Le tragedie del mare alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Di Roberto Roggero.

Allievi sommergibilisti della 1a Divisione Unterseboots a bordo del Wilhelm Gustloff.

Cap Arcona, Thielbek, Wilhelm Gustloff, Goya, General von Steuben, nomi ancora oggi poco noti alla storia, che segnano i più gravi disastri marittimi, rimasti coperti da assoluto silenzio per oltre mezzo secolo.

Cap Arcona e Thielbek.

Il Cap D’Arcona

Ignorata dal grande pubblico, la tragedia del piroscafo Cap Arcona e di altre tre navi trasformate in lager galleggianti dalle autorità naziste (la Thielbek, la Athen e la Deutschland-IV), si consuma nel maggio 1945, nella baia di Lubecca sotto le bombe della Royal Air Force. Stando alle cronache del periodo, le navi dovevano “trasferire” un certo numero di prigionieri dei campi di concentramento, per cancellare ogni traccia dei crimini commessi, ma pare che i piloti britannici ignorassero cosa o chi si trovasse a bordo. Nei fatti, in pochi minuti morirono oltre 7.500 deportati.

Il Cap Arcona era un lussuoso piroscafo, a doppia propulsione e tre fumaioli, orgoglio della prestigiosa flotta della compagnia Hamburg-Sudamerikanische Dampfschiffahrtgesellschaft. Durante l’allestimento nulla era stato lasciato al caso: suite reale, arredamento esclusivo, cabine in stile vittoriano, giardino e piscina coperta, campo da tennis, ristoranti extra lusso e tutto ciò che la tecnologia dell’epoca poteva offrire. La nave era anche servita, nel 1942, per le riprese del film in versione tedesca sulla tragedia del Titanic.

Il Cap Arcona era stato costruito nei cantieri Blohm & Woss di Amburgo con numero di cantiere 476, impostato il 21 luglio 1926 e lanciato il 14 maggio 1927. Aveva una stazza di 27.600 tonnellate, lunghezza 300 metri; larghezza 26 metri; pescaggio 14,50 metri; cinque ponti; apparato motore a 8 turbine a vapore e due eliche, per complessivi 23.675 hp; velocità di servizio 20 nodi per un’autonomia di 11.115 miglia; 26 scialuppe di salvataggio; capacità di trasportare 850 passeggeri; equipaggio 475 persone; ed era dotato di sensori per segnalazione sottomarina, rilevamento automatico di direzione, ecoscandaglio e girobussola, e sistemi di elaborazione dati e telegrafo.

Il 29 ottobre 1927 salpò dal porto di Amburgo per intraprendere il suo viaggio inaugurale, diretto in Argentina, con a bordo crocieristi di lusso ma anche emigranti diretti in America meridionale. Fra gli ospiti di riguardo, anche il celebre aviatore Pierre Closterman (1921-2006) diventato uno degli assi dell’aviazione francese durante il secondo conflitto, con 33 aerei abbattuti, in oltre 400 missioni. Impiegò soli 15 giorni per giungere a Buenos Aires. In seguito fu destinata al traffico di linea sulla rotta Amburgo-Madera-Rio de Janeiro e Buenos Aires; dal novembre 1927 all’agosto 1939 trasportò oltre 200mila passeggeri in 91 traversate atlantiche.

Il 25 agosto del 1939, al comando del commodoro Richard Niejahr, attraccò al porto di Amburgo dopo quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Lo stesso giorno, Niejahr venne a conoscenza, tramite un messaggio radio cifrato, dell’imminente scoppio della seconda guerra mondiale. Il piroscafo fu requisito per scopi bellici e ancorato nel porto di Danzica, durante l’invasione della Polonia, come alloggio per il personale della Kriegsmarine.

Nel 1944, quando l’Armata Rossa era ormai lanciata nell’inarrestabile avanzata verso i confini tedeschi il Cap Arcona fu utilizzato per trasportare civili e soldati fuori dai territori vicini al fronte di battaglia, sulla rotta Danzica-Copenhagen. Durante uno di questi viaggi, gli apparati propulsivi subirono un’avaria e la nave dovette essere rimorchiata presso uno dei tanti fiordi della costa scandinava, in riparazione. Una volta effettuati i lavori, venne trasferita in Germania.

