In esclusiva, il discorso dell’ambasciatore d’Israele in Italia, Dror Eydar al 31° Congresso della Federazione Italia – Israele. La Redazione (*).

Grazie a tutti, al presidente della Federazione, ai Signori membri del Consiglio e Direttivo,  ai presenti delle associazioni, care amiche e cari amici, shalom a tutti. Molte grazie per l’invito al vostro congresso annuale. Anche se questo mio primo anno da ambasciatore qui in Italia è coinciso in parte con un periodo molto duro e difficile per tutti noi, che non è ancora concluso,  ho però avuto modo ugualmente di conoscere la realtà delle associazioni e di apprezzare il lavoro prezioso che svolgete.  Per questo vi esprimo tutta la nostra gratitudine, incoraggiando tutti voi, a partire dai presidenti, a tenere duro e a proseguire in questo inestimabile lavoro, così importante per Israele e anche per l’Italia. Ringrazio gli organizzatori per l’opportunità di parlare qui con voi e spero di poter fornire un punto di vista nuovo su un vecchio argomento. In questa occasione vorrei congratularmi con la mia collega vice ambasciatrice Ofra. per i 15 mesi di lavoro insieme, in cui ho imparato molto da lei, avendo modo di sentire le opinioni dissenzienti e da quelle formulare le mie posizioni su un terreno più solido. Ofra è una veterana del Ministero degli Affari Esteri israeliano, esperta e professionale, con una profonda dedizione al suo lavoro e al nostro Paese. Recentemente,  come lei ha detto, ha ricevuto la nomina di ambasciatrice in quattro Paesi africani e sono certo che rappresenterà lo Stato di Israele nel migliore dei modi, a beneficio di Israele e dell’Africa. Quindi, a nome di tutti noi e a nome dello Stato di Israele,  voglio dire a Ofra, dal mio cuore: grazie mille, buona fortuna, Dio ti benedica. E adesso il mio intervento. Stiamo vivendo un periodo insolito. Nell’ultimo anno il mondo è entrato in una guerra mondiale contro un nemico invisibile, le economie sono paralizzate, la vita culturale ridotta, i ristoranti sono chiusi e ci teniamo a distanza gli uni dagli altri. Purtroppo, gli unici posti in piena attività sembrerebbero quasi solo gli ospedali. E non è l’unica cosa insolita.  Di recente Israele ha firmato un accordo di normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti e con il Bahrain e successivamente anche il Sudan si è unito a questa onda di pace. È bene ricordare che proprio dal Sudan uscì, nel lontano agosto del 1967, la dottrina politica araba così detta dei “tre no”:  no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele e no ai negoziati con Israele. Chissà, gira voce che anche uno dei paesi leader del mondo musulmano stia per unirsi pubblicamente: l’Arabia Saudita. Lo speriamo vivamente. Ed ecco che le reazioni a questa pace in Europa, per esempio,  spaziano dal sostegno esitante, o astioso, fino al disinteresse totale. Persino alla Knesset i partiti arabi israeliani hanno votato contro questi accordi e hanno anche condannato la pace col Sudan. Incredibile… Quasi tutti i pubblici funzionari europei che parlano dell’accordo, menzionano allo stesso tempo i palestinesi e la necessità di raggiungere un accordo e la pace. Bene, ovviamente non dicono come, ma si limitano a menzionare la soluzione dei due Stati e la necessità di avviare negoziati. Mi sembra che l’Europa sia ancora ferma agli anni ’80. È come se non avessimo mai provato nessuno dei grandi esperimenti, che sono stati gli accordi di Oslo, il piano di disimpegno da Gaza, o tutta una serie di altri vertici di pace, che nel migliore dei casi si sono conclusi nel nulla,  o con terribili attacchi terroristici nei peggiori dei casi. Lo slogan più comune nella diplomazia europea è “la soluzione dei due Stati”.  In tutte le occasioni in cui ho potuto parlare al Senato e alla Camera qui in Italia, ho ricordato a chi mi ascoltava che questo slogan ha anche una seconda parte: “due Stati per due Popoli”. Gli accordi di Oslo del 1993 si basavano sul presupposto che alla base del conflitto tra noi e i palestinesi esistono due movimenti nazionali: uno ebraico sionista e uno arabo palestinese.   Gli anni trascorsi da allora ci hanno insegnato che, mentre noi abbiamo riconosciuto il carattere nazionale palestinese, loro non hanno mai riconosciuto il nostro carattere nazionale.  