Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau: i maneggi di un abile uomo di governo. Di Giuseppe Moscatt.

Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau.

1. Mirabeau, scrittore, economista, politico e libertino.

Lo stesso anno in cui veniva alla luce Wolfang Goethe (1749), nasceva in un un paesino della Provenza, Honoré Mirabeau, figlio di Victor Riqueti, marchese toscano al seguito di Francesco Stefano di Lorena, Principe consorte di Maria Teresa D’Austria e Viceré della Toscana.  Il giovane marchese – non di certo di bell’aspetto per aver avuto da piccolo il vaiolo e per di più di corporatura imponente – fra il 1767 e il 1769, combatté in Corsica contro i volontari democratici che reclamavano l’autonomia. Il carattere esuberante – pari al fisico massiccio e allo spirito libertino – lo portò ormai ventenne a parteggiare per i diritti della classe emergente borghese e popolare, non disdegnando amori, gioco e duelli, nel solco della classe intellettuale illuminista e volterriana. In pieno contrasto col padre – che lo fece internare e interdire per debiti nei castelli di famiglia – pubblicò un’operetta di pieno consenso alle idee di Montesquieu, il “saggio sul dispotismo” (1775), che fu letto da Washington durante la coeva rivoluzione americana. Esiliato in Olanda, scrisse lettere d’amore per Sophie, convivente  e amata in tenera età e poi abbandonata per tante altre donne, anche di piacere occasionale; fu estradato in Francia e condannato alla prigionia per debiti a Vincennes per quasi tre anni (1777-1780). Privato di ogni bene, mantenne solo il titolo nobiliare e fu costretto a lavorare, vagando per l’Europa, ma producendo una letteratura politico-critica dei regimi conservatori sia in Francia che in Prussia. Il suo acume letterario e la sua profonda oratoria, e la pari capacità affabulatoria nei salotti letterari inglesi e spagnoli, nonché anche nella Toscana di Leopoldo – che poi diventò Imperatore d’Austria nel 1790 – lo resero famoso, entrando in corrispondenza con Beaumarchais, Quesnay, Hume, Smith e Talleyrand, che non mancava di parlare di lui a Corte, suscitando fin dal 1787 la curiosità di Luigi XVI e della moglie Maria Antonietta, che come vedremo lo chiamerà a sé varie volte come consigliere segreto nei primi anni della Rivoluzione. Nei mesi antecedenti l’indizione degli Stati Generali (Aprile e Maggio del 1789), Mirabeau aveva pubblicato  con successo un pamphlet satirico, “Storia segreta della Corte di Berlino, corrispondenza di un viaggiatore francese lì accreditato, dal 5 luglio 1786 al 19-1-1787”. le vicende narrate in quella  pubblicazione avevano scatenato un “gossip” d’epoca, perché l’aver messo in ridicolo la Corte Prussiana – all’epoca regnava da poco Federico Guglielmo III, nipote di Federico il Grande – non solo eccitava i lettori per le storie trasgressive molto gradevoli per il pubblico borghese, ma anche per rispondere  alle pretese codine dei nobili francesi, che i paralleli