Il 14 aprile 1945 giunse nella baia di Lubecca, in condizioni di ridotta manovrabilità. A questo punto, il comando in capo della Kriegsmarine decise di restituire la nave alla compagnia Hamburg-Sud.

Lo stesso 14 aprile ’45 l’SS-Reichsfuhrer Heinrich Himmler emanò un ordine ufficiale per lo sterminio di tutti i detenuti dei lager, perché fosse cancellata ogni traccia e testimonianza della macabra attività. Era un’operazione effettivamente grandiosa e di difficile attuazione, tuttavia nessun prigioniero doveva cadere vivo nelle mani degli alleati. Si scelse quindi di evacuare i campi, costringendo i detenuti a marce forzate verso la costa baltica (durante le quali gran parte sarebbe morta per fatica, stenti, o uccisa con colpo alla nuca ai bordi delle strade, velocizzando così il lugubre progetto). Il 4 maggio 1945, quando le avanguardie britanniche giunsero al campo di Neuengamme, il più grande in territorio tedesco, il lager conteneva ancora circa 100mila persone, fra cui oltre 10mila cittadini francesi. Non era successo lo stesso a Bergen Belsen, liberato il 15 aprile 1945, dove la scena che si presentò alle avanguardie alleate lasciò traumatizzati i soldati.

Secondo l’ordine di Himmler, l’evacuazione dei campi era iniziata il 18 aprile, e più o meno negli stessi giorni erano anche iniziati gli imbarchi a bordo di navi destinate all’affondamento in pieno Mar Baltico. Molti prigionieri, però, a conoscenza dell’imminente fine della guerra, riuscirono a resistere alle “marce della morte”.

Il responsabile del Partito Nazista per il territorio di Amburgo, SS-Brigaderfuhrer Karl Kaufmann (1900-1969), aveva espressamente ordinato di condurre i detenuti verso il porto di Lubecca, dove erano ancorati il Cap Arcona e i mercantili Athen, Deutschland-IV e Thielbeck.

I comandanti e gli ufficiali erano stati avvertiti già il 18 aprile dalle SS che le navi sarebbero state requisite per una “speciale operazione” non meglio definita; solo il capitano del Cap Arcona, Heinrich Bertram, e quello del Thielbeck, John Jacobsen, avevano avuto un colloquio segreto con i responsabili delle SS, che avevano reso noto il folle progetto. Jacobsen a sua volta decise di rivelare al proprio equipaggio i particolari, rendendo nota l’intenzione di rifiutarsi di obbedire. Lo stesso giorno era stato destituito dal comando e allontanato. Fra il 19 e il 26 aprile oltre 11mila prigionieri giunsero al porto di Lubecca e furono imbarcati, nonostante l’opera della Croce Rossa svedese che tentò invano di negoziare la loro libertà.

All’alba del 20 aprile le SS iniziano a stipare nelle stive i detenuti dei campi di Neuengamme e dei sopravvissuti della marcia della morte dal campo di concentramento di Fürstengrube e dagli altri campi di concentramento della Slesia, sotto la supervisione dello SS-Sturmbannfuhrer Christoph Gehrig. Sulla Athen furono imbarcate oltre 2.300 persone e un reparto di 300 fra kapò e soldati SS, da trasferire poi sulla Cap Arcona all’ancora a circa 2 miglia dalla costa. Inizialmente, anche il comandante della Athens, Nobmann, rifiutò di collaborare poi, messo davanti a un plotone di esecuzione, si rassegnò a obbedire.

Quando la nave di Nobmann si apprestò al trasferimento, il comandante della Cap Arcona rifiutò a sua volta di prestarsi al progetto delle SS e l’Athens dovette tornare in porto senza aver effettuato il trasbordo. Il responsabile delle SS, Gehrig, informò quindi il proprio superiore, il quale richiese l’intervento al Brigaderfuhrer conte Georh Henning von Bassewitz-Behr (1900-1949), capo della Gestapo di Amburgo. Il caso arriva direttamente a Karl Kaufmann, Gauleiter della regione e Commissario del Reich per la Kriegsmarine. In poche ore venne organizzato l’incontro fra il capitano delle SS Horm, capo di stato maggiore di Kaufmann, e John Egbert, presidente della società di navigazione Hamburg-Sud, proprietaria della Cap Arcona. Dopo cinque giorni di discussioni, trattative, e minacce, lo Sturmbannfuhrer Gehrig ebbbe ragione sull’ostinazione del comandante della Cap Arcona e si avviò quindi il trasferimento di 6.500 prigionieri e 600 guardie SS sul piroscafo, con i cargo Thielbeck e Athen.