Per quanto li riguarda, gli ebrei sono solo una religione e non una nazione, pertanto gli Ebrei non hanno diritto all’autodeterminazione nazionale e a un proprio Stato e sicuramente non hanno alcun legame storico con la Palestina. A proposito, il nome Palestina, preso dai filistei, uno degli antichi popoli del mare menzionati anche nella Bibbia, fu imposto all’antica Giudea dall’imperatore Adriano nel II secolo dell’era volgare, con l’intento di far dimenticare agli Ebrei la loro terra. Questo imperatore non conosceva il giuramento degli esuli di Sion, avvenuto 600 o 700 anni prima del suo periodo. Ciò che ho detto non è una supposizione, una speculazione. È un’affermazione fatta pubblicamente. L’articolo 20 della Carta Nazionale Palestinese afferma quanto segue:  “La dichiarazione di Balfour, il mandato per la Palestina e tutto ciò che si è basato su di essi sono considerati nulli. Le rivendicazioni di legami storici e religiosi degli ebrei con la Palestina sono incompatibili con i fatti della storia e con gli elementi costitutivi di uno Stato nel suo vero significato. L’ebraismo, in quanto religione rivelata,  non è una nazionalità indipendente, né gli ebrei costituiscono una singola nazione con una propria identità,  ma sono cittadini degli Stati in cui si trovano”.    Incredibile!  Ho letto questo articolo tante volte e in ogni volta che l’ho letto ho visto la sorpresa, qui in Italia e in Europa.  Vale la pena notare che negare il legame tra gli ebrei e la Terra Santa, vuol dire inevitabilmente negare anche le radici cristiane in Israele. Ofra ha menzionato questo nelle risoluzioni dell’ONU,  quando parlano solo di Haram al Sharif.  Allora ho detto alla Farnesina di non ricordare che Gesù abbia camminato al Haram al Sharif… Nel Nuovo Testamento è scritto, come si dice in italiano, Monte del Tempio. Ma l’Italia vota come altri e nega le radici del Cristianesimo in Israele.  Ma chi ascolta?  Questo è il teatro dell’assurdo. È anche vero che noi non abbiamo bisogno del riconoscimento dei palestinesi, ma questa è una chiara indicazione della sincerità delle loro intenzioni. Spiega anche perché non hanno mai accettato alcun accordo con gli ebrei, nemmeno nel 1937, quando la Commissione Peel del governo inglese propose di spartire il Paese, assegnando (ascoltate bene) a noi solo il 17% del territorio della terra d’Israele occidentale e il 75% agli arabi.  Ben Gurion rispose positivamente a questa proposta, ma i palestinesi dissero, ovviamente,  “no”.  Il 29 novembre 1947 rifiutarono anche il piano di partizione delle Nazioni Unite e il giorno seguente lanciarono una guerra contro di noi.   La guerra è cominciata vicino alla città di Petah Tiqwa, dove sono nato.   30 novembre 1947,  è il momento in cui è cominciata la guerra di indipendenza. Dopo la risoluzione.  Allora non era solo “no”, ma “no” con guerra!  Il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese, Mahmud Abbas, ha dichiarato apertamente, anche alla televisione israeliana, che non riconoscerà mai Israele come stato ebraico.  La ragione di ciò può essere trovata in quello che vi ho detto prima: un accordo porrebbe fine al conflitto e a tutte le rivendicazioni, il che comporterebbe il riconoscimento degli ebrei come nazione e il loro diritto ad almeno parte del Paese. Pertanto, ripeto,  i palestinesi non hanno mai voluto un loro Stato indipendente accanto allo Stato di Israele. Forse i palestinesi non volevano che avessimo uno Stato, ma non hanno comunque mai accettato un compromesso territoriale con noi, neanche dei più generosi, perché un tale compromesso obbligherebbe i palestinesi a riconoscere il diritto degli ebrei alla terra, almeno per la parte che rimarrebbe a loro, e questo toglierebbe terreno ai palestinesi per la loro rivendicazione al ritorno dei profughi arabi. Questo è anche il motivo per cui non abbiamo mai sentito da un portavoce ufficiale palestinese quali siano le loro richieste finali. Ho posto questa domanda anche alla Farnesina e al Senato: chi sa quali siano le loro richieste finali, una volta soddisfatte le quali verrebbe proclamata la fine del conflitto e delle loro rivendicazioni? Nessun documento di questo tipo è stato mai reso pubblico. Perché? Perché la fine del conflitto non dipende da alcun compromesso territoriale, ma da credo e ideologie. Ciò nonostante i palestinesi sono sempre invitati al tavolo dei negoziati. Questo è ciò che abbiamo fatto negli ultimi 100 anni e così continueremo a fare, ma la situazione è in stallo.  