resoconti di Voltaire avevano mobilito a difesa degli eccessi della loro classe, ormai lontana dalla classe produttiva della Nazione. Proprio il modello prussiano accentrato a Sans Souci, come quello di Versailles era caratterizzato dallo spreco di risorse pubbliche mentre le classi produttive del Paese erano rimaste senza alcun diritto al Governo dello stesso. Tale fu il vero motivo di successo dell’opera, malgrado una certa “prouderie” derivasse dal fatto che la corrispondenza, vietata dal governo francese, venne pubblicata in Inghilterra nel 1788 approfittando il Mirabeau della passione amorosa per l’editrice inglese, una della sue fuggevoli amanti che provvedevano così ai suoi bisogni finanziari mai sopiti. Lo scandalo fu enorme quando il “parvenu” Mirabeau si candidò a rappresentante del suo distretto come candidato del primo ordine agli Stati Generali indetta da Re Luigi. Respinta la candidatura da parte dei nobili per le note caratteristiche trasgressive del personaggio, ma anche perché si era mostrato contrario alla semplice politica di contenimento del disavanzo, la cui copertura a suo dire, avrebbe posposto la necessità di una riforma politica del regime costituzionale, di cui bisognava piuttosto allargare la platea contributiva anche al primo e al secondo ordine, esclusi fino ad allora. Inoltre i privilegi tributari dovevano cessare definitivamente adottando il modello costituzionale americano. Nello stesso momento, Mirabeau anticipava anche la innovativa modifica del clero, perché proponeva in un altro contestato libello, “un piano per reprimere la gola monastica”, la futura costituzione laica e civile del secondo ordine, qui ripresa dal  modello anglicano. Mai domo, si promosse per il terzo stato, avanzando nell’ennesimo opuscolo elettorale un programma rivolto all’abolizione dei privilegi e contro le ingiustizie sociali, richiamando ancora una volta la Costituzione Americana. Eletto finalmente nella schiere del Terzo Stato, Mirabeau partecipò con favore a tutte le sedute degli Stati Generali nel Maggio del 1789, disobbedendo platealmente all’ordine di non pubblicare i verbali delle sedute. Anzi, il 25 luglio inviò al  “Corriere Provenzale” un Resoconto Generale, dove contestò aspramente il Re e i suoi funzionari di Corte che avevano ingiunto all’Assemblea di sciogliersi e di sgomberare la sala. Nondimeno, parlò a nome del terzo stato chiedendo la votazione per “teste e non più per ordine”, come prevedeva il vecchio regolamento reale. Disse la celebre frase che lo immortalò: “Signore! (rivolto spregiativamente al Re) Tu e i tuoi accoliti hai comandato di espellerci. Non osare insistere nel cacciarci fuori, perché siamo il Popolo e  ce ne andremo soltanto a colpi di baionetta!” Frase che ben anticipava la famosa riunione del Terzo Stato nella sala della palla corda, dove convennero poco dopo anche una parte dei Nobili e del clero. Mirabeau quel giorno iniziò la sua stupefacente scalata politica profondamente ambigua.

