Sultan Mkwawa e il ‘mistero del teschio’. Di Roberto Roggero.

Il teschio del sultano Mkwawa.

Al termine della Prima Guerra Mondiale, fra le clausole meno note del Trattato di Versailles imposto alla Germania, vi era l’obbligo di restituzione del teschio di un capo africano, nemico storico dell’impero tedesco in Africa Orientale.

Nonostante sia stata combattuta prevalentemente sul suolo europeo, la Grande Guerra comprese scontri nei più remoti angoli del pianeta. Poco noto, ad esempio, il fatto che la prima battaglia navale del conflitto avvenne in acque africane, tra le forze britanniche della colonia di Nyasaland (l’odierno Malawi), e quelle tedesche delle colonie di Rwanda, Burundi e Tanganica. Il tutto si risolse con qualche colpo di cannone, ma il breve combattimento fu prologo al tramonto di un’epoca e di un secolare assetto di poteri.

Il continente africano, quindi, fu coinvolto direttamente negli eventi bellici e, al termine della guerra ’14-‘18, fra le clausole del Trattato di Versailles a carico della Germania sconfitta, l’Articolo 246 prevedeva la restituzione al governo britannico, entro i successivi sei mesi, del teschio del Sultano Mkwawa, sottratto dal Protettorato dell’Africa Orientale Tedesca e nascosto in Germania. 

Perché la vicenda del teschio del Capo Mkwawa fu compresa addirittura fra gli obblighi del trattato? E soprattutto, chi era Mkwawa? 

Nato nel 1855, morto nel 1898, Mkwavinyika Munyigumba Mwamuyinga Mkwawa (letteralmente “Conquistatore di molte terre”) fu un celebre guerriero fra la sua gente, capo della tribù Hehe, nonché figura di riferimento della storia della Tanzania. Sotto il suo comando, gli Hehe assoggettarono numerose tribù e finirono per rappresentare un pericolo per i colonizzatori tedeschi, in particolare, perché minacciava direttamente i traffici che la Germania gestiva lungo la pista carovaniera che conduceva da Bagamoyo al Tanganika  (l’attuale Tanzania) occidentale. Le autorità tedesche impegnarono notevoli risorse e, nel luglio 1891, attaccarono la tribù Hehe a Lugalo, uscendone sconfitti. L’anno seguente i guerrieri di Mkwawa attaccarono ed espugnarono uno dei principali avamposti fortificati tedeschi a Kilosa. 

La rivolta delle tribù Hehe

In un’Europa prevalentemente occupata nelle questioni interne, la rivolta delle tribù Hehe in Tanganika non era notizia da prima pagina, tuttavia motivo di profonda preoccupazione per le compagnie mercantili tedesche, per cui il governo, sotto la pressione delle stesse compagnie, approvò la formazione di un corpo di spedizione di truppe coloniali (Schutztruppe), al comando del già citato von Schele.

Il prestigio della nazione germanica era in pericolo, e fu così che il Kaiser decise di mettere una taglia sulla testa del capo africano, e inviò massicce forze nell’ottobre 1894, al comando del Commissario per le Colonie, Friedrich Freiherr von Schele, il quale scatenò una vera e propria caccia all’uomo, ma Capo Mkwawa, sostenuto dalla popolazione, si era reso imprendibile, fino alla battaglia di Kalenga del luglio 1898, quando i tedeschi riuscirono a entrare all’interno della fortezza, quartier generale degli Hehe. A quel punto, il capo guerriero, vedendosi senza speranza e prossimo alla cattura, preferì il suicidio. I tedeschi decapitarono il cadavere (che fu sepolto in un luogo segreto a una quarantina di chilometri da Iringa) e inviarono la testa a Berlino, e successivamente all’Ubersee Museum di Brema. 

La penetrazione tedesca nei territori dell’odierna Tanzania era iniziata nel 1878 ad opera della Deutsch-Ostafrikanischen Gesellschaft o DOAG (Compagnia dell’Africa Orientale Tedesca), che aveva diverse basi commerciali lungo la costa del Tanganica, allora nominalmente parte del Sultanato di Zanzibar. Alla fine dell’aprile 1888, il governo tedesco riuscì a ottenere, dall’ormai sottomesso Sultanato di Zanzibar, un trattato che affidava in concessione diretta alla Germania, per 50 anni, tutta la costa compresa fra i fiumi Umba a nord (al confine con l’Africa Orientale Britannica) e Ruvuma a sud (confine con il Mozambico, all’epoca colonia portoghese). La DOAG iniziò ad amministrare direttamente la regione, ma la sua attività provocò profondi dissidi fra i mercanti di origine araba, che da tempo facevano affari con il commercio dell’avorio e la tratta degli schiavi. Una prima rivolta fu capeggiata dal Capo Abushiri ibn Salim al-Harthi, nell’agosto 1888, che si era alleato con alcune tribù dell’interno, mettendo a ferro e fuoco la colonia. 

