavori del congresso di Vienna riunito nel Castello di Schönbrunn, residenza della corte imperiale austriaca, iniziarono il 14 novembre del 1814. Parteciparono: Inghilterra, Austria rappresentata da Von Metternich, Russia, Prussia, rappresentanze di stati minori e per la Francia l’abile negoziatore e diplomatico Talleyrand.

Il congresso aveva come obiettivi primari la restaurazione delle vecchie dinastie precedenti alla Rivoluzione Francese, e il rientro della Francia all’interno dei confini del 1792. Progetto che fu però ritenuto irrealizzabile perché un semplice ritorno al passato era impossibile. Oramai le idee e gli effetti socio economici della Rivoluzione e del periodo Napoleonico avevano aperto una breccia nella sensibilità popolare in tutta Europa e anche oltre, fu quindi deciso di adottare quattro principi guida:

– Legittimità, vale a dire che furono considerati legittimi i sovrani regnanti antecedentemente alla Rivoluzione.

– Equilibrio, principio surrettizio cui far ricorso qualora la restaurazione in forza del principio di legittimità avesse portato a conflitti o a forti sbilanciamenti di potenza a favore o contro uno stato europeo.

– Intervento, in forza del quale le grandi potenze europee avevano il diritto di intervenire militarmente là dove ci fosse il rischio di una nuova rivoluzione per ristabilire l’ordine costituito.

– La solidarietà tra le potenze firmatarie negli interventi militari.

Per una maggiore efficacia del principio di intervento lo Zar Alessandro I° propose la creazione della Santa Alleanza tra Russia, Austria e Prussia, alla quale successivamente chiesero di partecipare Francia e Inghilterra.

Durante i lavori del Congresso fino al 9 giugno del 1815, data di chiusura, la situazione generale rimase tutt’altro che tranquilla, le vicende si susseguivano a distanza di settimane, se non di giorni.

Il 20 marzo 1815, nel pieno dei lavori del congresso, che però non subirono interruzioni, Napoleone, fuggito dall’Isola d’Elba, riprese il potere a Parigi, mentre immediatamente, quasi anticipando l’attivazione del principio di   Intervento, Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria, Svezia, Spagna, Portogallo, Olanda e Belgio, Stati Tedeschi e Stati Italiani si riunirono nella VII° coalizione antifrancese che il 18 giugno 2015, una settimana dopo la fine del Congresso, affrontò Napoleone a Waterloo in Belgio infliggendogli una pesante sconfitta. Napoleone rientrato a Parigi, dopo aver tentato senza successo di compattare forze politiche per ottenere poteri di dittatore, il 23 giugno accettò il voto dei deputati sulla richiesta di abdicazione. Napoleone fu consegnato agli inglesi il 15 luglio 1815 e successivamente in agosto trasferito a Sant’Elena, isola fino ad allora praticamente sconosciuta, dove morì il 5 maggio 1821.

SITUAZIONE DOPO IL CONGRESSO DI VIENNA

Nei lavori del congresso emerse che ognuno degli stati della coalizione di fatto seguiva un suo interesse geopolitico ed economico. L’Inghilterra, desiderosa di confermare il primato sui mari, ottenne le colonie di Malta, Cylon e gli fu assegnato il regno di Hannover. La Russia ottenne il Ducato di Varsavia che prese il nome di regno di Polonia, e confermò il controllo di Finlandia e Bessarabia. La Francia, ritornando ai confini del 1792, evitò di subire eccessive perdite territoriali, ma intorno ad essa furono creati Stati cuscinetto con l’intento di limitare eventuali ambizioni territoriali future. Fu creato il Regno delle Provincie Unite che raccoglieva i territori dei Paesi Bassi ex austriaci e consegnato al Principe d’Orange. Il regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I° recuperò la Savoia e alcuni territori dell’ex Repubblica Ligure. La Svezia confermò il controllo della Norvegia e alla Confederazione Svizzera, composta da 22 cantoni, fu garantita la neutralità perpetua per legge costituzionale o meglio fondamentale del 1815.

Particolare fu il ruolo della Prussia e dell’Austria che si trovarono a condividere una leadership all’interno della neonata Confederazione Germanica che raccoglieva 39 entità politico territoriali i cui rappresentanti partecipavano alla Dieta Federale di Francoforte per decisioni politiche e militari. L’impero Austriaco rinunciò ai Paesi Bassi Asburgici in cambio di Territori in Dalmazia, Galizia e, soprattutto in Italia settentrionale dove esercitava un predominio assoluto.

La penisola Italiana, dopo un’apparente unità politica sotto la spinta espansionista di napoleone, tornò a frantumarsi in complesso di stati. Innanzi tutto fu ricostituito lo stato della Chiesa, furono restaurate le dinastie dei Borbone al sud, degli Asburgo Lorena in Toscana. Come sopra detto fu rafforzato il Regno di Sardegna, mentre a nord est risultava rafforzata l’Austria con il possesso del Veneto e della Lombardia e con il controllo dei ricostituiti ducati di Parma, Piacenza e Modena.

Il progetto del Congresso di Vienna andava oltre la restaurazione del potere delle antiche dinastie e il ripristino dei confini degli stati alla situazione ante 1792. I partecipanti si erano proposti di ripristinare all’interno degli stati l’ancien régime e di cancellare ed estirpare tutte le norme, gli ordinamenti e i valori ispirati alla Rivoluzione Francese e al periodo napoleonico, inclusi istituti di indubbia validità sociale, come il codice civile, il contrasto alla feudalità, lo stato civile e soprattutto il diritto naturale dei popoli alla propria autodeterminazione. Prova ne fu la costituzione del 1814 concessa ai Francesi da Luigi XVIII. Non era una carta frutto del lavoro di una commissione di rappresentanti del popolo, bensì una concessione proveniente dall’alto.

Il trentennio dalla rivoluzione alla restaurazione aveva però lasciato una traccia indelebile negli ambienti liberali che premevano per riforme sociali e non tardarono scontri ideologici tra liberali progressisti e fautori della restaurazione dell’antico regime. Le nuove ideologie attraversarono tutti gli ambienti e i ceti sociali dal basso in alto ed ancora gli ideali di libertà, fraternità ed eguaglianza erano vivi sia nella memoria che nelle aspirazioni di molti.

