Lalla, il primo amore di Gabriele D’Annunzio. di Francesco Cappellani.

Gabrilele D'Annunzio.

Girando tra i mercatini di libri vecchi mi imbatto in un volume di Ugo Ojetti dal titolo “Cose viste” edito nel 1928(1). Il libro copre il triennio 1926-1928 e fa parte di una serie di sette volumi dove Ojetti (1871-1946) aveva raccolto gli articoli scritti per il Corriere della Sera negli anni dal 1923 al 1939. Oggi Ojetti è praticamente dimenticato anche per il suo passato di fascista e l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana (Gramsci scrisse di lui che “la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale”) ma Indro Montanelli in un articolo del 2000 ne ha rivalutato le qualità di giornalista e scrittore (2).

Mi incuriosisce un capitoletto intitolato “D’Annunzio innamorato” del 1926: Ojetti racconta che “La fortuna mi ha preparato un ferragosto felice: mi ha messo per un giorno tra mano duecento lettere che a diciannove anni, dal primo dicembre 1881 al 23 gennaio 1883, Gabriele D’annunzio ha scritto a Lalla”. La diciassettenne Giselda, ribattezzata Elda o Lalla dal poeta, è la maggiore delle cinque figlie del professore Tito Zucconi, ex garibaldino, insegnante di lingue e letterature straniere al Regio Convitto Cicognini di Prato, definito da D’Annunzio “gran seminario laicale istituito per isterilire e inaridire le più fervide semenze”, dove Gabriele aveva brillantemente concluso i suoi studi il 27 giugno 1881 conseguendo la “Licenza d’onore”.

Il professore si era andato affezionando a quell’alunno precoce e geniale ed a Pasqua del 1881 lo aveva invitato nella sua villa per presentargli la famiglia. Giselda è seduta al pianoforte ed il giovane liceale si innamora perdutamente di quella “strana bimba da li occhioni erranti, misteriosi e fondi come il mare”. Dopo la maturità, D’Annunzio viene ospitato nella casa della famiglia Zucconi per una decina di giorni, fino al 9 luglio, per poi recarsi a passare le vacanze a Francavilla a mare con quelli che diventeranno i suoi amici di sempre, il pittore Francesco Paolo Michetti ed il musicista Francesco Paolo Tosti.

Giselda sarà, dopo le varie figure femminili vagheggiate nel “Primo vere”, il suo primo vero amore e la sua prima musa letteraria, “adoratissima ispiratrice”, a cui dedicherà il “Canto Novo”:

venne una bianca figlia di Fiesole

alta e sottile, da l’occhio d’aquila”.

Piero Chiara a proposito del Canto Novo (3) scrive “Nuovo proprio in forza della scoperta in se stesso di una sensibilità esasperata, che accantonerà presto nelle sue manifestazioni più ingenue per trasferirla e trasformarla in un accento poetico staccato, quanto gli era possibile, dai moduli carducciani e stecchettiani se non dagli esemplari classici”.

Nella raccolta poetica appare già prorompente un sensualismo ed una visione panica della natura in cui annullarsi diventandone parte immedesimata, aspetti che caratterizzeranno la produzione letteraria successiva. Il libro ebbe accoglienze “oneste e liete” negli ambienti letterari: per Edoardo Scarfoglio “Questa poesia non è se non l’irruzione violenta e qua e là scomposta di un sanissimo e giustissimo e potentissimo senso della natura e della vita….Quando mai il senso umano irruppe con tanto esuberante splendore di forme?” (4) e Luigi Capuana lo giudica “da cima a fondo un’ebbrezza di luce e di colori”. Il “Canto Novo” sarà pubblicato nel 1883 dall’editore Sommaruga, ma l’opera sarà ristampata nel 1896 dai fratelli Treves in una edizione definitiva rielaborata radicalmente da D’Annunzio, che comprenderà solo 27 poesie delle 63 originali e preluderà agli importanti esiti poetici delle Laudi ed in particolare del suo  terzo libro, l’Alcyone.

Nella riscrittura vengono eliminate le parti legate ad un facile ed ingenuo descrittivismo autobiografico e realistico, ad esempio scompare la dedica a Giselda ed anche lo pseudonimo Lalla, mentre viene dato maggiore rilievo agli aspetti propriamente poetici e letterari dell’opera.

A novembre del 1881 il poeta prende casa a Roma e si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia che frequenterà sporadicamente senza mai laurearsi. Nella capitale, malgrado la giovane età, diviene in breve tempo celebre, conteso, adorato; si inserisce brillantemente nell’ambiente culturale e mondano della capitale ed inizia a collaborare al Capitan Fracassa, il giornale satirico e letterario fondato da R.Giovagnoli e L.A.Vassallo (Gandolin) nel 1880 su cui scrivevano, tra gli altri, Matilde Serao, Enrico Panzacchi, Edoardo Scarfoglio, ed alla Cronaca Bizantina, una rivista quindicinale con contributi di Carducci, Pascoli e dello “scapigliato” Dossi.

