Storia di un progetto bizzarro se non folle. Un’atomica sulla Luna. Di Roberto Roggero.

L'effetto scenico di un'esplosione nucleare sulla luna.

Nel 1958, alcuni ricercatori della Aeronautica Militare degli Stati Uniti elaborarono un progetto segreto denominato A-119, strettamente “Top Secret”, catalogato genericamente “A Study of Lunar Research Flights” (“Studio per Voli Sperimentali sulla Luna”). Contemporaneamente, uno dei più noti scienziati, Leonard Reiffel, venne contattato per compiere una relazione sulla possibilità di effettuare un test nucleare sulla superficie Lunare, sulle sue conseguenze, e in che misura l’effetto di tale esplosione potesse essere visibile da qualsiasi punto del nostro pianeta. Sulla Luna si sarebbe generato un cratere di dimensioni eccezionali con una nuvola di polvere radioattiva che, a causa della mancanza di atmosfera sulla superficie, si sarebbe espansa in tutte le direzioni anziché raggrupparsi nel tradizionale fungo.

Leonard Reiffel

Sullo sfondo del progetto A-119 vi era la corsa alla scoperta dello spazio e alla conquista del satellite della Terra, in cui gli Stati Uniti stavano perdendo campo rispetto all’Unione Sovietica che, pochi mesi prima, aveva messo in orbita il primo satellite. Secondo le rivelazioni dello stesso Reiffel, l’esperimento avrebbe avuto lo scopo di dimostrare al mondo, e in particolare al Cremlino, la potenza nucleare americana, in pratica, una prova di forza.

Lo storico britannico David Lowry ipotizza che un tale fenomeno avrebbe avuto ancora oggi un intrinseco valore, non tanto per dimostrare chi fosse stato il più forte, in quanto la questione non si pone più dal crollo dell’Unione Sovietica come la conoscevamo, ma relativamente al fatto che gli Stati Uniti sono attualmente impegnati nella realizzazione del cosiddetto “Scudo Stellare”, il sistema di difesa missilistica intorno all’orbita terrestre.

E’ noto che gli USA non hanno mai abbandonato l’idea di conquistare lo spazio e farne una sorta di arsenale privato, e alcune di quelle idee sembra non siano state completamente archiviate.

La responsabilità dell’operazione A-119 pare sia da attribuire alla Armour Research Foundation di Chicago, oggi Illinois Institute of Technology Research, e consisteva nel fare detonare un ordigno nucleare, potente almeno quanto quello sganciato su Hiroshima, sulla faccia oscura della Luna. L’esplosione avrebbe generato una nube di polveri atomiche, le quali sarebbero affiorate sulla parte visibile e, illuminate dalla luce solare, visibili a occhio nudo dalla Terra. Eera uno dei molti accorgimenti che, all’epoca della corsa agli armamenti e della Guerra Fredda, furono elaborati nelle segrete stanze del potere, e gli archivi di Washington sono sicuramente strapieni di idee di questo tipo che, purtroppo, rimarranno coperti dal più stretto riserbo chissà ancora per quanto tempo.

Le indagini di Reiffel fecero notare che un fenomeno del genere avrebbe determinato un totale sconvolgimento dell’ambiente Lunare, anche se, in effetti, l’aspetto naturalistico era quello che interessava meno i responsabili dell’aviazione militare statunitense ma, al lato pratico, era fattibile, pur con costi estremamente alti. La tecnologia, già alla fine degli anni Cinquanta, poteva permettere di realizzare l’operazione: i missili esistenti erano in grado portare una testata atomica sulla Luna e centrare la zona prescelta con uno scarto massimo di circa 5-7 Km, inoltre pare che sulla Terra non si sarebbero avute conseguenze di particolare gravità.

L’operazione A-119 è stata rivelata da alcuni passi della biografia scritta da Keay Davidson sullo scienziato Carl Sagan, scomparso nel 1996 e celebre, oltre che per le ricerche astronomiche, per l’instancabile opera di diffusione degli aspetti poco noti della materia in questione al grande pubblico.

