La ‘democrazia fascista’ di Bruno Spampanato. Di Giuseppe Carlino.

Bruno Spampanato.

Bruno Spampanato è stato uno di quei personaggi importanti, ma nello stesso tempo assai poco conosciuto al grande pubblico,  che ha vissuto e plasmato attivamente tutto il periodo fascista, adoperandosi nel duro lavoro di spiegare, con onestà e chiarezza, i fini ultimi e più reconditi, ma nascosti, del movimento mussoliniano. Bruno Spampanato nacque a Salerno il 5 agosto 1902. Studiò a Nola, dopodiché si trasferì a Napoli e, in età adulta, a Roma. Aderì al fascismo sin dalla prima ora e partecipò alla Marcia su Roma dell’ottobre 1922. Dal 1920, iniziò a collaborare con Enrico Corradini e Luigi Federzoni al settimanale dell’Associazione Nazionalista Italiana  Idea Nazionale. Nel 1923, divenne direttore del quindicinale Gente Nostra: organo ufficiale dei Nazionalisti dell’agro nolano. Collaborò poi con il Popolo d’Italia, il Mattino e con  molte riviste straniere. Nel 1924, dopo la laurea in giurisprudenza, si avviò alla professione forense, ma nel contempo iniziò la pubblicazione di opere quali ‘Divenire fascista’, ‘Le origini e lo sviluppo del fascismo’ e ‘Un bilancio di partito’. Nazionalista convinto, Spampanato scorse nel nascente movimento fascista il mezzo per consentire all’Italia di uscire da uno stato di mediocrità per diventare finalmente una grande nazione orgogliosa della sua cultura e tradizioni. Nel suo libro ‘Un bilancio di partito’ egli parla di rivoluzione fascista considerando appunto gli avvenimenti che hanno portato quest’ultimo al potere, come ‘rivoluzionari’: una rivoluzione pragmatica e basata – secondo Spampanato –  su  poche, chiare, ma fondamentali idee e progetti sociopolitici, economici e culturali. Un programma, quello fascista, in netta antitesi alla vecchia politica europea. Spampanato sostiene che la rivoluzione non è solo uno “scannatoio” o  una semplice sostituzione di uomini e di metodi di governo, bensì un atto di fede di un popolo che si solleva e cerca di ritrovarsi. “L’azione stessa è il bisogno insopprimibile di estrinsecazione della dinamica della rivoluzione; è la molla e la propulsione del momento in cui entra il popolo”. Soltanto con l’avvento del fascismo la situazione politica italiana, fino a quel tempo (primi anni Venti), l’Italia ebbe modo di ritrovare una ragione di lotta e, soprattutto, la giustificazione sacrale e sostanziale di un’unità nazionale ben lungi dall’essere stata completata. Dal 1926 al 1929, Spampanato diresse il foglio partenopeo Lo Stato; interessandosi, con competenza, anche ai problemi del mondo del lavoro; tanto è vero che nel 1930 egli divenne dirigente dell’unione dei Lavoratori dell’Agricoltura di Avellino. Nel 1932, fondò le riviste ‘Politica Nuova’ e ‘La Montagna’ e pubblicò Discorsi al Popolo, La politica finanziaria della destra storica, Popolo e regime e poi ancora Idee e baionette, nonché l’interessante Democrazia fascista. Instancabile, diede poi alle stampo i libri ‘L’Italia di noi’ e ‘Uomini nel tempo’. Quando, nel 1933, il regime fascista celebrò il suo decennale, consolidando l’impalcatura del suo progetto politico, economico, sociale e culturale, Bruno Spampanato diede alle stampe la sua opera più significativa, e cioè ‘Democrazia fascista’, con il quale egli sostenne che solo il fascismo era stato in grado di creare una vera forma di democrazia, in quanto prodotto da una rivoluzione popolare in continuo movimento. Il concetto di democrazia in relazione al fascismo rappresenta sicuramente un modo nuovo di interpretare il fascismo stesso: interpretazione che fece di Spampanato un autore amato dal circuito propagandistico del regime, pur rimanendo il campano uno studioso non appiattito sul potere, ma sempre alla ricerca di continue innovazioni, anche critiche. Per Spampanato, l’’idea’ fascista nacque nelle insanguinate trincee della Grande Guerra, dove ‘popoli diversi’, ma appartenenti alla stessa Italia, acquisirono coscienza e consapevolezza di una sacra appartenenza,   sviluppando poi, spontaneamente, i principi di una nuova democrazia. Questo concetto assolutamente nuovo di democrazia fu, paradossalmente, espressione di uno Stato totalitario e corporativo, in grado però di provvedere a quasi tutti i bisogni del popolo in quanto ‘Stato del Popolo’. Per Spampanato, questa sorta di democrazia che ebbe modo di compiersi nell’ambito di un ‘regime’ autoritario, quello fascista appunto, fu l’unica vera forma di autentica democrazia, in quanto tutto il popolo ne fu l’artefice e il rinnovatore, sotto la protezione di un’’autorità’ totalitaria delegata a svolgere una funzione di ‘vigilanza’ per scongiurare l’arbitrio e l’anarchia, e per dirigere, ordinare e ripartire, grazie al sistema corporativo, lo sfruttamento delle risorse prodotte dalla Nazione. Secondo Bruno Spampanato, le democrazie ‘plutocratiche’ europee e americana erano delle finzioni in quanto rispondenti unicamente alle esigenze del capitale e della finanza (spesso speculativa), sostenitori di ricche lobbies condizionanti lo stesso sistema istituzionale ‘plutocratico’. Sempre secondo Spampanato, le ‘plutocrazie’ avevano imposto, con il voto, una sorta di falsa ed illusoria democrazia con il solo scopo di creare una “valvola per sgonfiare il patos rivoluzionario del popolo e per esautorare le classi più umili nei loro istinti insurrezionali”. Nel 1941, pur rivestendo l’incarico di Segretario nazionale della Confederazione dei Lavoratori del Commercio, e dando alle stampe ‘Dentro la storia’, ‘Luce ad occidente’ e ‘Perché questa guerra’, Spampanato – uomo dalle inesauribili energie – trovò pure il tempo per arruolarsi come volontario, per poi aderire, dopo l’8 settembre del 1943, alla Repubblica Sociale Italiana, dove, sempre in divisa, fu preposto a delicati incarichi presso il comando della Decima MAS prima e il Comando Supremo poi. Dal 1943 al 1944, Spampanato diresse Il Messaggero e pubblicò  ‘A Roma si vive così’. Poco prima dell’occupazione alleata di Roma (4 giugno 1944) fu uno degli ultimi fascisti ad abbandonare la capitale. Ma veniamo all’opera politologica più importante di Bruno Spampanato, e cioè il ‘Contromemoriale’ (poi pubblicato nel 1952 in tre volumi, tradotti in molte lingue). Con quest’opera, Spampanato analizzò le vicende più importati che portarono alla nascita della RSI e al suo declino, cercando di dimostrare la legittimità della RSI di fronte alla storia, ma anche sulla base degli ordinamenti giuridici. La Repubblica Sociale Italiana nacque il 23 settembre del 1943 e da subito Mussolini volle convocare un’assemblea costituente atta a legittimare il progetto. Fino dalle prime settimane dell’ottobre del ’43, Mussolini cominciò ad interpellare sia singole persone che organi tecnici, chiedendo loro suggerimenti e pareri circa i requisiti che avrebbero dovuto avere la Costituente e soprattutto il testo della Costituzione che essa avrebbe dovuto approvare. E il primo al quale si rivolse fu proprio Bruno Spampanato il quale si mise subito al lavoro, affrontando in primo luogo il nodo gordiano del progetto, e cioè il ripristino di una nuova coesione tra popolo e neonata Repubblica. Spampanato pensò alla convocazione di una duplice assemblea. La prima, l’Assemblea Generale, avrebbe dovuto sanzionare la nuova situazione intervenuta con Mussolini nuovamente a capo del Paese, ma anche decidere in sede sovrana circa gli orientamenti politici e sociali e gli indirizzi istituzionali del regime; rivendicare di fronte al nemico e allo stesso alleato le finalità della guerra ripresa dagli italiani; ratificare i deliberata del Governo provvisorio; proclamare la RSI e