Una pagina poco nota di Storia: La Guerra Italo-Turco-Senussa del 1914-1917 . (Da non confondersi con la Guerra italo-turca del 1911-1912). Di Alberto Rosselli.

Mappa della Libia (1914).

Agli albori dell’estate del 1914 le tribù senusse e beduine della Libia scatenarono una violenta ribellione contro le forze italiane che, dopo la fine della guerra con la Turchia del 1911-12, avevano cercato di consolidare loccupazione della vasta e desolata regione. Ben presto, la grande rivolta – che coinvolse anche molte popolazioni nomadi del Chad, del Niger, dellegitto e del Sudan – si trasformò in una vera e propria guerra non soltanto contro gli italiani, ma anche contro le forze francesi e inglesi che presidiavano le suddette regioni. Questo composito movimento insurrezionale caratterizzato da una spiccata matrice nazionalista e religiosa fondamentalista, si allargò ed aggravò ulteriormente nel novembre 1914, in seguito allentrata in guerra dellimpero Ottomano a fianco degli Imperi Centrali. Facendo leva sullo spirito indipendentista delle popolazioni della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan e sulla comune fede religiosa, il governo di Costantinopoli – che male aveva digerito la cessione all’Italia del suo ultimo possedimento nordafricano (secondo il protocollo siglato il 18 ottobre 1912 a Losanna, il sultano rinunziava alla Tripolitania e alla Cirenaica pur conservando l’autorità religiosa sulle popolazioni libiche) – iniziò subito a lavorare intensamente per favorire una sollevazione generale delle popolazioni beduine contro il dominio coloniale italiano. E in quest’opera, la Sacra Porta poté in seguito avvalersi dell’appoggio della Germania e dell’Austria che, a partire dal 1915, misero a disposizione dell’alleato un discreto numero di sommergibili destinati al trasporto in Libia di consiglieri militari, armi, munizioni e rifornimenti indispensabili per il buon esito della rivolta. I primi sintomi di quest’ultima, pericolosa minaccia vennero percepiti con chiarezza dal Comando Supremo italiano ben prima che il governo di Roma decidesse di scendere in campo dalla parte delle forze dell’ Intesa (24 maggio 1915).

Un pezzo da campagna italiano da 70 mm. (Libia).

Il 14 novembre del 1914, in seguito alla proclamazione della Guerra Santa (Jihad) da parte del sultano, la quasi totalità delle irrequiete e mai del tutto domate tribù libiche, ripresero le armi attaccando con vigore la quasi totalità dei presidi italiani, espugnandone diversi o costringendo le guarnigioni a trovare rifugio nei grandi centri costieri. Nonostante le reiterate assicurazioni fornite a Roma dalla Sacra Porta (intenzionata, almeno in un primo momento, a non creare uno stato di guerra ufficiale con ltalia, nazione ancora neutrale) circa la estraneità dell’impero Ottomano alla rivolta, fino dal dicembre del 1914 i turchi provvidero ad inviare in Libia un certo numero di consiglieri militari. Era infatti nelle intenzioni del Comando Supremo ottomano fare ammainare il tricolore in Libia e, simultaneamente, scatenare una duplice offensiva (dalla Cirenaica e dalla Palestina) contro il Canale di Suez, presidiato da forze britanniche. Autocarro FIAT, Libia 1912. La prime fasi della rivolta senussa costrinsero il Comando italiano a fare arretrare i lontani presidi del Fezzan e dell’ entroterra tripolino e cirenaico verso la costa mediterranea, in modo da potersi avvalere della protezione della flotta. Ma durante queste operazioni di trasferimento, le nostre truppe furono messe a dura prova dai continui attacchi delle bande beduine che con improvvise e violente azioni decimarono intere colonne, distruggendo convogli carichi di rifornimenti, linee telegrafiche e capisaldi isolati. All’inizio di febbraio del 1915, mentre giungeva a Tripoli il nuovo governatore (generale Giulio Cesare Tassoni) la situazione in Tripolitania si era fatta drammatica. Dopo avere perso il controllo dell’intero Fezzan (che appena un anno prima era stato occupato al prezzo di immense fatiche) il colonnello Antonio Miani, responsabile dell’ intera operazione di arretramento, era stato costretto a lasciare ai senussi importanti centri come Murzuch, Sebha, Gadames (la cui guarnigione minacciata di annientamento dovette fuggire oltre il confine tunisino), Brach, Socna e Giofra, interrompendo di fatto tutti i collegamenti tra le forze italiane presenti in Tripolitania e Cirenaica. Al termine della marcia di ripiegamento, che costò agli italiani diverse migliaia tra morti, feriti e prigionieri, al generale Tassoni non rimanevano sotto controllo che poche località della costa tra cui Tripoli, Misurata, Bomba, Derna e Tobruk. E temendo il peggio, cioè di essere costretto ad abbandonare addirittura la colonia, il 14 febbraio 1914 egli diramò una circolare con la quale ordinava a tutti i suoi comandanti di presidio di difendere ad oltranza le proprie posizioni: disposizione che, pur essendo avvallata sia dal presidente del consiglio Antonio Salandra che dal ministro delle Colonie, ed ex governatore dell’ Eritrea, Ferdinando Martini, venne però giudicata precipitosa e controproducente dal capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Luigi Cadorna.