Lo staff di Reiffel (che già nel maggio ’59 rivelò pubblicamente il proprio ruolo con una lettera alla rivista inglese “Nature”), sostenuto economicamente anche dall’US-Air Force Special Weapons Center di Albuquerque (New Mexico), composto da una decina di scienziati e ricercatori fra cui Sagan, si mise all’opera nel maggio 1958 fino al gennaio 1959, per elaborare i modelli matematici dell’itinerario di circa 235mila miglia che il razzo (o i razzi) avrebbe dovuto compiere, portando una testata all’idrogeno. I risultati delle ricerche furono poi raccolti in otto rapporti segreti.

Carl Sagan

Sagan fu convicato da Reiffel all’Armour Research Foundation per discutere le conseguenze della diffusione di una nuvola di sostanze radioattive sulla superficie lunare e sul fenomeno del cosiddetto “fall-out”, la persistenza e la ricaduta di tali sostanze nell’atmosfera di un pianeta o di un satellite naturale.  Il calcolo matematico su questo interrogativo era la chiave per stabilire il grado di visibilità dell’esplosione dalla Terra.

Carl Sagan, convinto che sulla Luna esistessero forme di microrganismi, aveva fatto notare che se si fosse verificata una esplosione nucleare, non sarebbe rimasta traccia alcuna di quelle forme di vita, e si sarebbe perduta per sempre la possibilità di studiarle, se mai l’uomo fosse riuscito a prelevarli. Nonostante questo, i calcoli furono portati a compimento, poi i risultati distrutti dagli stessi responsabili dell’Armour Research Foundation nel 1987. Non è tuttavia da escludere che almeno una copia di tali modelli matematici sia stata conservata negli archivi segreti dell’aviazione militare americana o del Pentagono. I portavoce del Pentagono non hanno mai fatto rivelazioni in proposito, ma nemmeno smentito.

Leonard Reiffel era quindi l’uomo chiave del progetto segreto A-119, colui che avrebbe dovuto determinare gli effetti dell’esplosione e quali vantaggi, nello sviluppo della ricerca nucleare, sarebbero derivati per gli Stati Uniti. L’ordigno doveva essere un missile a testata atomica, il cui tipo specifico era una questione che, in effetti, non lo riguardava direttamente. Per conto dell’Armour Research Foundation, Reiffel doveva limitarsi a determinare la potenza necessaria per quello che era definito “un esperimento di Pubbliche Relazioni” che doveva impressionare anzitutto l’Unione Sovietica. Il vettore doveva probabilmente essere un missile balistico intercontinentale, con apposite modifiche per affrontare la distanza Terra-Luna.

I selezionatissimi “addetti ai lavori” lavoravano praticamente isolati dal mondo esterno, per cui ufficialmente non si sa nulla circa il livello a cui giunsero i progetti. Alcune indiscrezioni riguardarono anche il fatto che, fra i tecnici al lavoro sul progetto, ci sarebbe stato il fisico italiano Enrico Fermi, all’epoca impiegato ai laboratori di Chicago.

In quel periodo, esattamente nell’ottobre 1957, Mosca aveva lanciato nello spazio lo Sputnik, che era in grado di effettuare ricerche particolareggiate, oltre ad alcune sonde Lunari che dovevano simulare gli effetti di un impatto sulla superficie lunare, con i test definiti “ICBM”. L’Unione Sovietica, quindi, diventò il primo Paese a scattare fotografie della superficie ed effettuare test di allunaggio già nel 1959, mentre gli Stati Uniti, dopo diversi fallimenti, vi arrivano nel 1962. Vi era quindi il rischio che l’opinione pubblica mondiale potesse spostarsi nella sfera di influenza sovietica e, naturalmente, tale possibilità era vista da Washington come il danno più grave, per il pericolo dell’espansione comunista nell’emisfero occidentale, oltre al rischio di una guerra nucleare, dovuta all’esasperazione dei sistemi e al sempre incalcolabile “errore umano”. Era altresì pensabile che lo stadio della tecnologia sovietica avrebbe permesso il lancio di missili atomici contro gli Stati Uniti senza possibilità di replica.