LE SOCIETA’ SEGRETE E I MOTI del 1820 – 1830

In questo clima nacquero ed ebbero un ruolo di primaria importanza le società segrete.  La Massoneria, prima in senso temporale, di fatto era troppo vincolata agli ideali Napoleonici in quanto fu sotto il governo del Primo Console, poi Imperatore, il momento in cui aveva acquisito potere favorita da quest’ultimo in quanto costituita prevalentemente dal ceto borghese e neoindustriale che era quello più caro a Napoleone. Però le teorie illuministe di eguaglianza e di libertà erano più potenti della Massoneria che ne era portatrice e così ovunque in Europa si registrarono una serie di moti tra il 1820 e il 1821 dietro i quali fu protagonista La Carboneria, nata sicuramente da una estensione della Massoneria. I moti avvennero prima in Inghilterra dove moderati e operai protestarono contro i Six Acts, leggi liberticide che limitavano la libertà di stampa ed associazione. La repressione fu durissima e sanguinosa, ma l’eco fece sì che anche nelle Colonie Spagnole e Portoghesi il popolo insorse per reclamare l’indipendenza e la guarnigione inviata per sedare la rivolta, in partenza da Cadice a sua volta si ammutino unendosi ai rivoltosi costringendo Ferdinando VII di Spagna a ripristinare la Costituzione di Cadice di derivazione Napoleonica. Il modello della Costituzione di Cadice rappresentò l’obiettivo dei moti avvenuti in Portogallo, nel Mezzogiorno d’Italia e in Piemonte tra il 1820 ed il 1821, mentre nel Lombardo Veneto l’amministrazione asburgica, agendo preventivamente con una ondata di arresti di aderenti alla Carboneria tra cui Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e Federico Confalonieri, riuscì a bloccare i moti rivoltosi. La reazione delle Corti europee interessate dai moti fu quella di fare delle concessioni più o meno in linea con le richieste degli insorti, così nel Regno delle due Sicilie Ferdinando I° di Borbone concesse la Costituzione sotto la spinta delle truppe capeggiate da Guglielmo Pepe e così fece Carlo Alberto di Savoia, noto per le sue idee liberali, in qualità di reggente dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I°. I successi furono di breve durata. Le forze conservatrici reagirono violentemente e così le truppe austriache vinsero l’esercito di Napoli a Rieti e ripristinarono il potere di Ferdinando I° il quale revocò la costituzione e operò una feroce repressione nei confronti dei ribelli. In Piemonte i rivoltosi, capeggiati da Santorre di Santarosa, furono annientati dalle truppe comandate da Carlo Felice, fratello di Vittorio Emanuele I°, che si rifiutò di ratificare la Costituzione concessa dal reggente Carlo Alberto il quale assunse un comportamento non chiaro ritirandosi in Toscana.

In Spagna nel 1822/23, con l’intervento di truppe francesi, fu ristabilito il potere assoluto di Ferdinando VII e fu posto fine all’ultimo regime costituzionale esistente in Europa occidentale che fu definita pacificata, ma sarebbe stato più appropriato dire normalizzata.

Nell’Europa dell’Est si vide in Russia la facile sconfitta dei “Decabristi” che si rifiutavano di riconoscere il nuovo Zar Nicola I°. Si aggiunsero in seguito le più complesse vicende della indipendenza della Grecia dall’Impero Ottomano, aiutata da Russia, Francia e Inghilterra e sancita dal Protocollo di Londra del 1830 dopo la vittoriosa battaglia navale di Navarino.

In Francia, sempre nel 1830 la borghesia insorse contro il re Carlo X°, succeduto a Luigi XVIII, in seguito ai provvedimenti restrittivi denominati “Ordinanze di Luglio”. Dopo giorni di barricate si arrivò alla abdicazione del re e all’ascesa al trono di Luigi Filippo d’Orléans, decisamente schierato a favore della classe borghese liberale. Le conseguenze si videro immediatamente quando, con l’appoggio inglese, concesse l’indipendenza al Belgio sotto la corona di Leopoldo I° Sassonia-Coburgo

Sfortunati nel 1830 furono i moti polacchi indipendentisti contro le truppe dello Zar. I ribelli, sconfitti, ripararono all’estero per evitare la feroce repressione di Nicola I.

In Inghilterra le riforme ispirate all’egualitarismo e al liberalismo furono senz’altro utili ma non sufficienti ad evitare forti tensioni sociali che rivendicavano politiche economiche e fiscali più favorevoli. Il movimento del “cartismo” di estrazione operaia ottenne successi in campo politico economico, oggi diremmo sindacale, ma trovò una forte reazione quando nell’ala più estremista si innestarono gli irlandesi che chiedevano l’indipendenza.

L’Italia e la Germania rimasero toccate marginalmente dai moti degli anni 1820 – 1831, salvo il tentativo di insurrezione di Ciro Menotti a Modena, rapidamente stroncato nel 1831, proprio quando Giuseppe Mazzini, rifugiato a Marsiglia fondava la Giovine Italia. L’area germanica in particolare, con sapienti riforme economiche varate in Austria e Prussia, seppe interpretare nel migliore dei modi l’espansione del nuovo modello liberale e capitalista e, come sempre, la crescita economica e il benessere allontanano le rivolte.

IL 1848 GLI STATI EUROPEI INSORGONO CONTRO I REGIMI DINASTICI

Una reazione a catena caratterizzò i moti del 1848 manifestando una evidente relazione tra gli eventi, ma con finalità diverse. In alcuni stati europei ad agire furono le classi borghesi e operaie mirate a colmare il divario economico, legislativo e sociale che lentamente aveva indebolito le economie, in altri stati l’anelito indipendentista e costituzionalista spingeva alla rivolta che comunque faceva sempre leva sui ceti bassi e borghesi convinti di ottenere benefici dalla concessione di regole costituzionali  e egualitarie.

Una prima rivolta fu quella in Sicilia capitanata dai democratici Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa i quali alla testa di contadini e ceti bassi ottennero la concessione di una costituzione liberale e poi l’autonomia della Sicilia.

In Francia la repressione di iniziative politiche volte a riforme elettorali scatenò a Parigi una reazione popolare che costrinse Luigi Filippo ad abdicare e a nominare un governo repubblicano dove sulla componente socialista prevalsero le forze moderate e borghesi che riuscirono a far eleggere Presidente della Repubblica Luigi Napoleone, nipote dell’Imperatore.

A Berlino il popolo, trasversalmente, insorse chiedendo una Assemblea Nazionale Costituente che però, vittima dei nazionalismi particolari delle varie componenti germaniche, faticò a trovare un accordo, salvo sul nazionalismo espansionista che rivendicava territori oltre i confini naturali. Pochi giorni dopo però il germe della rivolta scoppiò a Vienna, dove le truppe regolari spararono sui dimostranti, che tuttavia reagirono mettendole in fuga. Costrinsero così Metternich alle dimissioni e Ferdinando I° a promettere una costituzione liberale. Di questa situazione approfittarono i movimenti indipendentisti ungheresi che ottennero dapprima l’autonomia e poi l’indipendenza da Vienna.

In Italia, dopo i primi successi dei movimenti indipendentisti con gli episodi storici delle rivolte in Sicilia, a Milano (5 giornate) e a Venezia,  l’appoggio del Regno di Sardegna aprì la campagna regia della Prima Guerra d’Indipendenza contro gli austriaci, ma si tradusse in una disfatta nonostante l’intervento delle truppe del Regno di Napoli e dello Stato della Chiesa, il cui contributo fu praticamente inesistente visto che ambedue si ritirarono prima di combattere, lasciando però sul campo un congruo numero di volontari cui si unirono quelli di Giuseppe Garibaldi che fece la sua prima comparsa nel Risorgimento Italiano. Si può dire che l’esito della iniziativa sabauda si scontrò con la concomitante riscossa di tutti i regimi assolutistici in Europa. Dopo la sconfitta Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele, che fu re di Sardegna con il nome di Vittorio Emanuele II°, futuro primo Re d’Italia.