Aviatori e soldati italiani in Libia.

Pur non vedendo di buon occhio dispendiosi impegni militari fuori dai confini d’Italia (il 25 maggio 1915, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia il generale si rifiuterà di inviare rinforzi al governatore, pretendendo addirittura il ritiro di diversi reparti da impiegarsi sul fronte del Triveneto minacciato dagli austriaci), Cadorna era del parere che le forze a disposizione di Martini fossero più che sufficienti per respingere qualsiasi ulteriore tentativo nemico in direzione dei presidi della costa. Ciononostante, già il 27 gennaio 1915, in seguito alle prime puntate senusse contro le piazzeforti del litorale, Salandra aveva ordinato a Martini di rinforzare le difese di Tripoli e di Misurata. Il primo ministro temeva che una eventuale perdita di Tripoli e Misurata (località, quest’ultima, che in realtà cadde in mano beduina) avrebbe indotto, tra l’altro, il nemico ad adoperare le due basi come punti di appoggio per i sommergibili tedeschi che Costantinopoli aveva richiesto per rifornire le forze senusse e arabe impegnate contro gli italiani e gli inglesi. Truppe turche nel 1912. Nel febbraio 1915, in concomitanza con l’offensiva scatenata dal generale Jemal Pascià (comandante dell8 Corpo d’armata turco di Palestina) e dal colonnello tedesco Kress von Kressenstein contro le località del Canale Ismailia ed El Kantara (operazione che fallirà grazie alla pronta reazione dell’armata di lord Kitchener), il capo senusso Ahmed esh-sherìf – uno degli artefici della ribellione in Tripolitania e Cirenaica – si accordò con il ministro della Guerra turco Enver Pascià e spostò buona parte delle sue truppe ad Amséat, in territorio egiziano controllato dagli inglesi, con il preciso scopo di mettere a soqquadro le retrovie britanniche. Nello stesso periodo, oltre a mobilitare le forze di Ahmed esh-sherìf (che in un primo tempo si dimostrerà riluttante a scatenare una guerra contro gli inglesi, preferendo continuare a combattere contro gli italiani), gli emissari di Enver riuscirono a convincere anche il sultano del Darfur, Alì Dinar, ad attaccare l’Egitto anche da sud, cioè dal Sudan.

Sbarco di truppe italiane in Tripolitania (Guerra Italo-Turca, 1911-1912).