Secondo la testimonianza di Reiffel, il progetto A-119 sarebbe stato comunque un danno senza precedenti, specialmente quando il fenomeno fosse stato reso pubblico in conseguenza dell’esplosione, e avrebbe escluso ogni possibilità di un futuro sbarco umano sulla Luna. Non si sarebbe mai visto quindi Neil Armstrong scendere la scaletta del modulo LEM esclamando “…Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità…”.

Fortunatamente, e non si sa per quale vero motivo preciso, l’operazione A-119 fu poi sospesa, e gli studi in tal senso non avrebbero mai, almeno ufficialmente, superato lo stadio teorico del vettore, né vi sarebbe stata una équipe predisposta all’elaborazione del veicolo di lancio. Reiffel disse di non conoscere i motivi che portarono all’annullamento del progetto, ma escluse che si sia trattato di difficoltà tecniche. Probabilmente fu questione prettamente scientifica, fra cui le conseguenze che una contaminazione della superficie lunare per un tempo indeterminato, o quantomeno lunghissimo, avrebbe avuto sullo sviluppo della ricerca. Fortunatamente, ci furono anche, all’interno degli alti comandi militari, alcune personalità influenti che realizzarono in tutta la loro gravità le conseguenze di un’azione del genere e il danno che ne sarebbe derivato per l’immagine pubblica degli Stati Uniti.

In sostanza, la maggior parte dei dettagli sul progetto A119 furono rivelati dal tecnico NASA Leonard Reiffel, in diverse interviste pubblicate da giornali americani e inglesi, e confermate dall’astronomo Carl Sagan. I riferimenti portano a un documento di circa 200 pagine, redatto a Chicago nel 1959, oggi consultabile negli archivi del Dipartimento della Difesa di Washington, e corredato da altri rapporti che attestano come il governo statunitense non si sia mai pronunciato a favore del progetto.

Il documento in questione afferma che “detonazioni nucleari sulla Luna erano parte di questo rapporto insieme a informazioni scientifiche che potrebbero essere ottenute da queste esplosioni. L’aspetto militare è coadiuvato dalle indagini nell’ambiente spaziale, dai test sui dispositivi nucleare, e dalla capacità delle armi nello spazio”. Insomma, un progetto a metà fra lo scientifico, l’autocelebrativo e il militare. Gli scienziati erano inoltre perplessi dall’ipotesi di contaminazione della Luna, e il progetto fu annullato.

L’esistenza del Rapporto A119 del 1958, fu più volte negata per motivi di segretezza politica, finché Leonard Reifffel cominciò a parlarne pubblicamente e Carl Sagan confermò la sua partecipazione al progetto nel ’59. Entrambe gli scienziati, riferirono poi che tutto fu annullato perché lo sbarco del primo uomo sulla Luna, avrebbe dovuto ottenere una migliore risposta da parte della popolazione americana, che far esplodere un ordigno nucleare. Ancora un altro dettaglio fondamentale è stato menzionato dal responsabile del progetto, Leonard Reiffel, il quale considerò che far esplodere una bomba nucleare sulla superficie lunare poteva alla fine causare gravi problemi ai futuri progetti di ricerca.

I documenti che provano l’esistenza del Progetto A119 sono rimasti nascosti al pubblico per circa 50 anni, quindi rivelati dallo scrittore Keay Davidson nella biografia su Carl Sagan e quindi dalle dichiarazioni di Leonard Reiffel, che ha rivelato l’esistenza di documenti che dimostrano come questa cospirazione sia andata bel oltre le teorie. Durante la pianificazione iniziale della missione, i ricercatori considerarono, in primo luogo, l’utilizzo di una bomba all’idrogeno. Tuttavia, la US-Air Force pose il veto a questa idea poiché una bomba all’idrogeno sarebbe stata estremamente pesante, e quindi con insuperabili difficoltà di trasporto. Successivamente si decise per una testata W25, più piccola e leggera, e con prestazioni minori e una potenza di 1.7 kilotoni. Per fare un paragone, la bomba Little Boy, che colpì Hiroshima nel 1945, aveva una potenza fra 13 e 18 kilotoni. La W25 sarebbe stata portata vicino al terminatore lunare, dove sarebbe stata sganciata per detonare durante l’impatto con la superficie. La nube di polvere risultante dall’esplosione sarebbe stata illuminata dal Sole e quindi visibile dalla Terra.