Cosa possiamo fare?  Continueremo a parlare della soluzione dei due Stati, come una sorta di mantra religioso? O oseremo guardarci intorno e renderci conto che la realtà è cambiata e che non obbedisce esattamente a noi e che non obbedisce esattamente neanche all’Europa? Alla luce di tutto quanto detto, la storia lontana e recente ci ha insegnato che forse dobbiamo cambiare il paradigma prevalente fino a oggi, sia rispetto al Medio Oriente in generale, sia rispetto al conflitto israelo-palestinese. Riguardo al Medio Oriente, si tratta della culla della civiltà umana, una regione antichissima, pertanto lì i processi sociali e culturali maturano lentamente.  Abbiamo bisogno di pazienza e siamo solo all’inizio di quello che sembra essere un cambio di paradigma.  Lo dirà il tempo. Nella regione vediamo chiaramente un asse sciita che si estende dall’Iran attraverso l’Iraq, la Siria, il Libano, fino al mar Mediterraneo.  Per la prima volta in 1400 anni, dalla nascita dell’Islam, l’evidente interesse dell’Iran è un Medio Oriente instabile, dove esso possa esercitare la propria influenza. Diversi paesi arabi capiscono bene che la reale minaccia per loro viene dall’Iran. Raccomando il web site MEMRI, dove potete guardare tanti video del Medio Oriente, in ebraico, con la traduzione in inglese, e potete guardare questo cambiamento del paradigma. Come ho detto, questi paesi arabi capiscono ormai che quello che fino a poco tempo fa era considerato un assioma, secondo cui Israele è il problema, ora cambia completamente. Non era vero allora, ma ora questo è evidente anche per loro:  Israele è la soluzione per stabilizzare il Medio Oriente.  Insieme possiamo frenare l’Iran nella realizzazione delle sue intenzioni.  A tale proposito vale la pena sottolineare un altro punto fondamentale. Circa cento anni, fa dopo la prima guerra mondiale, l’Europa fece un dono ai popoli arabi:  gli Stati nazionali,  un insieme di minoranze unite in uno Stato. Così fu in Siria, Iraq, Libia, Libano, e in altri paesi ancora. Queste minoranze vivevano separate l’una dell’altra, spesso odiandosi a morte, come le minoranze ‘alawiti, sunniti, sciiti , cristiani, drusi, curdi… insieme. Allora, che cosa li teneva insieme in questo Stato nazionale?  Li teneva insieme una visione condivisa, valori condivisi, una religione comune?  No.  Li tenevano insieme dittatori, come Assad padre e suo figlio, Gheddafi, Saddam Hussein e altri,  che governavano con la forza delle armi e non garantivano ai loro cittadini i diritti civili fondamentali, né libertà di parola, né scienza… nulla, niente.   Questa struttura artificiale dello Stato-Nazione arabo in Medio Oriente ha iniziato a crollare nell’ultimo decennio. Si chiamava “La Primavera araba”.  Al suo posto sono riemerse le antiche strutture primordiali che hanno retto l’area per migliaia di anni:  tribù, comunità confessionali, clan familiari e altro ancora. Inoltre sono aumentate le tensioni tra le due fazioni rivali dell’islam, i sunniti e gli sciiti,  in una misura senza precedenti nella storia. Ciò che gli sciiti hanno avuto paura di dire apertamente sui sunniti sin dalla nascita dell’Islam (perché erano una minoranza che temeva per la propria vita), lo dicono adesso apertamente. Così gravi che stanno creando un divario tra le due correnti, fino al punto di farne quasi due religioni separate.  Questa è separazione tra Arabia Saudita, Emirati e Iran, sunniti e sciiti quindi siamo forse alla soglia di un’altra era,  che chiamo post stato-nazione araba ed è il riassestamento delle relazioni tra i popoli nelle regioni. Questo per il Medio Oriente. Per quanto riguarda i palestinesi, il paradigma era che il progresso nella normalizzazione con gli stati arabi non sarebbe stato possibile senza una soluzione alla questione palestinese.  Gli Stati arabi ora capiscono che di fatto hanno dato ai palestinesi il diritto di veto sul loro futuro. Questo è il motivo per cui si sentono sempre più voci sensate che chiedono perché non trarre profitto dai futuri rapporti ufficiali con Israele.  Questa domanda si fa ancora più pungente alla luce del costante rifiuto palestinese degli ultimi 100 anni. Come ho detto, hanno sempre detto “no”, a qualsiasi piano, anche a quelli molto generosi con loro e non hanno mai pagato un prezzo. A questo proposito, parole simili sono state recentemente pronunciate anche dal principe saudita Bandar bin Sultān.  