LO STATO DELLA CHIESA

All’interno di questo quadro geopolitico continentale lo Stato della Chiesa ferito dagli interventi del Direttorio Francese e di Napoleone vide ripristinati autorità, potere e territori nel 1814. Tuttavia anche all’interno non rimase indenne dai movimenti illuministici che si identificavano nei principi della Rivoluzione Francese.

Lo Stato della Chiesa rispetto alle altre monarchie continentali, nel periodo qui considerato, cioè i secoli XVIII° e XIX°, ha avuto una linea di potere più sistemica in quanto le successioni non avvengono per via ereditaria o per “debellatio”, ma attraverso l’elezione del Pontefice dopo la morte o la rinuncia del precedente, come la storia ci sempre ha insegnato. E’ innegabile però che le linee politiche seguite da ogni Papa non sono le stesse. Sono determinate dalla sua origine, dalla vicinanza di alcuni ambienti e da convinzioni personali. Di Pontefici nel periodo tra il 1800 e il 1849 ce ne sono stati ben cinque, quindi per arrivare alla nascita della Repubblica Romana del 1849, la seconda dopo l’esperienza napoleonica, è opportuno trovare i presupposti valutando  i provvedimenti presi da ciascun Pontefice che,  a seconda del proprio orientamento, aveva contrastato con maggiore o minore vigore  le attività delle Società Segrete con in testa La Carboneria.

PIO VII 1800 – 1823

Salito al trono di Pietro immediatamente dopo il ritiro delle truppe francesi da Roma (1799) e dopo la breve occupazione delle truppe del Regno di Napoli, in seguito alla quale fu dichiarata decaduta la Repubblica Romana (napoleonica), trovò le casse dello stato devastate da entrambe le occupazioni, cosa che creava malcontento sociale e favoriva la crescita delle Società Segrete, soprattutto della Carboneria. Tuttavia Pio VII° incontrò il favore di Napoleone, preoccupato di ristabilire il prestigio della Chiesa in Francia, interesse coincidente con quello del Papa, preoccupato dello statalismo dei prelati francesi praticamente fuori controllo.

Nel 1801 Pio VII° arrivò ad un accordo con Napoleone, ratificato con un concordato a Parigi il 15 luglio, in forza del quale veniva ristabilito il ruolo della Chiesa in Francia. L’importanza di questo atto, oltre ai suoi contenuti, è stato l’aver favorito i successivi accordi grazie ai quali il Papa accettò di investire Napoleone del rango Imperiale a Parigi, nel 1804, nella cattedrale di Notre-Dame.

Il Concordato del 1801 fu però quasi subito disatteso dalle eccessive intromissioni dell’ Imperatore dei Francesi che con i suoi interventi invase le aree di competenza ecclesiastica con una pressione crescente che sfociò nuovamente in un intervento militare nel 1809, quando il 10 giugno Roma fu nuovamente occupata dai Francesi e, addirittura, nella notte tra il 5 e il 6 luglio il Papa fu arrestato e, con un tortuoso ed estenuante viaggio, fu tradotto a Savona dove restò per un paio di anni per essere poi trasferito a Fontainbleau nonostante le precarie condizioni di salute.

Una delle questioni che contrapponevano Napoleone I° a Pio VII° era la pretesa dell’Imperatore della ratifica della nomina di alcuni vescovi Francesi operata da Napoleone. Il Papa, in cattività, in un primo momento accettò un nuovo Concordato totalmente sbilanciato in favore di Napoleone, salvo poi ritrattare e sfidare apertamente il Bonaparte annullando tutti gli atti dei Vescovi di nomina imperiale.

Dopo la sconfitta di Lipsia del 1813, la parabola di Napoleone era decisamente discendente al punto che il Papa veniva acclamato in terra francese e così fu nuovamente trasferito a Savona nel 1814, per essere poi liberato e accompagnato a Roma dove fu benevolmente accolto dal popolo. Pio VII° espresse il suo potere ricostituendo la Compagnia di Gesù e inviando il segretario di Stato Consalvi al Congresso di Vienna dove ottenne la restituzione dei territori dello Stato Pontificio e anche il successo etico dell’impegno dei partecipanti volto alla abolizione della schiavitù.

Tuttavia i guai per l’anziano Papa non erano finiti. Durante i 100 giorni il Re di Napoli, Gioacchino Murat, invase nuovamente lo stato Pontificio. Un’altra volta il Papa fuggì a Genova per poi rientrare nei confini dello Stato Pontificio in Emilia, quindi tornare a Roma dopo che l’esercito Napoletano fu respinto dalle truppe austriache.

Nell’esercizio del suo regno fino alla sua morte si dimostrò clemente con i familiari di Napoleone, illuminato nel favorire la cultura e la scienza aprendo le Università di Ingegneria, Medicina, Farmacia e Astronomia e ponendo fine definitivamente alla questione Copernicana rimuovendo il divieto di diffusione del “Dialogo dei Massimi Sistemi” di Galileo Galilei. Esercitò però una decisa repressione nei confronti delle Società Segrete, che a causa della persistente crisi economica, raccoglievano consensi, facendo divieto di partecipare alla Carboneria e compiendo una azione odiosa nei confronti della comunità ebraica romana che fu nuovamente rinchiusa nel Ghetto da dove la Repubblica Romana Napoleonica aveva loro dato possibilità di uscire ed entrare liberamente.

LEONE XII° 1823 – 1829

Eletto da un Conclave che confidava su un pontificato breve a causa dell’età e delle condizioni di salute, di fatto regnò per 5 anni durante i quali attraversò una vita politica meno movimentata del suo predecessore cosa che gli consentì di affrontare i problemi dell’economia riducendo le imposte, moralizzando le spese, accantonando fondi per opere pubbliche. Sul piano religioso compattò il mondo cattolico con il Giubileo del 1825, che fu l’unico Anno Santo dell’ ‘800 a causa degli eventi storici coincidenti con le date giubilari.

Nella politica interna condusse una forte repressione della Carboneria. Risalgono al suo regno le esecuzioni dei due carbonari Targhini e Montanari firmate dall’allora Governatore di Roma Mons. Tommaso Bernetti, futuro Segretario di Stato e papabile nel Conclave del 1946, dove non fu eletto per il veto dell’Imperatore d’Austria.. Risultati raggiunti grazie all’incarico ad hoc conferito al Cardinale Agostino Rivarola il quale inviato a Ravenna con specifico incarico arrestò più di 500 carbonari puniti con condanne a morte e carcere più o meno duro. La Carboneria reagì uccidendo in un attentato il Segretario del Legato Pontificio Rivarola, episodio cui fece seguito una sanguinosa ondata repressiva.

Controverse sono le notizie circa la contrarietà di Leone XII° al vaccino contro il vaiolo, del quale in ogni caso tolse la obbligatorietà. Conservò inalterato il controllo degli ebrei con la chiusura del ghetto che, anzi, fu ulteriormente ampliato e reso più impenetrabile.

PIO VIII° 1829 – 1830

Pontefice per neanche due anni, di salute precaria, si dedicò soprattutto agli affari interni cercando di moralizzare le amministrazioni dello Stato, ma come i suoi predecessori non fermò il contrasto alle Società Segrete, condannando le Società Bibliche protestanti che traducevano i testi biblici diffondendoli attraverso la Massoneria e le Società Segrete. (Enciclica Traditi Humilitati).