Questa manovra concesse un po’ di respiro alle forze del generale Giovanni Ameglio, ma non risolse certo la situazione in quanto il governo di Londra non volle intervenire con la dovuta prontezza contro le forze senusse provenienti dalla Libia. Dovendo fronteggiare le divisioni turco-tedesche lungo il canale di Suez, gli inglesi preferirono – anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia al loro fianco – lasciare l’alleato solo a combattere contro i ribelli libici riforniti ed appoggiati dagli Imperi Centrali, cioè da un nemico comune. Per convincere l’ambizioso Ahmed esh-sherìf a partecipare all’attacco all’Egitto, nel luglio del 1915 Enver Pascià invierà ad Amséat il proprio fratello, Nuri Bey e il senatore ottomano Suleimàn el-baruni. E contemporaneamente, il sultano di Costantinopoli nominerà Ahmed vali dell’intera Africa Settentrionale, insignendolo di molte altre onorificenze e promettendogli che, a guerra conclusa, lo avrebbe appoggiato nella costituzione di un regno libico indipendente dall’Italia e posto sotto la esclusiva sovranità senussita. Lusingato dalle nomine e dalle promesse del sultano, il Gran Senusso finirà quindi per aderire al progetto, affidando a Nuri il comando di tutte le sue truppe. Mitragliatrice Italiana Maxim-Vickers, Tripoli 1912. Intanto, sulla base delle direttive di Salandra, il 4 aprile 1915, il governatore Tassoni lanciò una duplice controffensiva nella Ghibla e nella Sirtica, con il preciso intento di allentare la morsa araba intorno alle città assediate e di sbaragliare le mehalle (formazioni mobili) beduine con una forza altrettanto rapida e dotata di un gran numero di cammelli. La prima operazione venne affidata al colonnello Gianinazzi, al comando di 700 soldati regolari del 1 battaglione libico e 1.300 male addestrati irregolari (tratti dalle bande dei villaggi di Mizda, Yefren e Garian). La forza era equipaggiata con 4 cannoni da montagna da70 millimetri e 6 mitragliatrici Maxim-Vickers. Dopo due giorni di marcia, in località, Chòrmet el- Chaddamìa, la colonna venne improvvisamente attaccata e circondata da non meno di 2.000 mujahedin al comando di Ahmed es-sunni. Nello scontro, molto violento, gli italiani ebbero sulle prime la peggio e lo stesso Ganinazzi, gravemente ferito, dovette essere sostituito dal maggiore Sartirana. Dopo essere riuscito a respingere i furibondi assalti nemici al prezzo di pesanti perdite, Sartirana decise di rinunciare alloperazione, ripiegando su Mizda. Ma lungo la pista, presso Uadi Marsìt, la stremata colonna verrà nuovamente attaccata e fatta a pezzi dalle forze di Ahmed es-sunni.

Un mezzo a motore italiano.

Al termine della battaglia (che costerà agli italiani 323 uomini) i beduini cattureranno circa 400 fucili Carcano modello 91, tre pezzi da 70 e la quasi totalità dei materiali e dei viveri. Il disastro di Uadi Marsìt non servì a fare riflettere il governatore Tassoni. Questi ordinò infatti al colonnello Antonio Miani di trasferirsi a Misurata e di organizzare una nuova operazione di polizia coloniale con lo scopo di ripulire l’intera Sirtica. L’impresa risultava molto difficile e Miani, che già in passato, durante la ritirata dal Fezzan non aveva palesato eccessive doti tattiche ed organizzative, la preparò nel peggiore dei modi. Egli insistette nel dare fiducia allelemento indigeno, costituendo 5 incerte bande di irregolari tratte da tribù provenienti da Zliten, Misurata e Tarhuna, integrandole con infidi guerrieri Orfella e Msellata. Ne venne fuori una massa di ben 3.000 soldati appiedati e 220 a cavallo che venne a sua volta integrata con il resto della colonna formata da 3.075 soldati regolari (un battaglione del 20 reggimento bersaglieri, un battaglione del 57 reggimento fanteria, una batteria da 70 mm. servita da volontari italiani, una batteria cammellata anch’essa da 70, il 4 e il 13 battaglione libico, il 15 battaglione eritreo, uno squadrone di cavalleria e un plotone di meharisti). In totale, Miani disponeva di 12 pezzi da montagna e di 12 mitragliatrici Maxim-Vickers, più 2.000 cammelli e 20 muli. Ai più attenti osservatori apparve subito evidente che la componente irregolare risultava troppo elevata rispetto a quella regolare. Non solo, durante la fase organizzativa Miani aveva costretto parte degli irregolari ad arruolarsi con la forza e, se necessario, con il randello, ordinando inoltre ai suoi uomini di requisire nei villaggi la gran parte dei cammelli necessari alla spedizione. Il 5 aprile 1915, la colonna Miani lasciò Misurata e quattro giorni più tardi raggiunge Bir el Ezzar dove lo attendevano le bande Tarhuna e Orfella al comando del maggiore Rosso. Il 14, la colonna si accampò a Bir el-gheddahia e da questa località riprese poi la sua marcia verso l’accampamento dei ribelli di Gasr Bu Hadi. All’improvviso, il 23 aprile, Miani comunicò a Tripoli di volere cambiare itinerario poiché si trovava a corto di acqua e tutti i pozzi lungo la via risultavano interrati. La colonna si diresse quindi verso Sirte, che raggiunse il giorno 26. La stessa sera, oltre 200 guerrieri della banda di Tarhuna si rifiutarono però di continuare la marcia, lamentandosi di essere stati costretti, contrariamente alle promesse, a spingersi in una regione troppo lontana. Anziché liberarsi di questo infido reparto, Miani lo obbligò con la forza a proseguire.

Un pezzo da campagna turco (di fabbricazione tedesca) da 87 mm.