La scena rasentava il grottesco: migliaia di persone denutrite, sfinite, sporche, malate, vestite di stracci, sparse per gli eleganti salotti vittoriani e le cabine del transatlantico (accuratamente sgombrati dai preziosi mobili antichi) e continuamente oggetto delle angherie degli spietati guardiani, senza cibo né acqua.

In vista dell’affondamento, le SS furono gradualmente sostituite da soldati più anziani, tra i 55 e i 60 anni, dell’esercito territoriale e della marina. L’Athen compì l’ultimo affiancamento al Cap Arcona il 30 aprile, per prelevare parte dei prigionieri dal piroscafo, perché il sovraffollamento era tale che le stesse SS non riuscivano più a sopportare il puzzo dei cadaveri ammucchiati. Intanto i negoziati fra SS e Croce Rossa svedese erano ripresi, fino a un accordo per la liberazione dei soli prigionieri francesi, circa 2.000, che il 30 aprile lasciarono il Cap Arcona e il Thielbek per essere trasferiti in Svezia. Sempre il 30 aprile 1945, tra i deportati si sparse la voce che Adolf Hitler si era suicidato, che Berlino era occupata dai russi e la guerra era praticamente finita.

La mattina di quello stesso giorno un aereo inglese, durante un volo di ricognizione sopra la baia di Lubecca, fotografò il Cap Arcona.

Per sfuggire al tiro delle batterie antiaeree, l’aereo volava a 10mila piedi, altezza dalla quale è difficile distinguere l’identità delle persone a bordo, ma era altresì chiaro che la bandiera sui pennoni delle tre navi era quella con la svastica.

Frattanto a Lubecca, nella tarda mattinata, due ufficiali britannici si presentarono all’ufficio della Croce Rossa svedese per ottenere i dettagli sulle navi-prigione, ma sfortunatamente era troppo tardi per bloccare l’operazione iniziata dalla RAF, con quattro squadriglie di bombardieri della 2a Forza Tattica già in volo su Lubecca.

L’attacco fu condotto da aerei del tipo Typhoon 1B del 263º Squadrone da Ahlhorn, del 197º Squadrone da Celle e del 198º Squadrone da Plantlünne, agli ordini del comandante pilota Martin Scott Rumbold.

Il Cap D’Arcona in fiamme

Il Cap Arcona, colpito da 64 razzi incendiari e avvolto dalle fiamme, si piegò su un fianco e cominciò ad affondare. Il capitano Bertram fuggì dal ponte invaso dal fumo aprendosi la strada nella calca dei prigionieri a colpi di machete e abbandonò la nave, mentre le SS terrorizzavano i detenuti a colpi di mitra. Molti canotti di salvataggio furono crivellati dalle pallottole. In un panico indescrivibile, i deportati sfuggiti all’attacco, alle fiamme, all’acqua che invadeva la nave-prigione, si precipitarono sul ponte per gettarsi in mare e tentare di aggrapparsi ai rottami galleggianti.

Il Thielbek è a sua volta colpito, si inclinò e iniziò ad affondare. Su 2.800 deportati si salvarono in 50. Le SS e i riservisti addetti al servizio di guardia furono tutti uccisi e fra le vittime ci fu anche il capitano Jacobsen. Su 4.500 detenuti del Cap Arcona si contarono 316 superstiti, i più fortunati quelli dell’Athen, che riuscirono a salvarsi tutti. In totale, in meno di mezz’ora morirono 7.500 prigionieri di 28 nazionalità diverse, mentre oltre 400 prigionieri riuscirono a raggiungere le spiagge, dove furono uccisi dalle SS e soldati della Wehrmacht.