GREGORIO XVI° 1831 – 1846

Il pontificato di Gregorio XVI° risultò più opaco e meno incisivo di quello dei suoi predecessori. Appena eletto si trovò di fronte il problema dei moti del 1830/31 che avevano interessato le Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna dando luogo al soggetto politico delle Provincie Unite Italiane.

Contro questa rivolta il Pontefice ricorse alla consueta strategia di richiedere l’intervento militare di un altro stato, in questo caso dell’Austria, per sedare la rivolta, ricorrendo allo spionaggio e alla delazione per cercare di estirpare alla radice le attività ribelli.

Al fine di mantenere una situazione tranquilla Gregorio XVI° promise una serie di riforme successivamente mai attuate, salvo l’istituzione della Cassa di Risparmio di Forlì mirata a favorire l’economia dei territori in fermento.

Il Papa si dimostrò scettico anche nello sviluppo delle nascenti ferrovie, preferendo investire ingenti capitali in opere culturali, con una particolare attenzione al tema della schiavitù, particolarmente sentito soprattutto nelle colonie americane.

PIO IX° 1846 – 1878 SOVRANO DELLO STATO PONTIFICIO FINO AL 1870Il Beato Pio IX° iniziò il suo pontificato con provvedimenti di grande gradimento popolare, come l’amnistia, estesa anche agli oppositori politici ma, in direzione opposta, concesse premi a coloro che erano intervenuti per sedare i moti di Rimini del 1843. Iniziative che gli valsero l’appellativo di Papa Liberale.

Continuò su questa linea nei primi anni del pontificato concedendo la libertà agli ebrei e liberalizzando la circolazione dei giornali. Riformò la censura, promosse la nascita di Istituti di Credito e delle ferrovie e si fece promotore di un’unione doganale tra gli stati italiani.

Nel 1848 si trovò a confrontarsi con i grandi moti che percorsero tutto il continente Europeo e si mostrò preoccupato dalla velocità e dall’ampiezza degli eventi storici. Queste valutazioni lo indussero a concedere una sorta di costituzione con la creazione di due camere, aperte anche ai laici.

Dopo le Cinque Giornate di Milano inviò una spedizione composta da regolari e da volontari in soccorso dell’Armata Sabauda impegnata contro l’Austria nella Prima Guerra di Indipendenza, salvo bloccare immediatamente l’intervento. Motivò la decisione affermando che il ruolo del Papa abbracciava tutto il mondo cattolico, compresa l’Austria.

All’interno si trovò a gestire la rivolta che portò alla nascita della Repubblica Romana.

I fatti precipitarono il 15 novembre 1948 con l’assassinio del Primo Ministro Pellegrino Rossi, con il quale il Papa condivideva il progetto federalista degli stati italiani, sistema che avrebbe garantito l’indipendenza dello Stato della Chiesa, cosa non gradita a Carbonari e Indipendentisti. L’autore dell’attentato fu un figlio di Angelo Brunetti, carbonaro di estrazione popolare, soprannominato Ciceruacchio il quale si pose alla testa della rivolta popolare seguita all’uccisione di Rossi, che chiedeva una partecipazione alla formazione del nuovo governo.

Per evitare l’aggravarsi delle sommosse, il Papa decise di allontanarsi a Gaeta, nel Regno delle due Sicilie, rifiutando prudentemente l’invito di Luigi Napoleone, Presidente della Repubblica Francese e seguito dal Segretario di Stato e Vicecancelliere Mons. Tommaso Bernetti.

Il 9 febbraio 1849 la Repubblica Romana iniziò la sua breve vita cessata il successivo 4 luglio.

Finita la parentesi della Repubblica che avanti sarà trattata più approfonditamente, il Papa Pio IX° rientrò a Roma nel 1850, acclamato dal popolo e iniziò una meticolosa opera di restaurazione. Annullò molti atti della Repubblica, ne abolì la Costituzione, reintrodusse la pena di morte e, contrariamente alla sua stessa politica precedente, rinnovò l’isolamento del Ghetto Ebraico.

Il periodo successivo, fino al 1870, vide Pio IX° protagonista di grandi interventi e opere pubbliche, ferroviarie, stradali, portuali, interventi di risanamento delle finanze, riforma del codice penale, delle carceri e della scuola.

Nonostante ciò, lo Stato Pontificio si trovò ad affrontare insurrezioni e rivolte ispirate dalla attività del Regno di Sardegna mirata alla riunificazione dell’Italia. Conseguentemente, lo Stato della Chiesa fu smembrato fino a ridursi al territorio del solo Lazio, per poi capitolare con la presa di Roma del 1870 e la fine del Potere Temporale dei Papi. Pio IX° si chiuse in Vaticano determinando un’ulteriore fase acuta  della cosiddetta “Questione Romana”, che fu risolta definitivamente solo nel 1929 con la firma dei “Patti Lateranensi”.

GLI EVENTI DELLA REPUBBLICA ROMANADAL 9 FEBBRAIO AL 4 LUGLIO 1849

All’indomani dei moti del 1848, dell’assassinio del Primo Ministro Pellegrino Rossi e della fuga del Papa a Gaeta, il 5 febbraio 1949, in un clima di grande entusiasmo popolare, i rappresentanti degli insorti si riunirono al Palazzo della Cancelleria dove fu istituita una Assemblea Costituente aperta dal giurista Carlo Armellini.

L’8 febbraio l’Assemblea si trovò a decidere sulla forma di governo da assumere: riconoscere la sovranità del Papa o optare per la Repubblica.

Il deputato Bolognese Quirico Filopanti presentò un progetto di legge strutturato su 5 articoli:

  1. decadenza del potere temporale dei Papi
  2. guarentigie e garanzie riservate ai Pontefici per l’esercizio della loro guida spirituale
  3. proclamazione della Repubblica Romana
  4. miglioramento dei rapporti tra classi sociali
  5. relazioni della Repubblica con altri stati italici

I moderati, rappresentati da Terenzio Mamiani, diversamente, optavano per lasciare al Papa il ruolo di Capo dello Stato, ma il potere effettivo in mano al Parlamento.

L’euforia del momento mise in minoranza i moderati e il progetto Filopanti fu approvato. Dopo il voto, Goffredo Mameli invitò entusiasticamente Giuseppe Mazzini a raggiungere Roma.

Il primo decreto fondamentale della Repubblica fu la pubblicazione della legge Filopanti, ridotta a soli 4 principi, e fu letta in pubblico.

Art. 1) Il Papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.

Art. 2) Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale.

Art. 3) La forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura, e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.

Art. 4) La Repubblica Romana avrà col resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune.

Giuseppe Garibaldi, nel ricevere queste notizie, manifestò con una lettera il suo entusiasmo repubblicano ed anticlericale.

Il 10 febbraio l’Assemblea nominò un Comitato Esecutivo composto da 10 persone insieme al quale si cominciò ad occupare di temi fondamentali quali la laicizzazione dello Stato, la democratizzazione, i diritti civili, il contrasto al mondo feudale e i problemi dell’economia.

Il 5 marzo 1849 Giuseppe Mazzini giunse a Roma. Il giorno successivo prese la parola nell’Assemblea dove manifestò le sue previsioni politiche individuando nell’Austria il nuovo potenziale nemico della Repubblica.