Il 28 aprile 1915, la colonna lasciò Sirte e due giorni dopo raggiunse i pozzi di Bu Scenaf, non prima di avere dovuto fronteggiare e respingere i primi attacchi condotti da numerose bande senusse appoggiate anche dal fuoco di alcuni pezzi d’artiglieria. Il 29 aprile, Miani portò i suoi uomini verso linterno, in direzione di Gasr Bu Hadi, località che egli credeva presidiata da circa 1.500 mujahedin agli ordini dei capi ribelli Safi ed-din, Ahmed Tuati e Abdalla ben Idris. A Gasr Bu Hadi, le forze italo-libiche, che marciavano in formazione compatta ed appesantita dalle salmerie, furono nuovamente attaccate da raggruppamenti irregolari. Per prima cosa, i beduini si avventarono sulle salmerie e sui reparti irregolari che, dopo appena una decina di minuti di combattimento, iniziarono a sbandarsi e a sparare alle spalle ai soldati italiani e regolari libici ed eritrei. Miani cercò, con molto ritardo, di sparpagliare le sue colonne, ma il nemico reiterò i suoi attacchi sospingendo i reparti italiani verso una stretta valle. Fu linizio della fine.

Guerrieri senussi (Libia).

Dopo unora di disperati combattimenti, nel corso dei quali caddero da eroi il tenente colonnello Pirzio Biroli, il maggiore Maussier, e i tenenti dartiglieria Della Bona, Dinaro e Fontebuoni, Miani tentò di fare arretrare i suoi verso Sirte, ma ben presto la ritirata si trasformò in rotta. Verso sera, i combattimenti ebbero termine con la totale sconfitta degli italiani. Su 84 ufficiali, 19 risultarono deceduti e 23 feriti. Su 900 soldati nazionali, i morti furono 237 e 127 i feriti. Dei 2.089 ascari eritrei e libici regolari, 242 sono rimasti uccisi e 290 feriti. Caddero inoltre nelle mani del nemico 5.000 fucili, circa 3 milioni di cartucce, almeno 6 mitragliatrici, quasi tutti i pezzi da 70 millimetri, il 90% delle riserve alimentari e dell’equipaggiamento pesante e persino la cassa militare. In nessuna altra battaglia sostenuta in Libia, a partire dal 1911, l’esercito italiano aveva mai patito perdite così disastrose. Pezzo Italiano da 149 mm, Bengasi 1912. Alla fine di aprile del 1915, la rivolta senussa dilagò su quasi tutto il territorio della Tripolitania ancora sotto controllo italiano. Il 3 maggio, i ribelli giunsero ad appena otto chilometri dalla cinta difensiva di Misurata. Preso dal panico, il governatore Tassoni tempestò Roma di richieste di rinforzi, nonostante che il governo avesse già provveduto – dopo avere superato la riluttanza del generale Cadorna – ad inviargli ben 18 battaglioni di rincalzo. L8 maggio, Tassoni fece richiesta formale per altri 5 battaglioni rinforzati da 2 batterie da montagna. Ma questa volta Cadorna di dimostrò irremovibile. Il generale, che si stava preparando alla guerra con l’Austria, suggerì a Tassoni di abbandonare tutti i presidi minori, concentrandosi nella difesa di Tripoli, Homs, Zuara e Misurata Marina.

Truppe italiane in Libia.

Nel luglio del 1915, Tassoni, ormai incapace di affrontare la situazione, venne rimosso e sostituito dal generale Ameglio. L’avvicendamento si rivelò un toccasana. La prima guarnigione a ritirarsi fu quella di Garian, forte di 4.400 uomini e 20 cannoni. Partita il 6 luglio, due giorni più tardi raggiunse la località di Azizia. Anche il presidio di Zliten ripiegò su Tripoli, che raggiunse via mare l8 luglio. La guarnigione di Yefren, forte di 3.500 uomini al comando del tenente colonnello Nigra, confluì su Zavia l’11 luglio. Il 20 luglio, le forze italiane si rifugiano nelle ultime località della costa ritenute ancora difendibili, e cioè Tripoli, Homs, Zuara e Misurata Marina, anche se Ameglio non si sentiva di escludere l’abbandono anche di queste ultime due città se non gli fossero stati forniti adeguanti rinforzi. Richiesta che il generale Cadorna respingerà con decisione, richiedendo anzi l’immediato rimpatrio di un notevole quantitativo di truppe. Il comandante supremo dell’esercito italiano era infatti convinto dell’inutilità di qualsiasi dispendio di uomini e mezzi in Libia, utili invece per rinforzare il fronte del Triveneto. L’atteggiamento di Cadorna (sicuro come era che gli oltre 33.000 uomini e quasi 140 cannoni il Comando di Tripoli fossero più che sufficienti per difendere Tripoli, Homs e Misurata Marina dagli attacchi di un esercito irregolare), costrinse Ameglio a sgomberare il presidio di Zuara e a fare rientrare in patria 6.500 soldati, 700 quadrupedi, 38 pezzi d’artiglieria e 12 mila tonnellate di rifornimenti. Il 5 agosto 1915, il contingente si imbarcherà a Misurata a bordo di alcuni piroscafi. Nel settembre del 15, dell’intera Libia rimanevano in mano italiana le sole città Tripoli e Homs, proprio come nellottobre del 1911.