2. Mirabeau e la Regina (1790-1791): un voltagabbana?

Passata la giornata di giugno e luglio del’89, fra la formazione della Assemblea Nazionale Costituente, la notissima espugnazione e distruzione della Bastiglia, il licenziamento dal Ministro Necker e il suo successivo richiamo a Parigi da parte di Luigi XVI, che il 17 dello stesso mese definì gli eventi di quella prima Rivoluzione. La borghesia approfittò della vittoria popolare e nominò Bailly sindaco democratico di Parigi, mentre La Fayette diventò capo della Guardia Nazionale. Nello sesso tempo nelle campagne scoppiava la grande paura per i nobili con l’inizio di violente occupazioni delle terre. Ne seguì la fuga all’estero di molti nobili favorevoli alla Monarchia. E’ la fine dell’Assolutismo. Mirabeau assisté molto contento agli eventi: donne disponibili, debiti sospesi, fama di tribuno che cresceva, un senso di vittoria e di vicinanza al potere lo invase. Diventò l’anello di congiunzione fra la nobiltà ancora fedele al Re e la borghesia che ormai stava predisponendo la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, approvata dall’Assemblea Costituente il 26 agosto e a cui il  Re dovette ormai ad aderire. Era una Costituzione liberale che eliminava i privilegi della nobiltà e del Clero, nonché conferiva i diritti civili sul modello angloamericano e istituiva una monarchia costituzionale parlamentare, dove la vecchia Costituente diventava Assemblea Nazionale, che richiamava la Camera dei Comuni inglesi e quelle dei Rappresentanti americana, con un governo di maggioranza approvato dal Parlamento. Era la vittoria dei moderati con Mirabeau in testa. A corredo di tale nuovo Regime, la famosa legge degli “Assegnati”, dove si dispose il loro valore di moneta corrente, rivalutando appunto la vecchia moneta circolante, provocando però una rapida inflazione, che favorì proprio Mirabeau e una gran massa di debitori a danno delle classi meno abbienti e del clero di provincia, che perdettero tutto a favore dei bottegai di città, i quali tirarono un sospiro di sollievo rispetto ai contadini che invece persero buona parte dei raccolti anche per la mancata riforma della tassazione. Mentre Marat tuonava sulla stampa a favore della masse popolari frodate nel loro risparmio, i borghesi di città videro in Mirabeau il campione degli imprenditori commerciali, cioè di coloro che con rischio più basso avevano acquisito patrimoni immobili con il poco denaro cristallizzato nel credito futuro degli “Assegnati”, molto deboli nel coprire i pagamenti correnti. Intanto Lafayette, Bailly, il Duca di Orleans, lo stesso Necker, soprattutto il Re e la Regina, per tutto il 1790 continuavano a tramare progetti di riscossa, anche su spinta degli emigrati in Francia e delle Case Regnanti europee, dopo che gli inglesi, per bocca del conservatore Burke nel febbraio del 1790, dichiaravano una ferma condanna della Rivoluzione. Quando nel novembre dello stesso anno, l’Assemblea Nazionale confiscò del tutto i beni della Chiesa, costituì la creazione di un ordine civile del clero su modello anglicano e ordinò il relativo giuramento dei sacerdoti nelle mani dello stato rivoluzionario; la vittoria moderata è al culmine. Il loro rappresentante più importante, proprio il Mirabeau, dopo aver fissato questi ultimi principì, diventava Presidente dell’Assemblea Nazionale. Si era a un passo dalla svolta finale: varie congiure popolari e nobiliari si alternavano per rinsediare la Casa Regnante e per arrestare il Governo provvisorio di Lafayette e Mirabeau. A questo punto – come narrano le cronache non tanto sicure – pare che la Regina Maria Antonietta abbia avviato un carteggio segreto proprio con Mirabeau, colui che dava segni apparenti di capeggiare l’ultima spallata alla Monarchia. E qui la caduta morale del nostro uomo: accettare una manciata di “Livres”, perché salvasse l’ultimo brandello di potere di re Luigi. Un patto scellerato che sarebbe stato siglato nell’ultimo soggiorno estivo dei sovrani a Saint-Cloud, la notte del 3 luglio del 1791. Maria Antonietta – che non lasciò tracce scritte, se non qualche lettera  al nobile amante Le Marck nel fissare l’incontro – gli promise quelle somme  per sanare i suoi debiti. Mirabeau si scopriva alla fine un monarchico pentito  e un leone ruggente che stava per diventare Capo del governo conservatore, pronto a legittimare  i fucili di La Fayette in un prossimo colpo di stato restauratore della Monarchia. Perché questo ennesimo cambio di rotta? Da nobile a borghese democratico e poi di nuovo dalla parte della Corte… Forse la paura del ritorno degli emigrati suoi creditori, forse lo spirito libertino del rischio e dell’azzardo, l’immoralità politica di un genio di giocare la sorte, forse la necessità di rimettere le cose a posto… Ma quando la sera del 2 aprile, in una serata di orgia con donne di malaffare, un colpo apoplettico lo colpì a morte, la Rivoluzione per ora fu salva! Manzoni direbbe “fu vera gloria?” Certamente, l’ambivalenza del personaggio in momenti critici della storia di una Nazione, in preda a sconvolgimenti imprevedibili è un esempio che non mancherà di ripetersi lungo ogni rivoluzione che si rispetti. Ma noi diremmo anche nello stato democratico attuale in epoche di pandemia e di crisi economica.

Bibliografia:

1.  In generale, vd. GAETANO SALVEMINI, La rivoluzione francese, Milano, 1964,pagg. 135 e ss.

2.. Su Mirabeau, nel suo rapporto con la Regina Maria Antonietta, vd. le splendide pagine di        STEFAN ZWEIG

   ZWEIG, Maria Antonietta, 1932, nella traduzione di Lavinia Marzucchetti, Mondadori, 1933, pagg. 271

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