L’incapacità della DOAG a far fronte alla rivolta spinse Berlino a intervenire direttamente e, nel novembre 1890, un contingente misto di regolari tedeschi e mercenari africani soffocò nel sangue la rivolta di Abushiri. Nell’ottobre 1890 la DOAG cedette tutti i diritti territoriali sull’Africa Orientale all’amministrazione centrale tedesca, mantenendo solo il controllo di alcune attività di minore portata e, mentre le autorità tedesche imponevano le proprie leggi nelle zone costiere, in quelle centro-meridionali dell’interno del Tanganica prese corpo un dominio indipendente indigeno, formato dall’insieme delle tribù Hehe, etnia praticamente sconosciuta ai colonizzatori, che si era unificata sotto il comando del Capo Munyigumba (padre di Mkwawa) nella seconda metà del XIX secolo. Dopo un periodo di lotte intestine, nel 1879 salì al trono il giovane Mtwa Mkwawa, che consolidò il regno con autorità molto rigida e con regole di stampo militare, con un contingente di oltre tremila guerrieri che erano la forza principale del regno. 

Mkwawa condusse un’aggressiva campagna di espansione verso nord, attaccando le tribù indigene che avevano accettato il dominio coloniale tedesco, unitamente alla guerriglia lungo le piste fra la costa e il centro commerciale di Tabora, nell’interno. 

Inizialmente i tedeschi tentarono di aprire un negoziato e corrompere il Capo Mkwawa, allontanando anche l’intransigente governatore Hermann Wissmann e sostituendolo con il più malleabile Emil von Zelewski, ma i tentativi fallirono e, nel 1891, Mkwawa proclamò l’indipendenza del proprio regno dalla colonia tedesca. 

Nel luglio 1891, von Zelewski ricevette l’ordine da Berlino di soffocare la ribellione con ogni mezzo necessario. Il governatore radunò un corpo di spedizione composto da 13 ufficiali e sottufficiali tedeschi, 320 ascari indigeni delle Schutztruppe, 170 portatori, 12 mitragliatrici e 6 cannoni, e si inoltrò nel territorio Hehe senza particolari precauzioni, convinto della potenza delle proprie armi. Alla fine del luglio dello stesso anno, i soldati di von Zelewski bruciarono alcuni villaggi Hehe e uccisero tre emissari di Mkwawa, il quale mobilitò tutti i guerrieri al proprio comando. 

Il corpo di spedizione tedesco si inoltrò profondamente in territorio ostile, in una regione coperta da fitta giungla e interrotta da acquitrini e, il 17 agosto 1891, cadde in un agguato nei pressi di Lula-Rugaro, piccolo villaggio nelle vicinanze di Iringa. Alla testa dei guerrieri Hehe vi era il fratello del Capo Mkwawa, Mpangie, che travolse e annientò completamente il corpo di spedizione tedesco. Lo stesso von Zelewki fu catturato e ucciso. 

Quando la notizia giunse a Berlino, il governo tedesco ordinò immediatamente una nuova rappresaglia: nel 1892 il capitano Thomas von Prince condusse una serie di spedizioni nel territorio Hehe, ma Mkwawa rispose lanciando un attacco a sorpresa contro la cittadina di Kondoa Irangi, travolgendo la piccola guarnigione tedesca e infliggendo una nuova inaspettata sconfitta al grande impero tedesco, soprattutto dal punto di vista del prestigio internazionale. 