nominare il suo Capo. Nell’ambito della medesima Assemblea generale, Spampanato riteneva si dovesse procedere alla nomina di una Convenzione permanente suddivisa in apposite sezioni alle quali sarebbe stato demandato lo studio della nuova Carta Costituzionale dello Stato, del suo assetto amministrativo, del suo ordine sociale ed economico, del suo ordinamento militare, dei problemi della ricostruzione. Leggi e ordinamenti che la Convenzione avrebbe approvato in riunione plenaria e che la grande Costituente avrebbe ratificato. Si attribuiva alla Costituente l’esercizio, oltre che la rappresentanza, della sovranità popolare. Il 28 ottobre, il progetto per la Costituente era già pronto e venne consegnato a Buffarini Guidi che lo accolse con entusiasmo. Riguardo la Costituente, Spampanato ribadì l’urgenza della convocazione della stessa in modo da sanzionare in diritto uno stato che per il momento era tale soltanto di fatto. Il nuovo stato Repubblicano doveva derivare la propria ragione d’essere dalle masse, intese quali soggetti attivi  e non come oggetti passivi di un potere superiore. Solo una nuova, forte unione con il popolo avrebbe potuto rilanciare l’iniziativa rivoluzionaria fascista, da intendersi non come un espediente politico o tattico di Mussolini, ma come risultante di una nuova situazione del Paese. Secondo Spampanato, la Costituente (che avrebbe dichiarato decaduta la monarchia sabauda) doveva essere formata da 1500/2000 membri, per esprimere tutte le categorie sociali; lavoratori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio,  del pubblico impiego, ecc. Gli ultimi due paragrafi erano dedicati al PFR e ai partiti diversi. Per la prima volta dall’inizio del regime fascista Spampanato legittimò formazioni politiche diverse dal PFR, aventi facoltà di designare, in base alla propria consistenza numerica, una quota di propri rappresentati alla Assemblea Costituente. Unico requisito per i loro delegati doveva essere la maggiore età, l’avere espletato il servizio militare, mentre non costituivano causa ostativa alla nomina, gli eventuali precedenti antifascisti degli stessi delegati. Tale, rivoluzionaria novità trovò il pieno consenso di Mussolini, ma venne fortemente ostacolata da Alessandro Pavolini che sosteneva ancora il ruolo di guida del partito fascista. Il progetto della Costituente maturò in un contesto di continui confronti e colloqui tra il Duce e Spampanato e sebbene condiviso da più parti non venne mai attuato. Il secondo volume del ‘Contromemoriale’ di Spampanato si conclude con l’ultimo colloquio che questi ebbe con il Duce il 24 aprile 1945. Egli riferisce che il Duce era convinto dell’idea che se gli italiani fossero tornati indietro avrebbero compiuto le stesse scelte. E ancora ricorda come per Mussolini la ‘rivoluzione sociale’ non era affare per popoli sedentari o per nazioni miserabili, e che solo il fascismo l’aveva effettivamente realizzata, sostituendosi al socialismo, movimento incapace di portare avanti e realizzare tale progetto. L’aspetto che più colpisce analizzando gli ‘Appunti’, è la capacità di Spampanato di guardare al passato e di riconoscere, con molto coraggio, gli errori del regime fascista, nonché la consapevolezza che, se in parte era tutto finito, comunque si poteva ricominciare, tornando allo spirito e all’entusiasmo del fascismo delle origini. Desiderio destinato a tramutarsi in vano sogno. Arrestato dopo il 25 aprile, e condannato come collaborazionista, dopo l’amnistia, l’energico e mai domo Bruno Spampanato ebbe la forza di ricostruirsi un’esistenza, ricoprendo l’incarico di direttore de ‘Il Secolo d’Italia’, per poi entrare alla Camera dei Deputati nelle fila del Movimento Sociale Italiano. Morì improvvisamente, a Roma, il 4 febbraio 1960.

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