In un’intervista, anche lui ha detto che i palestinesi non hanno mai pagato un prezzo per i loro errori politici (potete trovare questa intervista in YouTube o MEMRI). I palestinesi hanno potuto sostenere Hitler negli anni ’40,  Saddam Hussein alla fine degli anni ’80,  i Fratelli Musulmani negli anni 2000 e l’Iran oggi, in contrasto con la linea principale seguita degli Stati arabi moderati, senza dover mai cambiare rotta e con il supporto automatico da parte di altri Stati arabi e, sfortunatamente, di molti Paesi occidentali europei. Questo ha portato al fatto che di anno in anno i palestinesi hanno irrigidito la loro posizione, in maniera inversamente proporzionale ai risultati ottenuti.  Il veto palestinese alla pace con Israele ha bloccato il Medio Oriente e ha impedito ad altri Stati arabi di avviare legami normali con noi. Quando i Paesi arabi chiedono di essere nostri amici, non ci stanno facendo alcun favore. Gli interessi sono reciproci.  Israele può portare un contributo in diversi settori, come sapete bene: economia, tecnologia, scienza, salute agricoltura e altro ancora e ovviamente la sicurezza, specialmente alla luce dei piani dell’Iran per l’egemonia in Medio Oriente.  Mentre gli Stati sunniti moderati, assieme a Israele formano una coalizione di difesa contro la prepotenza iraniana,  i palestinesi hanno di nuovo scelto la parte sbagliata della storia, sostenendo gli iraniani. Così, anno dopo anno, gli arabi del Medio Oriente hanno visto gli errori dei palestinesi, come essi sostenevano ripetutamente leader sanguinari e si sono ormai assuefatti al costante rifiuto palestinese di qualsiasi piano di pace. Gli stati moderati si sono spazientirti dei palestinesi, si sentono sempre più voci che dicono che non c’è possibilità di cambiamento per i palestinesi, a meno che non capiscono che il loro continuo rifiuto avrà un prezzo da pagare per loro. Nel processo storico anche Israele ha un ruolo da svolgere. Il popolo ebraico è ritornato a casa, nella sua antica terra, dopo migliaia di anni.  Contrariamente a quanto vuole la propaganda contro di noi, noi non siamo colonialisti, ma gente del posto. Quella è la terra d’Israele. E senza gli ebrei, Gerusalemme non sarebbe diventata questa città mondiale.  Siamo stati cacciati via due volte nel 586 prima dell’era volgare e nell’anno 70 dopo l’era volgare. Ci siamo ritornati, grazie a Dio.  Non abbiamo mai rinunciato al sogno di tornare a casa e di ricostruire Gerusalemme. Adesso stiamo vivendo questo sogno divenuto realtà. I miei genitori sono nati in Iran, Sud Iran.  La mia famiglia è vissuta lì, in questa regione babilonese e della Persia antica, per 2500 anni.  I miei antenati erano sacerdoti nel Tempio di Salomone 3000 anni fa a Gerusalemme. A causa della distruzione del primo Tempio, sono stati deportati in Babilonia e dalla Babilonia alla Persia e sono rimasti lì per migliaia di anni.  Quando i miei genitori hanno sentito della fondazione dello Stato di Israele, hanno lasciato tutto in Iran e hanno cominciato il loro viaggio verso Teheran e da Teheran in Israele, dove sono vissuti 10 anni nell’accampamento di profughi. Sono venuti in Israele nel dicembre 1950 e anche se avevano tante ragioni per lamentarsi, non ho sentito mai un lamento sullo Stato di Israele, perché loro capivano bene il significato dello Stato ebraico nella storia.  E adesso stiamo vivendo questo sogno divenuto realtà e gli arabi se ne rendono conto sempre di più, perché anche secondo le loro tradizioni,  sapevano che un giorno gli ebrei sarebbero ritornati a casa. È scritto nel Corano, è scritto nelle altre tradizioni orali e più lo interiorizzano, maggiore è il grado di cooperazione tra noi e loro, a beneficio del Medio Oriente e del mondo intero. La domanda su cui rifletto, dopo un anno dall’inizio del mio incarico qui, è se l’Europa lo capirà o meno. Non ho una risposta chiara a questo. In ogni caso la storia ha una caratteristica interessante:  avanza in maniera autonoma, senza chiedere il nostro permesso. Grazie per l’attenzione e buon proseguimento dei lavori. Dio vi benedica.

(*) Un sincero ringraziamento alla APAI – Associazione Italia – Israele (Genova). https://www.facebook.com/apai.genova/

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