Ufficiali turchi il Libia. Al centro, Kemal Pasha.

Tra il gennaio e la fine di luglio 1915, nel corso delle operazioni di sgombero della colonia, le colonne italiane avevano subito vuoti spaventosi: 55 ufficiali, 483 soldati nazionali e 894 ascari: perdite che salivano ad un totale di ben 5.031 calcolando i feriti, i prigionieri e i dispersi. Inoltre, sempre nello stesso periodo, le forze ribelli erano riuscite a catturare 37 cannoni da 70 e da 75 millimetri, 20 mitragliatrici, 9.048 fucili, 28.021 proiettili dartiglieria, 6.185.000 cartucce per fucili e mitragliatrici, 37 autocarri e 14 stazioni radio. Il disastro di Adua è stato sorpassato, annoterà il 2 agosto 1915 lo sconfortato generale Ameglio in una sua missiva diretta a Roma.Ridotte di un forte italiano, Libia 1912 Il 21 agosto 1915, data della dichiarazione di guerra dellitalia allimpero Ottomano, il dispositivo di difesa di Tripoli e di Homs, comprendeva complessivamente 33.664 uomini, di cui 851 ufficiali, 30.565 nazionali, 1.811 ascari eritrei e 437 somali, con a disposizione un notevole parco dartiglieria composto da 133 pezzi da 70, 75 (modello A) e da 149 millimetri, in parte mobili e in parte fissi, più 28 mitragliatrici (quantitativo in realtà piuttosto esiguo dato il tipi di guerra) e 9 apparecchi da ricognizione e bombardamento Farman e Caproni.

Ufficiali turchi in Libia.