Mazzini era un convinto Massone e attraverso l’Istituzione Massonica ricevette messaggi di gradimento della Repubblica Romana arrivati da tutta Europa, cui rispondeva rassicurando i suoi interlocutori preoccupati di un’eccessiva presenza anarchica, ovvero poco allineata, nella nascente Repubblica.

Il risultato fu un risveglio dell’interesse popolare alla politica e alla partecipazione pubblica, fino ad allora compresso dall’autoritarismo pontificio.

In questo contesto tra le masse popolari acquisì una forte popolarità e potere Angelo Brunetti, Ciceruacchio, capopopolo e rappresentante dei ceti più bassi.

La vittoria dell’esercito Austriaco su quello Sabaudo avvenuta alla fine di marzo, preoccupò i vertici della Repubblica che decisero di sciogliere il Comitato Esecutivo, conferendo ad un Triumvirato Elettivo i poteri di governo e di guerra per l’indipendenza e la salvezza (difesa) della Repubblica.

I triumviri eletti furono Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, con la figura di Mazzini, più votata e rappresentativa anche intellettualmente.

Il triumvirato lavorò in perfetto accordo con l’Assemblea Costituente, che non rallentò mai i suoi lavori. Il carisma e la levatura di Mazzini ne fecero una dittatura apparente della quale però il patriota genovese mai si approfittò, lavorando con i suoi colleghi in un clima di ampia e alta collaborazione.

Il successo della Repubblica Romana, inevitabilmente, rese sempre più reale il rischio di un attacco esterno ad opera di forze restauratrici.

Ancora una volta la Francia, raccogliendo l’invito del Pontefice, inviò un contingente militare in Italia al comando del Gen. Oudinot che il 24 aprile sbarcò a Civitavecchia, assumendo un comportamento ambiguo, apparentemente protettivo, in realtà oppressivo nei confronti della Repubblica, la quale si difese affidando la resistenza militare ai Generali Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Avezzana e Carlo Pisacane, già protagonisti del Risorgimento Italiano.

A sostegno della Repubblica il 27 aprile 1949 sbarcarono al Porto di Anzio i bersaglieri lombardi fuoriusciti dall’esercito sabaudo dopo il 1848, comandati da Luciano Manara. A costoro si unirono volontari provenienti da tutta Italia.

Il 30 aprile l’esercito francese sferrò il primo attacco, ma sorprendentemente fu respinto da una reazione dell’esercito repubblicano nelle Battaglie di porta Cavalleggeri e di Porta Angelica, dove Giuseppe Garibaldi costrinse Oudinot a ripiegare a Civitavecchia. La sconfitta di Oudinot fece infuriare Luigi Napoleone, che già il 7 maggio accolse la richiesta di rinforzi del suo generale.

I francesi non erano gli unici nemici della Repubblica. Ferdinando II°, re delle Due Sicilie, inviò un corpo di spedizione ad attaccare la Repubblica Romana. L’armata, respinta da Garibaldi nella Battaglia di Palestrina, e decise di ripiegare a sud, a Terracina, prossima a Gaeta.  Garibaldi, per carenza numerica, non riuscì a raggiungere ed attaccare la spedizione borbonica al fine di impedirne la ritirata sulla posizione più fortificata di Terracina.

Ai soldati Napoletani si aggiunse un altro corpo di spedizione Spagnolo che sbarcò a Gaeta alla fine di maggio e raggiunse i Napoletani a Terracina.

Mazzini tentò anche la via diplomatica in contrasto con la strategia di Garibaldi. Mentre Luigi Napoleone autorizzava i rinforzi per Oudinot il 7 maggio, due giorni dopo, il 9 maggio, partiva da Parigi il plenipotenziario francese Ferdinand de Lesseps con il quale Mazzini negoziò una tregua di 20 giorni al fine di concludere un accordo, di seguito riportato, che sarebbe stato ratificato successivamente con un trattato il 31 maggio.

Testualmente recitava:

<<Art. 1) L’appoggio della Francia è assicurato alle popolazioni degli Stati Romani. Esse considerano l’armata francese come un’armata amica che viene a concorrere alla difesa del loro territorio.

Art.2) D’accordo col Governo Romano e senza per nulla ingerire nell’amministrazione del paese, l’armata francese prenderà gli accantonamenti esterni, convenevoli per la difesa del paese che per la salubrità delle truppe. Le comunicazioni saranno libere.

Art. 3) La Repubblica Francese garantisce contro ogni invasione straniera il territorio occupato dalle sue truppe.

Art. 4) Resta inteso che la presente convenzione dovrà essere sottomessa alla ratifica del governo della Repubblica Francese.

Art. 5) In nessun caso gli effetti della presente convenzione potranno cessare che 15 giorni dopo la comunicazione ufficiale della non ratifica.>>

L’intendimento però era diverso da quanto dichiarato. Mazzini, sotto attacco militare, accettò l’appoggio francese come il mal minore, mentre la Francia voleva solo estendere il proprio controllo egemonico sulla Repubblica Romana in contrasto alle altre potenze continentali.

Gli accordi Mazzini –  de Lesseps furono però disattesi da Luigi Napoleone Presidente della Repubblica Francese, il quale aveva già deciso di forzare l’intervento militare, e, soprattutto, voleva farlo da solo per cui riuscì ad allontanare il corpo di spedizione spagnolo dirottandolo in Umbria, territorio dello stato della Chiesa non più sotto il controllo del Papa, ma non ancora occupato dall’esercito Austriaco che geograficamente si trovava in posizione strategicamente favorevole.

Il Gen. Oudinot era determinato a non subire più sconfitte da parte delle truppe della Repubblica Romana, anche perché non avrebbe potuto giustificarle a Luigi Napoleone dopo l’invio dei cospicui rinforzi, e così ricorse ad un inganno comunicando al Gen. Roselli, difensore della Repubblica, l’attacco francese per il giorno 4 giugno. Diversamente, nella notte tra il 2 e il 3 giugno, Oudinot sferrò una violenta offensiva occupando Villa Pamphili e Villa Corsini e apprestandosi ad attaccare il Gianicolo, punto più alto e facilmente difendibile. Da qui la resistenza dei bersaglieri lombardi di Luciano Manara non riuscì a fermare i francesi i quali, il 10 giugno, respinsero anche un contrattacco di Garibaldi bombardando pesantemente la città per vari giorni con forti disagi e conseguenze per la popolazione civile. Oudinot riuscì pertanto a guadagnare terreno, cosa che costrinse i difensori della Repubblica ad arretrare la linea difensiva su posizioni più sicure.

La nuova linea difensiva di Garibaldi e Manara incredibilmente sostenne la pressione bellica Francese, sorprendendo anche Oudinot che reagì sferrando un attacco definitivo il 30 giugno cui seguì un cruento combattimento corpo a corpo dove lo stesso Manara perse la vita.

L’Assemblea costituente in costanza degli eventi bellici non sospese la sua attività neanche per un attimo, e, il 2 luglio 1849, approvò il testo definitivo della Costituzione che, ancorché mai applicata, si rivelò un dettato ben fatto, tutt’altro che frettoloso e portatore di principi di democrazia, sovranità popolare, eguaglianza, libertà, fraternità e impegno sociale tra i più avanzati al mondo. La sua promulgazione fu fatta dal Campidoglio il 4 luglio 1849 nel tardo pomeriggio proprio mentre le truppe francesi occupavano Roma. Alla cerimonia non era presente Goffredo Mameli, ferito gravemente il 3 giugno e spirato il 6 luglio per le conseguenze delle ferite.