D’Annunzio intreccia con Lalla una fittissima corrispondenza che comprende 232 lettere scritte in poco più di un anno traboccanti di passione, di voluttuosa sensualità, di promesse di eterno amore, perfino di progetti matrimoniali con la descrizione della loro casa futura “Oh essere sposi! Avere una casa nostra linda, elegante, piena d’aria e di luce, piena di fiori, piena del tuo profumo, o fiore unico mio! Io avrei una bella stanza luminosa pe’ miei studi piena di quadri, di schizzi, di anticaglie, di stoffe rare, di armi, di libri, di carte,….”.

Le racconta la fatica di scrivere “Io scrivo con molta lentezza, lo stile mi costa una fatica indicibile; tutto quel barbaglio di luce e di colore che alcuni ammirano, io lo faccio sprizzare dall’anima mia a furia di tensione, e non sono contento mai”.

In queste lettere, per Ojetti, D’Annunzio “è già tutto lui in boccio, lieto e tormentato, pago ed insaziato; e questo provarcelo, da allora, ad oggi, così fedele a sé stesso, è l’altro merito di questo epistolario….”. Scrive il poeta “E’ fatale che io debba vivere così, sempre in un’agitazione, in un’irrequietezza indescrivibile, assetato di desiderio, di mille desideri uno più strano ed alto dell’altro, pazzo sognatore che reco il cuore palpitante tra la folla impassibile, e cerco, come per fatalità, in nuove cose tormenti nuovi, e vivo nel disordine, e lavoro con la stessa foga con cui tiro di spada, o poltrisco in torpori lunghi e spossanti, e languo nelle penombre dei salotti, o bevo avido l’aria vasta e la fulgida luce, prodigo, scialacquatore, temerario, generoso, affettuoso, innamorato di te, triste, gaio, da un’ora all’altra, indomabile ed indomato”.

Lalla è travolta da questo uragano di passione debordante e lo reclama a sé, ma lui va in Sardegna da dove, il 2 maggio 1882, le descrive magnificamente il paesaggio da Terranova (Olbia) “Che tristezza, che solitudine di paesaggio! Un mare viscido, morto come una palude; delle barche nere galleggianti come squali sventrati, dei mucchi di carbon fossile, un cielo color di cenere e, come a contrasto, un cinguettio immenso e interminabile di passeri per le grondaie”.

Finalmente va a Firenze e si ferma con Lalla per dieci giorni; dopo inizia a scriverle le lettere più focose ed appassionate di tutto l’epistolario, anche due al giorno, la vuole assolutamente sposare, ma il padre del poeta si oppone data l’età acerba, diciannove anni, del figlio.

Ritorna il 3 luglio a Pescara ma continua a sognare Lalla sdraiato sotto i pini con una lettera di lei sul cuore “Rammenti? Eri bella, bella, bella nell’abito chiaro, col gran cappello di paglia, con il collo tutto ignudo.” Ma poi la letteratura torna a prendere il sopravvento:Vado per la sponda deserta del fiume, verso la foce. Ieri sera ancora un’arsura terribile; il libeccio soffiava implacabile, prostrando le forze, bruciando la campagna, mettendo nell’aria una tristezza arida come di sabbie senza confine./…/ Ancora pochi passi. Ed ecco la linea infinita, verde, tristissima dell’Adriatico rompente alle spiagge con un romorio monotono, alle spiagge solitarie coperte di alighe morte e qua e là di rottami /…/ Non altre voci intorno, non nuvole colorite nell’aria: il libeccio ardente soffiava, la luce moriva lentamente; a tratti veniva una folata di musica dalla città, come un alito di vita lontana. Scrissi il tuo nome sulla sabbia; poi tornai lungo il fiume. Avevo gli occhi pieni di lagrime”.

Il 16 novembre D’Annunzio torna a Roma e si rituffa nuovamente nella vita intensa e sfrenatamente mondana che gli è congeniale; le lettere a Lalla diventano sempre più brevi e rare. L’ultima, il 23 gennaio 1883 si conclude così “Addio, mia buona, mia santa, mia bella bambina pallida e sofferente. Addio, addio, addio. Sono tanto stanco e convulso”.

Lalla accettò supinamente la decisione dell’amante a cui resterà comunque silenziosamente devota. In seguito sposerà il pittore Umberto Gambassini da cui avrà tre figli; nel 1937, dopo la morte del marito e di un figlio, verrà ricoverata in una clinica per malati di mente dove morirà nel 1942.

Nel 1883, lo stesso anno in cui si era conclusa la storia con Lalla, D’Annunzio, il 28 luglio, sposerà la duchessina Maria Altemps Hardouin di Gallese, figlia dei proprietari del palazzo Altemps a Roma, contro il parere dei genitori di lei.

Ojetti conclude il suo articolo preparandosi a restituire il pacco di lettere riponendolo “nella sua modesta cartella di tela verde” e chiedendosi perché aspettare cinquanta o cent’anni “per pubblicare queste lettere del poeta innamorato, per mostrarcelo così tenero e rapito adesso che la gloria quasi ce lo fa lontano e marmoreo?”