Il ritrovamento di resti delle vittime sulle spiagge locali proseguì fino ai tardi anni sessanta. Molti cadaveri furono anche trasportati dalla corrente sull’isola di Poel dove furono sepolti nel cimitero locale, nei pressi del quale oggi si trova un piccolo monumento alla memoria. I superstiti furono solo 200. Fra questi, Johann Meyer di Höxter Weser, che nel 1950 rese testimonianza davanti al tribunale del Brandeburgo fornendo i dettagli sulla dinamica dell’affondamento.

Quattro giorni dopo, l’8 maggio 1945, terminò la guerra in Europa. La Athen, che non era affondata, diventò preda di guerra sovietica e ribattezzata General Brusilov, per poi essere donata, nel 1947, alla Polonia con il nome Warinsky, per la rotta Danzica-Buenos Aires, via Amburgo. Nel 1973 fu messa fuori servizio e infine adibita a magazzino nel porto di Stettino.

Le autorità britanniche hanno spiegato che la presenza di una flottiglia militare tedesca a fianco del Cap Arcona li aveva indotti in errore, facendo loro credere che la nave fosse occupata da militari tedeschi. Nel 2000, lo storico tedesco Wilhelm Lange ha affermato che, già il giorno prima del bombardamento, i britannici erano al corrente dell’esistenza delle navi-prigione, ma qualcosa non aveva funzionato nella trasmissione della notizia e oggi la tragedia della baia di Lubecca è considerata come un crimine di guerra. Tuttavia questo dramma, come molti altri, è ignorato dalla storiografia.

Il relitto del Cap Arcona è rimasto incagliato nella baia di Lubecca fino al 1950, con i corpi delle vittime al suo interno, per essere poi smantellato e ridotto a ferraglia. Il Thielbek, recuperato e riparato quattro anni dopo il naufragio, riprese servizio sotto il nome di Reinbek. Nel 1961 la Compagnia Marittima Knör & Burchard vendette il Reinbek, che in seguito navigò sotto bandiera panamense. Nel 1974 la nave fu infine smantellata a Spalato, nella ex Jugoslavia.

Fino ad oggi la responsabilità dell’accaduto non è stata stabilita con certezza; molte circostanze non sono tuttora chiare. Pare che la Croce Rossa svizzera avesse informato le truppe di terra alleate dell’esistenza delle navi e del tipo di “carico” da esse trasportato ma l’informazione non arrivò ai piloti della Royal Air Force che, durante i voli di ricognizione, non riconobbero prigionieri. Per tale motivo le persone a bordo furono scambiate per truppe e gerarchi nazisti in fuga dal paese.

Per la cronaca, i documenti d’archivio della Royal Air Force sulla vicenda non saranno resi pubblici prima del 2045.

Wilhelm Gustloff.

La Wilhelm Gustloff fu una nave passeggeri della compagnia tedesca Kraft durch Freude (KdF) divenuta tristemente famosa per essere stata affondata il 30 gennaio 1945 nel Mar Baltico da un sommergibile sovietico nel corso della seconda guerra mondiale. L’azione causò la morte di circa 10mila persone, passando alla storia come il più grave affondamento mai registrato per numero di vittime coinvolte. Ironia della sorte, fu affondata, nello stesso giorno della data di nascita dell’uomo di cui portava il nome, il fondatore dell’organizzazione nazista svizzera, NSDAP/AO a Davos, per organizzare i cittadini tedeschi all’estero. Ne rimase il leader dal 1932 al 1936, quando venne assassinato dallo studente ebreo David Frankfurter.

La campana del Wilhelm Gustloff

La Gustloff fu varata nel 1937 ed era il gioiello della Kraft durch Freude (KdF) tedesca, alle dipendenze della DAF (Deutsche Arbeitsfront), la quale, sostituendo i sindacati, aveva lo scopo di controllare e guidare l’intera forza lavoro tedesca.

Costruita dalla Blohm & Voss di Amburgo fu varata il 5 maggio 1937, completata il 15 marzo 1938, ed entrò in servizio il 24 marzo dello stesso mese. Il varo della nave avvenne il 5 maggio del 1937 alla presenza di Hitler e del comandante della marina da guerra (Kriegsmarine) ammiraglio Erich Raeder oltre a tutte le autorità locali e parecchie decine di migliaia di persone entusiaste. Madrina della cerimonia fu la vedova Gustloff che, dopo i vari discorsi ufficiali, lasciò andare la bottiglia di spumante contro la prua per il battesimo della nave; la gigantesca imbarcazione, la quinta come dimensioni della marina mercantile tedesca dell’epoca, scese dolcemente nel bacino sulle note dell’inno nazionale “Deutschland über Alles”.