Per il rispetto della memoria di coloro che si sono battuti per realizzare la Repubblica Romana e la sua Costituzione si riporta per intero il testo.

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA

(1849)

PRINCIPII FONDAMENTALI

I – La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in

repubblica democratica.

II – Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III – La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV – La repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna

l’italiana.

V – I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI – La più equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico

dello stato è la norma del riparto territoriale della repubblica.

VII – Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

VIII – Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per

l’esercizio indipendente del potere spirituale.

TITOLO I

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DE’ CITTADINI

Art. 1 – Sono cittadini della Repubblica:

– gli originarii della Repubblica;

– coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;

– gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;

– gli stranieri col domicilio di dieci anni;

– i naturalizzati con decreto del potere legislativo.

Art. 2 – Si perde la cittadinanza:

– per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non più tornare;

– per l’abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;

– per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;

– per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l’autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d’un popolo;

– per condanna giudiziale.

Art. 3 – Le persone e le proprietà sono inviolabili.

Art. 4 – Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome.

Nessuno può essere carcerato per debiti.

Art. 5 – Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

Art. 6 – Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

Art. 7 – La manifestazione del pensiero, è libera, la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.

Art. 8 – L’insegnamento è libero.

Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

Art. 9 – Il segreto delle lettere è inviolabile.

Art. 10 – Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

Art. 11 – L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto, è libera.

Art. 12 – Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate

dalla legge.

Art. 13 – Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

Art. 14 – La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi.

Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, né percetta per tempo maggiore di quello dalla legge determinato.

TITOLO II

DELL’ORDINAMENTO POLITICO

Art. 15 – Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall’Assemblea, dal Consolato, dall’Ordine

giudiziario.

TITOLO III

DELL’ASSEMBLEA

Art. 16 – L’Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

Art. 17 – Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

Art. 18 – Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

Art. 19 – Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

Art. 20 – I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile.

Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

Art. 21 – L’Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all’elezione. Si rinnova ogni tre anni.

Art. 22 – L’Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza

armata di cui crederà aver bisogno.

Art. 23 – L’Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà.

Nell’intervallo può essere convocata ad urgenza sull’invito del presidente co’ segretari, di trenta membri, o del Consolato.

Art. 24 – Non è legale se non riunisce la metà, più uno dei suoi rappresentanti.

Il numero qualunque de’ presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

Art. 25 – Le sedute dell’Assemblea sono pubbliche.

Può costituirsi in comitato segreto.

Art. 26 – I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell’Assemblea,

restando interdetta qualunque inquisizione.

Art. 27 – Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso

dell’Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante.

Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l’Assemblea che ne sarà immediatamente informata,

determina la continuazione o cessazione del processo.

Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

Art. 28 – Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

Art. 29 – L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

Art. 30 – La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

Art. 31 – Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese

all’intervallo non minore di otto giorni, salvo all’Assemblea di abbreviarlo in caso d’urgenza.

Art. 32 – Le leggi adottate dall’Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in

nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell’Assemblea fa la

promulgazione.

TITOLO IV

DEL CONSOLATO E DEL MINISTERO

Art. 33 – Tre sono i consoli. Vengono nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di

suffragi.

Debbono essere cittadini della repubblica e dell’età di 30 anni compiti.

Art. 34 – L’ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d’ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti.

Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscì di carica.

Art. 35 – Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:

1) degli affari interni;

2) degli affari esteri;

3) di guerra e marina;

4) di finanze;

5) di grazia e giustizia;

6) di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;

7) del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

Art. 36 – Ai consoli sono commesse l’esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

Art. 37 – Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de’ ministri.

Art. 38 – Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato

dell’esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione

dei ministri.

Art. 39 – Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell’Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

Art. 40 – I ministri hanno il diritto di parlare all’Assemblea sugli affari che li riguardano

.

Art. 41 – I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l’Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell’Assemblea sotto pena di decadenza.

Art. 42 – Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi

tremila e seicento.

Art. 43 – I consoli e i ministri sono responsabili.

Art. 44 – I consoli e i ministri possono essere posti in stato d’accusa dall’Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

Art. 45 – Ammessa l’accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna

all’esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

TITOLO V

DEL CONSIGLIO DI STATO

Art. 46 – Vi è un consiglio di stato, composto di quindici consiglieri nominati dall’Assemblea.

Art. 47 – Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui

regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle relazioni politiche.

Art. 48 – Esso emana que’ regolamenti pei quali l’Assemblea gli ha dato una speciale delegazione.

Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

TITOLO VI

DEL POTERE GIUDIZIARIO

Art. 49 – I giudici nell’esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

Art. 50 – Nominati dai consoli ed in consiglio de’ ministri sono inamovibili, non possono essere

promossi, né traslocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo

regolare procedura e sentenza.

Art. 51 – Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

Art. 52 – La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

Art. 53 – Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l’applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

Art. 54 – Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

Art. 55 – Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici più anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia.

L’Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo.

È d’uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

TITOLO VII

DELLA FORZA PUBBLICA

Art. 56 – L’ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

Art. 57 – L’esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

Art. 58 – Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della

Repubblica, senza decreto dell’Assemblea.

Art. 59 – I generali sono nominati dall’Assemblea sopra proposta del Consolato.

Art. 60 – La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate

dall’Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei

consenso.

Art. 61 – Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

Art. 62 – Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell’ordine interno e della costituzione.

TITOLO VIII

DELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

Art. 63 – Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell’ultimo anno della

legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

Art. 64 – L’Assemblea delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

Art. 65 – L’Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 66 – Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all’attuazione della costituzione.

Art. 67 – Coll’apertura dell’Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

Art. 68 – Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla

costituzione, e finché non sieno abrogati.

Art. 69 – Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

Il Presidente                    I Vice-Presidenti               I Segretari

G. Galletti                       A. Saliceti                        G. Pennacchi

                                        E. Alloccatelli                  G. Cocchi

                                                                                 A. Fabretti

                                                                                 A. Zambianchi

ORIGINALITA’ E PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE

E’ innegabile che la Costituzione della Repubblica Romana del 1849 abbia sapientemente fatto tesoro di tutti i princìpi nati con l’Illuminismo, realizzati dalla Rivoluzione Francese e da questa trasmessi nelle costituzioni derivate da tutte le esperienze repubblicane degli anni successivi al 1789. Però la differenza consiste nella stesura del dettato costituzionale elaborato da una Assemblea spontanea di insorti nei confronti del regime preesistente che organizzò originariamente un sistema statale creando ex novo gli organi di governo e l’apparato che da quel momento avrebbe suddiviso i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Anche la prima costituzione Francese del 1791 di fatto non presentava una totale discontinuità con il passato, bensì prevedeva il riconoscimento della monarchia inserita in un sistema parlamentare. Tutte le successive modifiche si innestarono in conseguenza degli eventi storici successivi, mentre le costituzioni delle Repubbliche Sorelle non erano assolutamente originarie e nate dalla volontà popolare attraverso i suoi rappresentanti, bensì dei dettati derivati dalla costituzione Francese vigente al momento adattato nello specifico al territorio.