Evidentemente Ojetti sapeva che proprio nel 1926, l’anno del suo articolo, Lalla, trovandosi in ristrettezze economiche, aveva chiesto invano al poeta l’autorizzazione a pubblicare il loro carteggio d’amore di quarant’anni prima, con una lettera straziante: “Perchè dobbiamo tener nascosto a tutti e chiuso in un cassetto come cosa negletta, questa tua meravigliosa prosa che, conosciuta, accrescerebbe, se pure possibile, gloria alla tua gloria e darebbe a me un senso di ineffabile orgoglio? La mia esistenza fatta tutta di dolore e di rassegnazione avrebbe forse un’ultima scintilla luminosa. Da te mi venne la prima grande gioia della mia vita: fa si che sul tramonto di questa grama esistenza io possa avere ancora una gioia ed essa mi sia data dal tuo consentimento”.

D’Annunzio non ascolta la supplica e nega il permesso a Giselda “probabilmente non ritenendo che la sua prosa giovanile avrebbe aggiunto lustro alla sua fama” (5). Il poeta oramai gode di prestigio internazionale e non è più perseguitato dai creditori, dal 1921 è confinato a Gardone Riviera nella villa che sarà ribattezzata Il Vittoriale degli Italiani, è divenuto “il Vate” ed è circondato da donne belle e famose, anche se non tutte cedono alle sue avances. Ad esempio la sofisticata ed affascinante pittrice polacco-francese Tamara de Lempicka che il poeta voleva aggiungere al suo “carnet”, lo rifiuta gratificandolo con l’appellativo di “vecchio nano in uniforme”!

L’epistolario con Giselda sarà pubblicato solo nel 1985 dal Centro Nazionale di Studi Dannunziani di Pescara a cura di Ivanos Ciani (6), mentre un libro che riporta numerosi stralci delle lettere è quello scritto da Lori Gambassini (7) che lo intitola “Lalla, un sogno che distrugge il tempo nemico”, cioè la dedica scritta da Gabriele il 22 gennaio 1922 inviando a Giselda l’opera in prosa lirica “Il Notturno”. Il libro della Gambassini puntualizza come l’amore fra Gabriele e Giselda sia stato soprattutto di natura epistolare in quanto avevano potuto incontrarsi solo poche volte: ma la parola del poeta, come osserva Grazia Palmisano (8) ”diventa dirompente potere seduttivo, nel turbine di una ridondante retorica”. Nella premessa al libro, Gianfranco Gambassini, nipote di Giselda, ricorda il suo incontro con la nonna nel giardino del manicomio di San Salvi dove era ricoverata, mentre tiene tra le mani un fazzolettino ingiallito con ricamate le iniziali G.D.A.: quella tempesta d’amore giovanile non si era mai sopita.

Un fondo di circa tremila documenti originali che comprende le lettere scritte a Giselda, quelle scritte dal vate durante gli ultimi diciotto mesi prima di spegnersi a settantacinque anni, all’estrema musa, la contessa trentenne Evelina Scapinelli Morasso, il manoscritto della “Vita di Cola di Rienzo”, e testi di discorsi pubblici del periodo 1882-1883 e 1936-1938, sono stati donati nel 2015 al Vittoriale da Martino Zanetti, grande collezionista sia di opere che di testi critici sul personaggio e di moltissime pagine autografe del poeta.

E’ la più vasta acquisizione di inediti mai realizzata su D’Annunzio, che cambierà la conoscenza di parte della sua vita”, così il presidente della Fondazione del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri ha commentato l’ingente donazione degli scritti del vate, riferendosi soprattutto al periodo di formazione a Roma dove D’Annunzio si sprovincializza ed è già fermamente determinato ad imporsi sia nel campo della letteratura che in quello della vita mondana. Come nota Guerri, nell’amore per Giselda, “come in quelli successivi, complessi e autentici o fatti solo di senso e di carne, il poeta infonde tutto se stesso. Sono i primi, eloquenti passi della spettacolarizzazione della sua vita, non ancora clamorosa ma già trasfigurata e fatta sublime da questo continuo traboccare di sé, dall’euforia e dal trasporto in cui si traducono atti e parole, realtà e fantasie immaginifiche” (5).

1. Ugo Ojetti: “Cose viste” IV tomo. Fratelli Treves Editori, Milano 1928

2. Indro Montanelli: “Il vero Ojetti da prendere a modello”.  Il Corriere della Sera, 13.11. 2000

3. Piero Chiara; “Vita di Gabriele D’Annunzio”. Arnoldo Mondadori, Milano 1978

4. Enzo Palmieri (a cura di): “Crestomazia della Lirica di Gabriele D’Annunzio”. Zanichelli, Bologna 1946

5. Giordano Bruno Guerri: www.hausbrandt.com/gabriele-dannunzio/lettere-al-primo-amore-1881-1883

6. Gabriele D’Annunzio: “Lettere a Giselda Zucconi” a cura di Ivanos Ciani. Centro Nazionale di Studi Dannunziani, Pescara 1985

7. Lori Gambassini: “Lalla, un sogno che distrugge il tempo nemico”. Edizioni Italo Svevo, Trieste 2013

8. Grazia Palmisano: “In un libro le lettere d’amore di D’Annunzio a Giselda” .Il Piccolo, 12 marzo 2013

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