L’arrivo del nuovo governatore, Friedrich von Schele, portò a un cambio di strategia: i tedeschi avviarono una politica di trattative, corruzione e alleanze con le tribù indigene tradizionalmente ostili agli Hehe, facendo il vuoto attorno a Mkwawa. Alla fine dell’ottobre 1894, dopo accurati preparativi, von Schele guidò una seconda spedizione verso Iringa alla testa di un centinaio di soldati tedeschi, 609 ascari e tre mitragliatrici. Il 30 ottobre seguente gli attaccanti giunsero in vista della città, fortificata con un alto muro di terra battuta: gli ascari assaltarono le fortificazioni e dopo accaniti e violenti scontri riuscirono ad avere ragione dei guerrieri Hehe, anche se Mkwawa fuggì con pochi fedelissimi. 

La perdita della capitale ebbe effetti funesti sul morale degli Hehe, molti dei quali si sottomisero ai tedeschi. Mkwawa, tuttavia, decise di continuare la lotta con un gruppo di guerrieri, ingaggiando una lunga guerriglia contro gli occupanti. Per i successivi quattro anni i guerriglieri di Mkwawa continuarono le ostilità, cogliendo alcuni successi, fra cui la distruzione del presidio della cittadina di Mtandi ma, continuamente braccati da numerose colonne tedesche, il 19 luglio 1898 Mkwawa e i suoi ultimi fedeli furono circondati. Com’è noto, Mkwawa preferì uccidersi piuttosto che essere catturato dai soldati del sergente maggiore Merkl, che comandava l’avanguardia. 

In Europa, intanto, le vicende politiche stavano portando le grandi potenze verso la spirale della prima guerra mondiale, dalla quale la Germania uscì pesantemente sconfitta e, nel 1919, alla Conferenza di Versailles, l’allora amministratore britannico della ormai ex Africa Orientale Tedesca, Horace Byatt, propose al proprio governo di chiedere la restituzione del teschio, per ricompensare gli Hehe per la cooperazione con gli inglesi durante la guerra, e per avere un simbolo che assicurasse la fine del potere tedesco. I rappresentanti francesi sostennero la proposta, soprattutto per una voluta e calcolata forma di umiliazione del nemico sconfitto, tuttavia la clausola non venne rispettata, tanto è vero che la testa del capo Hehe fu riportata a Kalenga solo nel 1954, in seguito al personale intervento di Sir Edward Twining, governatore britannico del Tanganica. 

L’Articolo 246 

Perché, fra le 440 clausole e articoli, il Trattato di Versailles fa riferimento alla testa decapitata di un eroe anticoloniale africano? 

Il teschio del Capo Mkwawa ora si trova protetto da una scatola di vetro, in un minuscolo museo di una piccola città della Tanzania centrale dopo che, come trofeo, in precedenza aveva adornato la casa di un funzionario coloniale nel centro amministrativo tedesco di Bagamoyo, prima di essere spedito in Germania. Due decenni dopo, il teschio costituì motivo di discussione fra i diplomatici che trascorsero mesi a discutere le risoluzioni della prima guerra mondiale da imporre alla Germania sconfitta. 

Lo storico Jeremiah Garsha ha rinvenuto una lettera inviata dal governatore britannico Horace Byatt solo tre giorni dopo la fine della guerra, nel novembre 1918, nella quale erano espresse pesanti insistenze per far tornare il teschio in Tannazia, dicendo che avrebbe dato soddisfazione al popolo Hehe, offrendo una prova tangibile che il potere tedesco era stato completamente spezzato. È probabile però, che avesse un altro motivo: mostrare che gli inglesi, ora al controllo dei territori tedeschi nell’Africa Orientale, erano e dovevano rimanere i nuovi padroni. 

Il teschio di Mkwawa fu in tal modo compreso nella sezione del Trattato di Versailles intitolata “Disposizioni Speciali” e inserita tra le richieste di Francia e Belgio nel corpo dell’Articolo 246: “Entro sei mesi, la Germania consegnerà al governo di Sua Maestà Britannica il teschio del Sultano Mkwawa, che è stato rimosso dal Protettorato di Tedesco dell’Africa orientale e portato in Germania”. 

Il Togoland fu diviso tra Francia e Gran Bretagna, la parte francese divenne il moderno Togo e la parte britannica si unì al Ghana. Anche il Camerun fu diviso fra i due alleati, mentre Rwanda e Burundi furono assegnati al Belgio. La Gran Bretagna ricevette l’Africa Orientale Tedesca (Tanzania), mentre l’Africa Sudoccidentale Tedesca (Namibia) andò al Sud Africa. 