Il generale Ameglio calcolò che i ribelli disponessero di 18/20.000 soldati bene armati ed equipaggiati, sostenuti da un numero sempre crescente di consiglieri militari ed istruttori turchi e tedeschi, sbarcati da sottomarini germanici lungo la costa cirenaica. Cavalleria Turca nel 1914. Temendo nuovi attacchi in massa da parte del nemico, Ameglio impiegò tutte le sue energie per consolidare il perimetro difensivo di Tripoli che andò ad inglobare le località periferiche di Tagiura, Ain- Zara e Gararesc, non raggiungendo però che i 32 chilometri di lunghezza. Ameglio fece estendere tratti di reticolato ad alta tensione e fece scavare e costruire un gran numero di trincee, postazioni protette per artiglieria e mitragliatrici, bunker, depositi e rifugi sotterranei. Analoghi provvedimenti vengono presi anche per Homs. Nel settembre del 15, la consistenza delle difese non sembrava però soddisfare il generale. Per quanto disponesse, fra Tripoli ed Homs, di una notevole e concentrata massa di uomini, egli pensò addirittura di abbandonare Tagiura per incamerare i tre battaglioni che presidiano la località. Risultava evidente quanto la seppure grave minaccia senussa venisse largamente sopravvalutata dal generale. Ameglio. Intorno alla metà di agosto, presso il campo di Amséat, Nuri e Ahmed esh-sherìf radunarono 2.000 arabi regolari, addestrati dai consiglieri militari ottomani al seguito di Nuri; circa 700 guerrieri beduini, 87 tra ufficiali e sottufficiali turchi e tre tedeschi addetti al funzionamento degli impianti radio, delle artiglierie e delle mitragliatrici catturate agli italiani o inviate da Costantinopoli. Dopo avere utilizzato la radio del campo per lanciare arditi ma anche imprudenti messaggi inneggianti alla vittoria contro gli infedeli inglesi e italiani, Ahamed incitò Nuri a scatenare un attacco contro i capisaldi britannici in Egitto. Ahamed non era però al corrente del fatto che il Comando del Cairo – messo in allarme dal governo italiano – aveva provveduto ad inviare a Marsa Matruh un contingente di 2.000 soldati equipaggiati con armi automatiche, artiglierie e autoblindo e supportato da alcuni aerei da ricognizione. Truppe turche, Libia 1916. Preoccupato dalle infiltrazioni senusse in Egitto, all’inizio dell’estate del 1915 il governatore Lord Kitchener aveva pregato uno dei due fratelli minori di Ahmed esh-sherìf, Mohammed Idris, di convincere gli arabi a desistere dai loro propositi. Ma il suggerimento non aveva ottenuto l’esito sperato. Alla fine dell’estate del 15 le forze al comando di Nuri Pascià erano infatti penetrate in territorio britannico, proprio nel mentre Ahmed, ormai preso da megalomania, scatenava una violenta ma dispendiosa serie di offensive sia contro i francesi, nella regione del Uadai e in quella del massiccio del Tibesti, sia contro gli italiani, in Cirenaica. Nel settembre 1915, le orde senussite conquistarono diverse oasi del deserto libicoegiziano: Siua, el-baharia, Faràfra, Mogara e Cufra, allacciando collegamenti diretti con le forze del sultano Alì Dinar che aveva messo a ferro e fuoco la regione del Darfur (Sudan anglo-egiziano). Tuttavia, il 12 novembre, dopo avere sopraffatto la piccola guarnigione britannica di Sollum (i cui superstiti vennero salvati da unità della Royal Navy), all’interno dell’armata ribelle iniziarono ad aprirsi le prime crepe. Preoccupati per le troppe promesse fatte ad Ahmed, Suleimàn el-baruni tentò di imbrigliare la rivolta, suggerendo al capo senusso di limitare le sue pretese. Ma questi, indispettito dal voltafaccia turco, reagì in malo modo, minacciando di eliminare i consiglieri ottomani. Suleimàn decise quindi di abbandonare il pericoloso alleato e, la notte tra il 12 e il 13 novembre, si imbarcò su un sommergibile tedesco rientrando a Costantinopoli. Dal canto suo, Nuri bey rifiutò di lasciare il comando delle truppe senussite e scatenò un attacco contro Sidi el-barrani, mentre la tribù degli Ulad Alì insorgeva in Marmarica. Per i britannici le cose si misero male, anche perché dalle basi austriache di Cattaro e Pola tre sommergibili tedeschi, ciascuno con a bordo circa 40 tonnellate di armi, munizioni, attrezzature militari, viveri e medicinali e una dozzina di ufficiali tedeschi, provvidero a rifornire le truppe di Nuri. Questi, nel corso di alcuni vittoriosi scontri, era riuscito a catturare agli inglesi un paio di pezzi d’artiglieria e tre autoblindo, uccidendo un centinaio di ufficiali e soldati alglo-egiziani, tra cui il colonnello Snow che in passato aveva sostenuto lopportunità di abbandonare gli italiani, impegnati contro Ahmed, al loro destino. Il 15 dicembre 1915, circa 5.000 guerrieri senussiti e 120 tra ufficiali e soldati turchi e tedeschi arrivavano in vista di Marsa Matruch, dove, nel frattempo, il generale John Maxwell aveva concentrato 10.000 soldati con un cinquantina di cannoni e circa 25 autoblindo Rolls-Royce. Pochi giorni dopo, giunse a dare man forte a Maxwell un’intera brigata sudafricana, equipaggiata con decine di autoveicoli, mezzi blindati e artiglierie. E per le forze di Nuri fu la fine. Il 25 dicembre, a el-hzalin, le forze di Maxwell travolsero le schiere senussite, ricacciando il nemico oltre il confine libico e riconquistando Sidi el-barrani. Il 26 febbraio 1916, il generale Peyton, che nel frattempo aveva sostituito Maxwell, sconfisse ad Aggaghir gli ultimi reparti di Nuri, rioccupando, il 24 marzo, Sollum e distruggendo la base senussita di Amséat. Nuri dovette fuggire con pochi scampati nel profondo della Marmarica ed in seguito a Misurata, mentre Ahmed esh-sherìf, con un manipolo di fedelissimi, trovò rifugio prima nell’oasi di Siwa e poi in quella di Giarabub (in seguito, lo sciagurato condottiero verrà esautorato e sostituito dal fratello Mohammed Idris al comando delle armate senussite). Il piano turco-tedesco di invasione dell’Egitto era dunque fallito. Nel febbraio del 1916, sul fronte libico, le forze ribelli arabe al comando di ufficiali turchi continuarono tuttavia a molestare le guarnigioni italiane della costa. Nonostante la battuta di arresto in Egitto, il Comando ottomano e quello tedesco insistettero per cacciare gli italiani dalla Tripolitania e dalla Cirenaica.Sommergibili tedeschi di base a Cattaro nel 1916. Nell’agosto del 1915, in Cirenaica gli italiani tenevano sotto controllo la fascia costiera che da Ghemines (50 chilometri a sud di Bengasi) fino a Tobruk in Marmarica. E in questa zona potevano fare affidamento su una catena formata da 5 forti capisaldi: Bengasi, el-merg, Cirene, Derna e Tobruk. Complessivamente, se si includono le guarnigioni della Tripolitania, gli italiani disponevano di 34.005 soldati, di cui 808 ufficiali, 27.649 nazionali, 3.740 eritrei, 529 somali e 1.279 libici, con 122 pezzi d’artiglieria da 70, 75 e 149 millimetri, circa 40 mitragliatrici Maxim-Vickers e 8 aerei da ricognizione Farman. Nel marzo del 1916, gli organici risultavano sostanzialmente invariati. All’inizio della primavera del 1916, a Misurata giunse a bordo di un sommergibile tedesco il giovane ed abile generale di divisione Nuri Pascià, fratello del ministro della Guerra turco, accompagnato dal maggiore Abd er-rahmàn Nafis Bey e da una decina di altri ufficiali. Il piano di Nuri era quello di mantenere ad ogni costo la base, potenziandone l’attrezzatura in modo da permettere l’attracco di più sommergibili. Dando prova di notevole intraprendenza, Nuri raccolse a Misurata un gran numero di armi e di munizioni strappate agli italiani e fece costruire anche una grossa officina addetta alle riparazioni di fucili, mitragliatrici e cannoni. Per consolidare i collegamenti con Costantinopoli e con le basi di Cattaro e Pola, egli richiese una stazione radio ricetrasmittente che otterrà nella primavera del 1917 quando giungerà a Misurata una folta missione militare tedesca al comando del capitano Otto Todenwarth. Per la cronaca i tedeschi installeranno la stazione utilizzando come antenna quella catturata nel presidio italiano di Beni Ulid.