Nel quadro del Progetto A119, era stata anche messa a punto una “missione esplorativa”detta operazione “Centaur”, per il bombardamento della superficie lunare con l’utilizzo di armi “cinetiche”, con il mascheramento ufficiale di una non meglio precisata missione L-Cross per l’esplorazione lunare, allo scopo di localizzare la presenza di acqua. Secondo alcune fonti, la missione sarebbe realmente avvenuta con il lancio del Lunar Reconnaissance Orbiter nel maggio 2009, come parte del Lunar Precursor Robotic Program, prima missione statunitense in più di dieci anni.

Tornando al Progetto A119, Leonard Reiffel e Carl Sagan rivelarono poi altri dettagli, fra cui gli studi teorici sulla visibilità del lampo esplosivo dalla Terra e la versione secondo cui l’origine del progetto stesso doveva essere la risposta al lanci del satellite sovietico Sputnik, messo in orbita nel 1957. L’idea però non era certo spuntata dal nulla. L’agenzia ARF (Armour Reserach Foundation), che si occupava di test atomici nell’ambiente, dal 1949 faceva esplodere bombe atomiche in svariate condizioni ambientali (dall’oceano, ai deserti, all’atmosfera), per osservare come le esplosioni si comportavano in condizioni diverse. Nel maggio 1958, l’ARF iniziò a studiare un’esplosione nucleare sulla Luna, su proposta della US-Air Force.

Ai tempi della nascita del progetto poi, diversi giornali parlavano di questa voce che vedeva gli URSS pronti a fare detonare una bomba a idrogeno sulla Luna. Secondo la stampa del 1957, una fonte anonima aveva fatto sapere che l’Unione Sovietica stesse pianificando di festeggiare la Rivoluzione d’Ottobre con una esplosione sulla Luna, che coincidesse con l’eclissi lunare del 7 Novembre. Ovviamente, la voce era stata debitamente ingigantita, e tanti dicevano che il missile nucleare poteva mancare l’obbiettivo e invece della Luna tornare verso la Terra e colpire un posto a caso, magari proprio in territorio Americano.

Il 1955 fu un anno cruciale per il volo spaziale, proclamato dalla Comunità Scientifica “Anno Geofisico Internazionale”, e sia l’Unione Sovietica sia gli Stati Uniti annunciarono di voler lanciare satelliti artificiali.

L’URSS decise di usare come vettori spaziali i suoi grandi missili balistici intercontinentali, mentre gli Stati Uniti, non avendo missili della potenza di quelli russi, allestirono il “Progetto Vanguard”. Ma ci fu troppa fretta: il Progetto Vanguard fu un disastro, per una serie di lanci mancati con i veicoli che si distruggevano senza nemmeno alzarsi dalla rampa di lancio.

Il fiasco del Progetto Vanguard fu ingigantito dai successi sovietici e soprattutto fece preoccupare gli alti comandi statunitensi, di fronte all’eventualità di essere surclassati dall’ingegneria sovietica. In aggiunta vi era anche la fissazione della ricerca di civiltà extraterrestri, di natura chiaramente minacciosa nei confronti del pianeta Terra.

Dopo la Conferenza al vertice di Ginevra del 1955, si capì che la presenza extraterrestre faceva veramente paura perché contrastava in maniera ben chiara la politica imperialistica delle due superpotenze. Gli americani si accorsero abbastanza presto che la Luna poteva essere un avamposto extraterrestre.

Il primo ente americano a proporre effettivamente un progetto d’esplorazione lunare, denominato Red Socks, fu il JPL (Jet Propulsion Laboratory) alla fine dell’ottobre 1957, e consisteva nel lancio di almeno nove sonde entro la fine del 1960. Gli obiettivi dei due primi lanci erano noti ma non si poteva dire la stessa cosa degli altri.

Dopo l’acquisizione delle immagini della parte nascosta della Luna, e il miglioramento della tecnica di guida, fu il direttore del laboratorio, William Hayward Pickering, che per primo propose di far esplodere una bomba nucleare.