Di portata ancora minore come originarietà furono le varie Costituzioni concesse dalle monarchie quasi sempre costrette da eventi storici che ne mettevano in dubbio la sicurezza e la continuità ed utilizzate come una pastura data al popolo per sedare gli animi. Erano concessioni provenienti dall’alto che non riconoscevano i diritti inalienabili dei popoli alla autodeterminazione, semmai confermavano la titolarità di questi diritti nelle mani del sovrano che ne disponeva a suo piacimento. Un’unica deroga a questo quadro evolutivo dei sistemi di governo è rappresentata dalla Costituzione degli stati dell’America del Nord, conseguente alla rivoluzione contro la corona inglese e il suo impero coloniale, nata in un contesto legislativo simile a quello della Repubblica Romana, creata e strutturata per guardare in avanti e non per contrastare il passato e per questo tuttora in vigore negli Sati Uniti d’America.

Cosa accomuna le due Costituzioni che presentano comunque delle differenze. Innanzi tutto l’aver avuto una indiscutibile paternità ideologica nelle figure dei loro rappresentanti Giuseppe Mazzini e Benjamin Franklin. Entrambi erano Massoni, Franklin, di origine inglese, entrò nella Saint John’s Lodge di Philadelphia nel 1731, e Mazzini, figlio di un Massone, respirò fin da giovane l’atmosfera delle Società Segrete e divenne 33° grado della Massoneria ed introdusse in Italia il Rito Scozzese, riservato al nucleo più coeso, elevato e riservato dell’Istituzione. L’appartenenza alla cultura e alla concezione universale massonica ispirò entrambe le costituzioni ai principi di eguaglianza, di solidarietà di cui l’Istituzione era portatrice.

Un secondo elemento di similitudine tra le due costituzioni è la loro brevità. Quella americana è addirittura composta di soli 7 articoli originari cui si sono nel tempo aggiunti 27 emendamenti che ne hanno fatto un dettato particolarmente flessibile e adattabile nel tempo, sicuramente diversa dalla Romana perché quella era stata creata in forma federale per un territorio enormemente più vasto che doveva lasciare ampie autonomie agli stati federali, necessarie ad affrontare i problemi specifici territoriali cui venivano rimesse decisioni della massima importanza come la pena di morte che, diversamente, la Costituzione Romana aboliva a livello centrale. Però anche la Costituzione della Repubblica Romana esordisce enunciando 8 principii fondamentali che costituiscono il perno attorno a cui ruota tutta la successiva trattazione composta da soli 68 articoli (contro i 139 della costituzione Italiana del 1948). Ora, se è vero che un documento è tanto più comprensibile ed efficace quanto più è chiaro e breve, ci troviamo di fronte a due opere eccezionali.

I PRINCIPII FONDAMENTALI

I – La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

Importante è il principio di sovranità appartenente al popolo e definito eterno quindi non sostituibile in alcun modo soprattutto in futuro, creando uno sbarramento ideologico a qualsiasi ritorno a sistemi dinastici

II – Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

Prepotente appare la presenza illuminista, rivoluzionaria e massonica nell’eguaglianza, libertà e fraternità a l’aver tolto significato alle caste nobiliari 99 anni prima della Costituzione Italiana significa voler infliggere un colpo definitivo alle monarchie dinastiche a al loro clero laico rappresentato dalla nobiltà, quindi nessuna continuità con il passato.

III – La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

Elemento fondamentale che fa capire quanto la visione della Repubblica fosse proiettata al futuro lasciando alle spalle il vecchio regime.

IV – La repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

Principio questo di evidente origine Massonica ispirata alla fratellanza universale, ma necessariamente mitigato da una maggiore considerazione per gli Italiani, ma, attenzione, parla di Nazionalità, di Italiani e non soltanto di Cittadini Romani, che diversamente sono oggetto di specifica nel dettato successivo. E’ evidente in pectore il desiderio di intraprendere un progetto di unificazione politica della Penisola.

V – I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

Non è altro che il decentramento amministrativo che individua nei comuni le sue fondamenta comunque legate da un principio di utilità generale dello Stato, tema confermato anche dal successivo principio che amplia l’autonomia anche agli altri enti locali, sempre nel rispetto del superiore interesse della Stato.

VI – La più equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello stato è la norma del riparto territoriale della repubblica.

VII – Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

Principio modernissimo e quanto mai attuale che esclude a priori ogni discriminazione per motivi di confessione religiosa. Siamo nella società del 1849 e una costituzione siffatta non avrebbe posto alcuna resistenza al rifiuto di ogni tipo di discriminazione senza il ricorso a norme specifiche spesso troppo legate alla tutela di interessi delle minoranze.

VIII – Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.

In Ossequio al precedente Principio la Repubblica non rifiuta il Papa come Capo spirituale della Cristianità, anzi garantisce tutto ciò che è necessario per esercizio della insostituibile funzione. A differenza del sistema francese che aveva creati il Clero Costituzionale, cioè nominato e pagato dallo Stato.

IL TESTO COSTITUZIONALE

Gli articoli più innovativi che presentano una levatura intellettuale estremamente avanzata per il periodo storico sono innanzi tutto contenuti ne:

Il Titolo I°. La costituzione definisce chi sono i cittadini ad essa subordinati e ne stabilisce i diritti e i doveri, affermando principi granitici come la inviolabilità della persona e delle sue proprietà (art. 3), l’abolizione della pena di morte e della confisca (art. 5), l’inviolabilità del domicilio, definito addirittura sacro (art.6),  la libertà di pensiero e di insegnamento (artt. 7 -8), la garanzia del segreto postale (art. 9) ,  la libertà di associazione per fini leciti (art.11), l’imposizione di un sistema fiscale equo determinandone le modalità (art. 14).

E’ evidente che l’ispirazione di questi articoli è di chiara provenienza illuminista, ponendo l’individuo al centro della titolarità dei diritti e dei doveri pur confermando l’interesse dello Stato in posizione sopraordinata.

Il Titolo II°. L’art 15 è lapidario, il potere viene dal popolo ed è amministrato secondo la ormai nota tripartizione istutuzionale.

Il Titolo III° parla dell’Assemblea che amministra il potere legislativo, ne stabilisce la formazione e i poteri (Artt. 16 – 25), introducendo agli artt. 26 e 27 il principio di immunità Parlamentare ancora oggi oggetto di controverse opinioni la cui abolizione in Italia ha portato a storture e conflitti tra i poteri dello stato.

Il Titolo IV° (Artt. 33 -45) parla del potere esecutivo, è affidato a tre Consoli, come se ci fossero tre Primi ministri, i quali nominano sette ministri. Nulla a che vedere con i tre consoli nominati dal Direttorio di Napoleonica memoria, dove la personalità preponderante del Bonaparte ne annullò la pluralità di azione. Il meccanismo adottato nella Repubblica Romana fa leva sul numero 3 detto anche il numero perfetto e i più speculativi possono individuarci una simbologia massonica. Di fatto i Consoli erano 3, dovevano avere una età minima di 30 anni, il loro ufficio dura 3 anni e, a sorteggio, uno dei Consoli esce per avvicendamento automatico ed è chiaro che l’ultimo esce automaticamente alla scadenza del terzo anno.  Nessun Console può essere rieletto se non è trascorso un periodo di 3 anni dalla cessazione della sua carica.