Inizialmente, la Germania negò di avere il teschio del Capo Mkwawa, ma per gli inglesi rimaneva un simbolo importante che volevano usare a proprio vantaggio. Quindi, quando sembrava che il teschio fosse riemerso nella città tedesca di Brema negli anni ’50, il governatore britannico di quello che allora era il Tanganica, Sir Edward Twining, si affrettò ad agire, indagando sulla collezione di resti umani che un curatore aveva trovato mentre catalogava i manufatti conservati per sicurezza durante la seconda guerra mondiale. 

La ricerca del teschio 

Prima dell’intervento di Sir Edward Twining, furono necessari diversi anni per arrivare al teschio di Mkwawa. 

La vicenda prende avvio dal momento della morte del capo guerriero, quando il sergente maggiore Merkl ordinò al proprio attendente di tagliare la testa del capo nemico e portarla al campo base di Iringa, dove il capitano von Prince se ne prese cura. Da quel momento, però, Capo Mkwawa divenne il martire simbolo della lotta contro le potenze coloniali. 

Il 14 novembre 1918, Sir Horace Byatt, l’amministratore dell’ex Africa Orientale Tedesca, scrisse al Colonial Office, suggerendo che, poiché la tribù Hehe era stata utile durante la guerra, la Gran Bretagna avrebbe dovuto tentare di recuperare il cranio di Mkwawa. Il reperto avrebbe avuto un buon effetto sulla popolazione locale, e avrebbe fornito anche prova tangibile agli occhi dei nativi che il potere tedesco era stato definitivamente sconfitto. 

La delegazione britannica alla Conferenza di Pace di Versailles ne discusse a lungo. Il membro della Commissione Knatchbull-Hugessen pensò che fosse una buona idea, anche se non la giudicò un argomento abbastanza importante da essere incluso nelle clausole del trattato. Charles Strachey, altro rappresentante britannico, sottolineò che il trattato avrebbe potuto includere elementi di interesse artistico e archeologico, sequestrati dai tedeschi nei domini coloniali, che dovevano essere restaurati e restituiti e, in questo senso, il teschio di Mkwawa poteva essere considerato una sorta di “curiosità craniologica”, da includere nella lista. Così il teschio di Mkwawa entrò nel Trattato di Versailles. 

Il 6 maggio 1920, il ministero degli Esteri tedesco spiegò che era impossibile stabilire dove si trovasse il teschio, e che probabilmente era andato perso oppure sepolto con il resto del corpo. Nel messaggio ufficiale si legge: “Non ci sono indicazioni che la testa sia stata portata in Germania, e le ricerche fatte nelle collezioni della Germania sono state infruttuose. Il Paragrafo 2 dell’Articolo 246 del trattato di pace non ha quindi più alcuna ragione di esistere”. 

Tutti i documenti tedeschi disponibili a Dar es-Salaam furono esaminati a fondo, senza alcun risultato. Nessuno poteva effettivamente provare che il teschio fosse stato inviato a Berlino. Nel febbraio 1921, anche se il ministero degli Esteri ammise che sembrava impossibile fare di più, fu chiesto di cercare il teschio un’ultima volta ma, dopo alcune settimane, la risposta fu la seguente: “Le indagini non hanno dimostrato che il cranio in questione sia stato portato in Germania”. Nell’agosto 1921, Winston Churchill, appena nominato Segretario per le Colonie, scrisse a Sir Horace Byatt: “Date le circostanze, propongo di non intraprendere ulteriori azioni in proposito”. 

La questione fu sollevata di nuovo negli anni ’30, quando un tale Herr Henschel scrisse alle autorità britanniche in Tanganica. Sapeva di una testa imbalsamata, affermava che c’era sostanziale certezza che si trattasse quella del Capo Mkwawa, e domandava se il governo britannico avesse interesse ad acquistare il teschio, o se fosse il caso di negoziare direttamente con la tribù interessata. 

In seguito, il governo del Tanganika fece sapere la propria opinione: “Questo governo non attribuisce, al giorno d’oggi, molta importanza alla questione del teschio di Mkwawa, ma sarebbe imbarazzante se il signor Henschel entrasse in contatto con la tribù degli Hehe”. Era d’altra parte improbabile che il cranio menzionato nella lettera di Henschel fosse quello giusto in quanto, a detta di tutti, non era stato imbalsamato, ma al ministero degli Esteri tedesco fu chiesto di indagare di nuovo. L’ambasciata britannica a Berlino commentò: “Ovviamente è possibile che il governo tedesco non abbia compiuto sforzi molto seri per scoprire quale verità c’è nella storia o per rintracciare il teschio”. 