In sostanza il progetto “Red Socks” non fu approvato, lasciando il posto al “Programma Able”, ma l’idea di distruggere una parte della Luna piacque ai militari. Ne derivò così il Progetto A119.

Nello stesso tempo si voleva arrivare a colpire le menti dei responsabili dell’URSS, affinché desistessero da propositi guerreschi e restituissero così la pace all’umanità del pianeta Terra.

L’idea, che potrebbe apparire malsana, in verità era stata suggerita dalla consapevolezza che la Luna fosse già abitata da intelligenze extraterrestri, le quali rappresentavano un grave impedimento alla sua conquista ma anche una possibile minaccia per gli americani e, di conseguenza, per la Terra. Pur sottoposto a molte critiche, il progetto fu giustificato con un altro ragionamento che era quello di vedere ciò che poteva effettivamente succedere. Nel 1958 il National Security Council rese noto che era possibile usare la Luna per una base militare abitata.

Nel 1959, l’Air Force già aveva pronti due progetti. Il primo, denominato “SR-183”, era finalizzato a installare un osservatorio lunare capace di tenere sotto controllo la Terra e anche lo spazio vicino. Il secondo, denominato “SR-192”, prevedeva un sistema strategico lunare capace di includere un bombardamento militare di rappresaglia dalla base lunare. Era stato anche studiato un terzo piano, denominato “SR-182”, capace di usufruire di veicoli spaziali e armi da sistemare in orbita lunare ed anche in altri pianeti, sempre per fini militari. In questi progetti erano coinvolti l’Air Force Balistic Missile Division, il Wright Air Development Center, lo Strategic Air Command, la NASA e il Jet Propulsion Laboratory che aveva avuto direttive per installare una base sulla Luna dalle industrie Boeing, Republic Aviation, Douglas Aircraft, General Electric e altre importanti aziende. Il costo complessivo previsto all’epoca si aggirava in circa 20 miliardi di dollari.

Un’altra voce a questo proposito arrivò anche dal fisico Edward Teller, considerato il padre della Bomba-H, che nel febbraio del 1957 propose di fare detonare bombe atomiche sulla superficie della Luna, e a qualche distanza dal satellite, per osservare le differenze negli effetti dell’esplosione.

Leonard Reiffel rivelò che il team a lui assegnato era di circa una decina di persone, fra cui anche l’astronomo Gerard Peter Kuiper (che diede il nome alla famosa Cintura di Kuiper intorno alle zone esterne del Sistema Solare dove si trovano Plutone, Eris etc.), e il suo allievo dottorando, il già citato Carl Sagan, responsabile per la proiezione matematica dell’espansione della nuvola di polvere nello spazio intorno alla Luna, elemento fondamentale per determinare la visibilità dalla Terra.

Dall’altra parte del globo, in Unione Sovietica, gli scienziati del Cremlino non rimasero a guardare, infatti sembra che avessero avuto un’idea molto simile, denominata “Progetto E-1”, da realizzare con una serie di sonde intorno alla Luna, seguito poi dalle fasi “E-2” ed “E-3” con altre sonde inviate sul lato oscuro della Luna per ottenere immagini della superficie e, infine, la fase “E-4” secondo cui un vettore avrebbe sganciato un ordigno nucleare a scopo dimostrativo e scientifico, ma anche questo piano, come quello americano, sarebbe poi stato accantonato, e definitivamente cancellato nel 1963, quando a Moasca venne sottoscritto il Trattato sulla parziale messa al bando dei test nucleari, per proteggere l’ambiente da possibili contaminazioni dell’aria e dell’acqua.

Sergey Korolev

Di recente il fisico russo Alexandr Zheleznyakov, studioso di storia astronautica di San Pietroburgo, ha reso noti molti dettagli di questa vicenda in tutta la sua drammaticità.