L’operato e la persona dei Consoli esercitavano il loro potere sotto il diretto controllo dell’Assemblea e rispondevano del proprio operato.

Il Titolo V° Introduce un ulteriore organo con funzioni consultive e di controllo: Il Consiglio di Stato (Artt. 46 – 48)

I Titoli VI° e VII° parlano della magistratura e del potere giudiziario con particolare accento all’art. 55 sulla procedura della messa in stato di accusa di Consoli e Ministri e dell’uso della Forza Pubblica. (Artt. 49 – 62)

Il Titolo VIII° specifica la procedura per la riforma della Costituzione cosa molto importante perché, al pari della Costituzione Americana, la possibilità di essere riformata ne fa un dettato flessibile adattabile alle future esigenze e sicuramente destinato a durare.

Quattro disposizioni transitorie concludono il lavoro dei costituenti ed aprono la strada a tutte le norme necessarie per il funzionamento dello Stato a partire dalla Legge Elettorale.

LA REPUBBLICA ROMANA E LA MASSONERIA

Il rapporto tra la Repubblica Romana e la Mssoneria è sicuramente molto stretto ma più come esperienza culturale che come appoggio politico. Giuseppe Mazzini era un 33° grado della Mssoneria e lo era anche Garibaldi. Quasi tutti i personaggi civili e militari protagonisti della Repubblica partecipavano alla muratoria. Luciano Manara è stato recentemente commemorato dalla antichissima Loggia Giordano Bruno. Aurelio Saffi   fu affiliato alla loggia romana Propaganda Massonica e anche il Console Carlo Armellini partecipava alla fratellanza universale. Aveva aderito alla Massoneria perfino Ugo Bassi, prelato bolognese che, si tolse l’abito talare per indossare la giubba garibaldina e ha combattuto nella battaglia di Villa Corsini dove impartì l’estrema unzione ad un ferito francese. Goffredo Mameli, l’autore del testo del nostro inno nazionale, fu affiliato giovanissimo e rimase ferito a morte nell’attacco francese del 3 giugno 1949. Era Massone fino dalla età giovanile Quirico Filopanti, colui che presentò il primo disegno di legge all’Assemblea Costituente Romana. In realtà il suo nome era lo pseudonimo di Giuseppe Barrili creato ad hoc in Quirico perché dedicato a Roma e Filopanti perché massonicamente amico di tutti i popoli. Era massone Terenzio Mamiani che fu ministro della pubblica istruzione. Giuseppe Avezzana, Generale difensore di Roma, anche lui appartenente al Grande Oriente di Torino. L’appartenenza alla Massoneria di Carlo Pisacane fu rivelata dal gran maestro Ernesto Nathan nel discorso del 21 aprile 1918 al Teatro Costanti, al suo nome è dedicata la Loggia Pisacane di Ponza. Affiliato era anche Galletti Presidente dell’Assemblea Costituente della Repubblica. Forse l’unico non affiliato ad alcuna loggia fu Angelo Brunetti, Ciceruacchio, il padre di colui che uccise Pellegrino Rossi, sia per la sua estrazione sociale e culturale, decisamente bassa, sia per i suoi metodi più vicini al brigantaggio che al combattente per la fratellanza universale. In ogni caso Ciceruacchio viene commemorato nelle logge massoniche come eroe della Repubblica Romana.

Alla luce di tutta questa partecipazione di affiliati alla Massoneria nella nascita della Repubblica Romana si pone la domanda: perché la massoneria internazionale non ha fatto nulla per difendere le conquiste anticlericali, egualitarie, di fratellanza universale raggiunte con la Costituzione del 1949? La massoneria Francese era sicuramente ancora molto legata agli ambienti postnapoleonici e alla ambizione espansionistica e nazionalista, In Austria il potere imperiale non consentiva un comportamento disponibile nei confronti di coloro che con ogni probabilità sarebbero stati i prossimi nemici e alcuni dei difensori di Roma avevano partecipato alle Cinque Giornate di Milano come Carlo Pisacane. Resta invece isolata nel suo splendido mondo fatto di commerci e colonie l’Inghilterra, dove tra l’altro la massoneria trova origine soprattutto nel rito. Praticamente sono saltati il principio di fratellanza e di mutuo soccorso propri dell’attività muratoria. Non è sufficiente riappropriarsi a posteriori della memoria della Repubblica Romana se nulla si è fatto per sostenerla al momento.

Dobbiamo però scavare più a fondo su quello che sono i principii della Massoneria. Si coniugano egregiamente con quelli di eguaglianza, libertà e fraternità della Costituzione Romana, ma la costituzione Romana è fatta per i cittadini della Repubblica, mentre la libera attività muratoria è universale. Ancorché quasi tutti gli affiliati alle società segrete provenissero dalla Massoneria, l’Istituzione non gradiva l’attività della Carboneria considerata troppo estremista nelle idee e nei metodi e soprattutto mirata ad ottenere governi costituzionali senza voler perseguire la fratellanza universale. In definitiva, nell’ottica massonica della universalità sia territoriale che individuale (il rapporto non è più Stato-Stato, ma Uomo-Uomo), non è prevista una scelta politica, in quanto sicuramente in contrasto con altri affiliati.

Le motivazioni ideologiche tratte dagli scritti massonici non sempre soddisfano l’esigenza di comprendere fino in fondo le ragioni storiche che hanno determinato alcuni reiterati comportamenti che, anche alla luce di vicende successive, risultano non sempre coincidenti con gli interessi dell’Italia nascente e della Repubblica Romana nel 1849, soprattutto se raffrontate alla applicazione tollerante dei principi percepita nel rapporto con gli stati europei coloniali più forti economicamente e militarmente.

Si conclude così la rievocazione storica, filosofica, morale e giuridica di quella che forse è stata la carta originaria di uno stato repubblicano, democratico, partecipativo tra i più avanzati al mondo con l’unico difetto di averla potuta adottare per un solo giorno.

FONTI BIBLIOGRAFICHE E DOCUMENTALI

www.skuola.net/filosofia-moderna/illuminismo-contesto-storico-capisaldi-diffusione

– www.skuola.net/storia-moderna/rivoluzione-francese

– www.pgava.net Il regime del Direttorio e l’Impero Napoleonico di Pietro Gavagnin

– www.instoria.it/caduta di Napoleone Lipsia Waterloo

– www.scienzepolitiche.unica.it Restaurazione e rivoluzione in Europa (1815-49)

– www.homolaicus.com/storia/moderna/ottocento/moti carbonari

– Emilia Morelli. La Politica Estera di Tommaso Bernetti, Segretario di Stato di Gregorio XVI. Storia e Letteratura 1953

– www.comitatogianicolo.it/storia della repubblica romana

www.fattiperlastoria.it/repubblica romana 1849

– Bruno Gatta. La Costituzione della Repubblica Romana del 1849 (1947)

Sansoni, 1947

– Massonicamente, n. 15 mag.-ago. 2019 Laboratorio di scuola del Grande Oriente d’Italia.

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