Aveva una stazza di 25.895 tonnellate; lunghezza 210 metri; larghezza 24 metri; pescaggio 6,5 metri; velocità 15,5 nodi; imbarcata 1.500 passeggeri oltre all’equipaggio di 417 uomini. Aveva inoltre solarium, palestra, sette bar, sala da ballo, sala per fumatori, sala di musica, sala cinematografica, un ampio salone pranzo destinato esclusivamente a ristorante, otto spaziosi ponti aperti salvo quello inferiore che era protetto da una vetrata infrangibile di 160 metri per ripararsi nel caso di viaggi in condizioni metereologiche avverse.

Il 15 marzo 1938 la Wilhelm Gustloff fece il primo viaggio di collaudo a pieno carico ed il 24 marzo iniziò la sua attività ufficiale con una gita di tre giorni nel Mare del Nord. Il 10 aprile 1938 la nave fu ancorata ai Tilbury Docks alla foce del Tamigi a Londra come seggio elettorale per permettere ai cittadini austriaci e tedeschi residenti in Gran Bretagna di votare per l’annessione dell’Austria alla Germania (Anschluss).

La nave, che originariamente doveva chiamarsi Adolf Hitler, la Gustloff era la nave ammiraglia della flotta KdF, che possedeva numerose altre navi, altrettanto grandi e famose, e con una storia analoga, ma la Gustloff era unica in quanto a lusso e sfarzo. Numerose furono le crociere nell’Oceano Atlantico, nel Mediterraneo e nei mari del Nord, in genere per la classe lavoratrice tedesca più che per la ricca borghesia, in linea con le attività della propaganda di regime.

In seguito iniziò la sua normale attività crocieristica di svago avendo come mete soprattutto la Norvegia e l’Italia dove, dal porto di Genova, partivano le crociere invernali nel Mediterraneo. Tra i passeggeri illustri ci fu l’ingegnere Ferdinand Porsche che per la KdF aveva progettato la KdF-wagen diventata in seguito la celebre Volkswagen, l’auto del popolo. Mentre la Gustloff si preparava per una crociera a Madeira il 20 marzo 1939, il capitano Heinrich Bertram ricevette l’ordine di ancorare la nave alla foce dell’Elba e di prepararsi, insieme alle altre navi della KdF che comprendevano la Stuttgart, Der Deutsche, Sierra Cordoba, Oceana e l’appena varata Robert Ley, per raggiungere il porto di Vigo, in Spagna. Lo scopo della missione era raccogliere i volontari tedeschi che avevano combattuto in Spagna nella guerra civile appena terminata con la vittoria dei Falangisti del generale Franco. Si trattava della legione Condor attiva fin dal 1936 in terra iberica. Fu l’unica volta che la nave fu utilizzata esclusivamente per trasporto di truppe. Il ritorno ad Amburgo delle navi della KdF con i soldati fu accolto in modo trionfale dal feldmaresciallo della Luftwaffe Hermann Goering, da Robert Ley e da altri alti gerarchi. Con la Gustloff, vi erano altre quattro navi della KdF, la Robert Ley, la Der Deutsche, la Stuttgart e la Sierra Cordoba, ed infine la Oceana (che però non faceva parte della KdF).

Il 17 luglio 1939 la Gustloff partì per Stoccolma per portare 1000 tra i migliori atleti tedeschi alle Lingiadi, un evento sportivo cui partecipavano oltre 7000 atleti di 12 nazioni nell’ambito del Festival Internazionale di Ginnastica, organizzato per commemorare il centenario della morte del padre della “Ginnastica Svedese” Pehr-Henrik Ling. Sarà uno degli ultimi dei 60 viaggi del transatlantico che dal marzo del 1938 al 26 agosto del 1939 aveva imbarcato circa 80mila passeggeri nelle sue crociere intorno all’Europa.