Il governo sovietico incaricò il fisico nucleare Yacov Zeldovich, col proposito di dimostrare al mondo intero che una sonda sovietica potesse centrare la Luna. Per poter realizzare tutto ciò era necessario che la sonda sferica fosse riempita con un ordigno nucleare di almeno 15 Kilotoni, il cui lampo sarebbe stato registrato da tutti gli osservatori terrestri e nessuno avrebbe messo in dubbio il successo dell’impresa. Anche i sovietici, quindi, erano dell’idea di offrire una esibizione di potenza, che avrebbe esteso ben oltre i confini terrestri la proliferazione degli armamenti nucleari.

Malgrado che nel gruppo di studio ci fossero diversi oppositori, il progetto fu esaminato in ogni dettaglio. I fisici nucleari spesero molto tempo per calcolare forma e dimensioni della capsula che doveva contenere la bomba e Sergej Korolev, padre dell’astronautica sovietica, volle che fosse realizzato un modello di prova. Particolare impegno fu posto sul meccanismo d’esplosione. Dato che non si dava tanto credito al funzionamento di un telecomando azionato da Terra, si scelse un dispositivo del tipo mina navale che avrebbe innescato l’esplosione al contatto fisico con la superficie lunare. Per il vettore di lancio, non c’era alcun dubbio: sarebbe stato un’evoluzione del missile balistico intercontinentale R7, realizzato alcuni anni prima sempre da Korolev, per dare all’URSS la capacità di trasporto di testate nucleari sino al territorio degli Stati Uniti. Del resto era stato già sperimentato con successo per lanciare i primi satelliti Sputnik.

Yakov Zeldovich

In questo caso prevalsero le preoccupazioni sui tanti rischi associati alla missione. Si calcolò che in caso di fallimento del primo e del secondo stadio, la carica nucleare sarebbe potuta esplodere sul territorio dell’URSS. In caso di fallimento del terzo stadio, non si poteva escludere una caduta sul territorio straniero, con conseguente pericolosa crisi internazionale. Rimanevano altri due pericoli: la fine accidentale della carica inesplosa in orbita terrestre oppure in orbita attorno al Sole.

Rimasti irrisolti questi problemi, fu lo stesso Zeldovich a ritirare il progetto “E-4”, in seguito convertito in una missione di normale esplorazione.

Yakov Zeldovich, da assistente di laboratorio presso l’Istituto di Chimica-Fisica di Leningrado, fino al 1965 lavorò a numerosissimi progetti nucleari, tanto da ricevere le massime onorificenze come il Premio Lenin e la Stella d’Oro come Eroe del Lavoro. Dal 1965 al 1983 fu capo divisione presso l’Istituto di Matematica Applicata dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e morì nel dicembre 1987. Fu anche il primo direttore del Dipartimento Arzamas-16, la Los Alamos sovietica. Condusse naturalmente tutto il lavoro teorico delle prime due bombe atomiche e all’idrogeno. S’interessò di astrofisica, e fu direttore dell’Istituto Astronomico di Sternberg (Germania). Combinando così la sua esperienza sulle particelle elementari, ben presto divenne una indiscussa autorità, e propose addirittura un importante metodo per determinare la Costante di Hubble dagli effetti dei gas nei cluster galattici.

Scorrendo negli annali dell’astronautica sovietica, si scopre che la sonda lunare “E-3”, lanciata nell’aprile del 1960, abbia rappresentato uno dei più grandi segreti del programma spaziale sovietico. Nessuno ha mai pubblicato notizie su questa navicella artificiale per almeno 30 anni, come pure non è stata mai pubblicata alcuna immagine.

Per tutto il 1958 il MIAN (Mathematics Intitute of the Akademi Nauk) condusse su larga scala un lavoro teorico intitolato “Ricerca di traiettorie in orbite lunari e analisi sulle opportunità di fotografare la faccia nascosta della Luna con ritorno delle foto”. Dopo questi studi, il MIAN raccomandò che solo due missioni sarebbero state possibili: quella dell’ottobre 1959, con operazioni fotografiche dopo che la sonda si fosse avvicinata alla Luna, e quella dell’aprile 1960, con fotografie prima dell’avvicinamento. Entrambe le missioni erano state supervisionate da Korolev. La sonda Lunik-3 (ovvero la fase E-2A) fu lanciata il 4 ottobre 1959, mentre “Luna V” era un altro nome dato sempre per indicare l’originale progetto “E-3”.