Altre indagini furono fatte anche nel 1939 e 1940. La Biblioteca americana di Parigi voleva saperne di più sulle sue proprietà magiche, e una signora Sherwood voleva ricontrollare i fatti per un articolo. A quel punto, il ministero degli Esteri tedesco cominciava a trovare tutto un po’ troppo “noioso”. 

Nessun progresso è stato fatto per i successivi dieci anni finché, nel settembre 1951, entrò in scena il governatore del Tanganica, Sir Edward Twining, il quale decise di indagare di nuovo sul mistero del teschio, convinto che si trovasse in Germania. 

Il governo tedesco ha battuto varie piste, inclusa la possibilità che il teschio fosse nel castello di Celle, dove centinaia di manufatti erano ancora in custodia, in attesa di essere catalogati. Sir Rolleston, membro dell’Ufficio dell’Alto Commissario, scrisse a Sidney Gellaty, Vice Bibliotecario del Ministero degli Esteri: “Temo che dobbiamo abbandonare la speranza di recuperare il teschio dalla Germania”. 

Nel gennaio 1953, tuttavia, il ministero degli Esteri tedesco annunciò improvvisamente che il teschio poteva far parte della grande collezione del Museum für Völkerkunde di Brema. Poiché diversi teschi sembravano adattarsi alla descrizione, fu chiesto se il cranio avesse segni che contribuissero alla sua identificazione. 

Sir Twining riferì, dal Tanganica, che non era stato trovato nessuno ancora vivo che si ricordasse del Capo Mkwawa ma che, se fossero esistite persone ancora in vita, avrebbero potuto trovare difficile identificare Mkwawa semplicemente guardando il suo cranio”. 

Nel giugno del ‘53, Sir Twining si recò a Brema per identificare il teschio, accompagnato dal console e dal viceconsole. All’interno del museo di Brema vi era un grande armadio, con una novantina di teschi originari dell’Africa Orientale Tedesca, che vennero esaminati. Uno di questi aveva un foro di proiettile, entrato dalla parte posteriore, e uscito dalla parte anteriore. 

Sir Twining fece esaminare il cranio da un chirurgo della polizia tedesca, il quale confermò che il foro era coerente con un fucile da 5mm. del tipo usato dalle truppe tedesche in Africa Orientale. Inoltre, era sbiancato, cosa che probabilmente è accaduta quando la testa è stata fatta bollire per ottenere il teschio ripulito. Sicuro di aver trovato il cranio di Mkwawa, Sir Twining inviò fotografie e rapporti al capo della tribù Hehe, Adam Sapi, che lo accettò ufficialmente come quello di suo nonno. 

Il teschio fu spedito a Londra, con un contenitore diplomatico del ministero degli Esteri, e poi via aerea in Tanganica dove arrivò nel febbraio 1954. Lo stesso Sir Twining volle presentarlo ufficialmente al Capo Adam Sapi, alla sua famiglia e ad altri circa 30mila Hehe intervenuti appositamente. 

Anche se, un tempo, i padroni britannici delle ex colonie tedesche potevano sperare che il cranio del Capo Mkwawa aiutasse a ingraziarsi il favore della popolazione, di fatto è soprattutto servito come simbolo della Tanzania indipendente. 

Bibliografia.

“Tanzania” – Mary Fitzpatrick, Lonely Planet, 2008; 

“L’ultima colonia” – Alberto Rosselli, Iuculano Ed. 2005; 

“The Middle Stone Age of Iringa Region” – K.M. Bushozi, P.G.M. & Willoughby, 2007;  

“The skull of Mkwawa and the politics of indirect rule in Tanganyika” – J.Bucher, 2016;  

“Talking to Chief Mkwawa” – G.Fisher, 2016; 

“Skulls and Scientific Collecting in the Victorian Military” – S.J.Harrison, 2008; 

“To devour the land of Mkwawa: Hehe war in East Africa” – D.Pizzo, 2007; 

“Mkwawa and the Hehe Wars” – A.Redmayne, 1968; 

“The Head of the King: Museums and the Path to Resistance” – E.V. Winans, 1994; 

“Violent Intermediaries: African soldiers, conquest, and colonialism in German East Africa” – Ohio Univ.Press. 

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