Sommergibile tedesco U35 nel Mediterraneo.

Verso la metà di agosto del 1916, il l’attività dei sommergibili tedeschi aumentò ulteriormente. Tra l’estate del 16 e l’estate del 1917, i battelli germanici effettueranno numerosissime missioni di rifornimento alle truppe di Nuri, sbarcando a Misurata centinaia di tonnellate di armi, munizioni e rifornimenti. In una corrispondenza datata 31 luglio 1917, il generale Ameglio riferirà che un sottomarino tedesco ha sbarcato a Gasr el-araar 5 cannoni da 37 millimetri, munizioni, fucili Mauser e denaro. E il 10 gennaio 1918, l’ufficio del capo di Stato maggiore della Marina riporterà che nel giro di poche settimane i battelli tedeschi sono riusciti a sbarcare 8 cannoni da 57 millimetri e alcuni pezzi leggeri da 37, sottolineando che ad ogni viaggio i tedeschi trasportano a Misurata circa 600 fucili con relativo munizionamento. Anche sotto il profilo politico lazione di Nuri si dimostrò incisiva e brillante. Dopo avere riorganizzato la regione di Misurata nuovamente su modello del vilayet turco, il generale, che come i tedeschi ormai non si fidava più dei senussi, scatenò una guerra intestina contro questi ultimi. Nel giro di alcuni mesi, grazie all’appoggio dell’ufficiale albanese Mohammed el-arnauti ben Chalifa Zami, Nuri ripulì il Fezzan e nell’agosto del 1917 conquistò Murzuch e Sebha catturando ed impiccando il capo senusso Mohammed Ali el-asceb. A Murzuch finì prigioniero delle truppe turche al comando del capitano Ahsen Sakeb bey anche il tenente Enrico Petrignani che tre anni prima era stato catturato dai ribelli nel deserto assieme ad altri soldati italiani e francesi. Dal punto di vista tattico e militare, Nuri affidò al comandante libico Ramadàn esc-scèteui il compito di sorvegliare la piazzaforte italiana di Homs e l’intera Tripolitania orientale, mentre a Suleimàn el-baruni spettò l’incarico di tenere bloccate le grosse guarnigioni di Tripoli e di Zuara. Nuri rivelò le sue spiccate doti di grande comandante ed organizzatore, eliminando uno dopo l’altro i riottosi capi senussi e ricompattando tutte le tribù sotto lo stendardo ottomano.