Boris Chertok, collaboratore di Korolev, ha affermato che il progetto E-3 (modificato in E-2A prima del lancio) era diretto da Mstislav Keldysh. Korolev però si oppose a questo progetto ma fu pressato con una decisione speciale del Comitato Centrale e dal Consiglio dei Ministri.

Di fatto, i testimoni dell’epoca, coloro che hanno fatto alcune rivelazioni, hanno dato versioni contrastanti, in particolare sulla partenza della sonda.

Nel luglio del 1993 la CIA rivelò che la data del primo lancio della sonda E-3 era quella del 15 Aprile, facendo notare che il vettore non diede sufficiente velocità, cosicché codesta passò a 160mila Km dalla Luna. Il portavoce della CIA non confermò però la data del secondo lancio.

Secondo il veterano del Cosmodromo di Baikonur, Asif Siddiqi, i lanci delle due sonde E-3 avvennero il 15 e 16 aprile 1960. Questa strana controversia probabilmente ha sottinteso la copertura di qualche mistero che anche gli addetti ai lavori non sono riusciti a decifrare.

La formulazione dei piani sovietici per la conquista della Luna era partita per mezzo di una lettera, firmata da Sergej Korolev e Mstislav Keldysh, spedita nel gennaio 1958 al Comitato Centrale del Partito Comunista. Il fatto però importante del contenuto di questa missiva era incentrato su due punti: l’impatto lunare e il volo intorno alla Luna per fotografare la faccia nascosta.

Il programma fu approvato molto velocemente dal Primo Segretario del partito Nikita Krushev, ma per motivi non ancora noti, gli obiettivi furono modificati. Inizialmente, infatti, la prima sonda sovietica Lunik era denominata come “Oggetto E”. Gli Oggetti A, B, V e G erano differenti veicoli di rientro per testate nucleari, l’”Oggetto D” era un pesante satellite scientifico, lanciato con il nome di “Sputnik 3”. Per tradizione, quindi, tutti i veicoli Lunik facevano parte dell’Oggetto E, inclusi i pesanti veicoli spaziali lanciati dal razzo “Proton”.

Le difficoltà nel reperire notizie certe, nascono proprio dalla logica comportamentale adottata dalle autorità sovietiche. Questa logica era incentrata sia sulla pratica della segretezza, sia sulla copertura di ogni fallimento dei lanci missilistici. Di conseguenza, gli organi ufficiali dell’URSS non diffondevano mai notizie su lanci o test sperimentali falliti.

Dopo la firma dei trattati, gli esperimenti da allora si sarebbero potuti svolgere soltanto nel sottosuolo e dovevano essere limitati nella potenza e numero. Quattro anni più tardi, nel 1967, fu invece firmato il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico, i cui articoli posero fine alle intenzioni di collocare armi nucleari e di ogni altro genere di armi di distruzione di massa, nell’orbita terrestre, sulla Luna o su altri corpi celesti o, comunque, posizionarli nello spazio extra-atmosferico. Inoltre, il Trattato consentiva l’utilizzo della Luna e degli altri corpi celesti esclusivamente per scopi pacifici e ne proibiva espressamente l’uso per effettuare test su armi di qualunque genere, manovre o avamposti militari. Il Trattato, inoltre, proibiva agli Stati firmatari di rivendicare risorse nello spazio, quali la Luna, un pianeta o altro corpo celeste, poiché considerate patrimonio comune dell’umanità. In seguito a questi trattati, alla fine gli Stati Uniti diedero vita al programma spaziale che portò a un’impresa ben più nobile, uno dei motivi maggiori della nascita di una coscienza globale dell’importanza di difendere il nostro ecosistema. Fu anche questa coscienza che spinse tantissimi, incluso lo stesso Carl Sagan e altri come lui, a sostenere la riduzione dell’utilizzo di armamento nucleari.

In ogni caso, ancora oggi, né le autorità russe, né il Pentagono, hanno ancora accettato di commentare le vicende di quegli anni drammatici e di pericoloso disequilibrio per l’intero pianeta.

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