Ufficiali turchi e guerrieri senussi.

Dal canto suo il generale Ameglio si dimostrò sprovvisto degli attributi necessari per fronteggiare un così abile avversario.Nellestate del 1917, tutte le truppe italiane rimasero rintanate nelle loro fortezze, lasciando al nemico la più assoluta libertà di movimento. Ameglio abbozzò senza molta convinzione un piano per occupare, con lappoggio della flotta, il porto di Misurata, ma questo venne cassato da Roma. Nellautunno del 1917, in seguito al disastro di Caporetto, il generale Cadorna imporrà ad Ameglio di rinunciare a buona parte dei suoi effettivi (e di quelli dislocati in Albania). Ma sia Sidney Sonnino che Vittorio Emanuele Orlando si opporranno a questa richiesta, temendo la perdita di Tripoli e di Homs. Successivamente, con la sostituzione di Cadorna, il nuovo comandante in capo dellesercito, generale Armando Diaz non soltanto concederà ad Ameglio di mantenere inalterata il suo dispositivo militare, ma gli farà pervenire anche qualche rinforzo, compresi due piccoli, scalcagnati reggimenti composti da sbandati di Caporetto. Uno di questi, tuttavia, non raggiungerà mai Tripoli in quanto la nave sulla quale era imbarcato verrà silurata ed affondata da un sottomarino tedesco. Nel dicembre del 1917, nonostante gli ottimi risultati conseguiti, il generale turco Nuri Pascià e Abd er-rahmàn Nafis bey vennero richiamati a Costantinopoli e sostituiti dal generale Isaagh Pascià e dal maggiore Nesciat bey. Manovra questultima che consentirà agli italiani di tirare il fiato in quanto Nesciat si dimostrerà non troppo abile dal punto di vista militare e soprattutto troppo duro con le insofferenti e anarchiche truppe beduine. Tanto è vero che, nel maggio 1918, Nesciat bey verrà anchegli richiamato a Costantinopoli e sostituito (addirittura con funzioni di vicerè) da un nipote del sultano, lemiro Othman Fuad, uomo più duttile ed accorto. Più o meno nello stesso periodo anche lalto Comando austriaco invierà a Misurata alcuni consiglieri, tra cui il principe Franz Joseph di Braganze. Il nobile raggiungerà la Libia a bordo di uno dei soliti sommergibili tedeschi passati attraverso le larghe maglie della sorveglianza delle unità della Marina Italiana. Sullaltro campo, il 15 luglio 1918, il generale Giovanni Ameglio vrràenne sostituito nellincarico di governatore dal generale Vincenzo Garioni (già governatore di Libia nel periodo 1913-1914). Garioni giungerà l8 agosto a Tripoli con il compito di schiacciare la rivolta turco-araba. Ma ormai le sorti della guerra iniziavano a volgere in favore delle forze dellintesa. In seguito al trionfo di Vittorio Veneto e alla sconfitta turco-tedesca di Megiddo (Palestina), le forze ribelli arabe, lacerate dalle lotte intestine ed abbandonate dai consiglieri militari ottomani e tedeschi, inizieranno ad rallentare la loro attività contro i presidi italiani, consentendo al generale Garioni di riprendere con successo liniziativa sia militare che diplomatica: iniziativa che negli anni Venti consentirà la totale riconquista della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan. BIBLIOGRAFIA: Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia, Tripoli bel suol damore 1860-1922, Edizioni Laterza, bari 1986. Franco Bandini, Gli italiani in Africa, Storia delle guerre coloniali 1882-1943, Longanesi, Milano 1971. T. R. Threlfall, Senussi and His Threatened Holy War, Nineteenth Century, March, 1900. Enrico Petrignani, Nel Sahara tripolitano, Sindacato arti grafiche, Roma 1928. Ferdinando Martini, Diario 1914-1918, Mondadori, Milano 1966. Meuccio Ruini, LIslam e le nostre colonie, il Solco, Città di Castello 1922. Michael Wilson & Paul Kemp, Mediterranean Submarines, Crécy Publishing Limited, Manchester (UK) 1997. Ufficio Storico della Regia Marina Italiana, La Marina italiana nella Grande Guerra, Vol.III, Valechi, Firenze 1938-42. Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Mondadori

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