Nel settembre del 1939, le forze armate tedesche trasformano la Gustloff in nave ospedale, a disposizione della Kriegsmarine, classificata Lazarettschiff-D, sulla quale trovarono posto feriti tedeschi e di altre nazioni. Gli arredi interni vennero parzialmente eliminati e trasformati in modo da accogliere 500 letti per i malati, una sala operatoria bene attrezzata, la strumentazione per raggi X, e tutto il personale infermieristico e medico necessario.

L’uso di questa nave era strettamente monitorato e seguiva un rigido protocollo di procedure internazionali. Infatti, era stata riverniciata di bianco, con una banda verde lungo tutta la carena su entrambi i lati, e numerose croci rosse sul ponte, sul fumaiolo e sulle fiancate. Su queste navi era proibito trasportare alcun tipo di materiale da guerra, sia offensivo che difensivo.

Il primo impiego della nave ospedale fu nella zona di Danzica al termine della campagna polacca. Rimase alla fonda nella baia per molte settimane, e supportava le numerose operazioni di guerra nella zona di conflitto sovietica, infatti tutti i soldati feriti venivano portati sulla Gustloff. Altre navi erano di affiancamento, fra cui la Stuttgart, la Der Deutsche e diverse altre.

Dal maggio del 1940 fino al luglio dello stesso anno, la Gustloff fu in servizio nella zona di Oslo, in Norvegia, come ospedale galleggiante, durante la campagna di Norvegia, e lasciò Oslo con 560 tra feriti e passeggeri.

Durante l’estate del 1940, alla Gustloff venne ordinato di prepararsi per le operazioni di invasione dell’Inghilterra ma, com’è noto, l’operazione Leone Marino alla fine dell’estate 1940 venne annullata. Ancora una volta salpò da Oslo con altri 414 feriti.

Subito dopo questo viaggio, venne ridipinta di grigio, come le navi da guerra, e tramutata in una caserma galleggiante, al servizio della Kriegsmarine, nel porto di Gotenhafen, assegnata alla 1a Divisione Unterseeboots, e poi alla 2a Divisione Unterseeboots, e rimase all’ancora a Gotenhafen per oltre quattro anni ospitando i soldati che dovevano essere addestrati per operare con gli U-Boot, nell’ambito della campagna “Die Glückliche Zeit” (tempo felice) che aveva permesso di affondare nei primi cinque mesi di guerra 275 navi alleate. Tutta la struttura sanitaria venne rimossa, le croci rosse cancellate, e la Gustloff, ridipinta in grigio come le navi da guerra, tornò ad essere un’unità passeggeri e tale rimase per oltre quattro anni alla fonda nel porto polacco. Altre navi della Kdf venivano intanto ancorate nel porto di Grotenhafen. Il 9 ottobre 1943 uno stormo di bombardieri americani dell’ottavo gruppo della Royal Air Force, in volo dall’Inghilterra, raggiunse la baia lanciando parecchie bombe, colpendo la Stuttgart, e mancando di poco la Gustloff.

Nell’ottobre del 1944 l’Armata Rossa nel corso della sua inarrestabile avanzata verso Berlino, conquistò la cittadina di Nemmersdorf nella Prussia dell’Est superando il confine tedesco. Nel gennaio del 1945 le truppe sovietiche iniziarono a dilagare spargendo il panico nella popolazione terrorizzata dalle violenze e dalla crudeltà dei soldati di Stalin. Migliaia di rifugiati tedeschi si ammassarono a Danzica nella speranza di scappare dai massacri, in particolare di donne e bambini, documentati con immagini terrificanti nei cinegiornali nella speranza di mostrare al mondo la brutalità dei bolscevichi. Il Reich stava collassando, nella Germania dell’Est l’unica speranza di salvezza restava la fuga dal porto di Danzica e da quelli vicini, verso occidente. Grazie all’intervento dell’ammiraglio Karl Dönitz che, contrariamente a Hitler, si era reso conto della situazione disperata del Reich, scattò dal 21 gennaio 1945 l’operazione “Hannibal”, probabilmente tra i maggiori successi di evacuazione di massa in tempo di guerra della storia, in quanto riuscì a trasportare ad ovest, mettendole in salvo, circa due milioni di persone. La Gustloff fu una delle centinaia fra navi da crociera ed imbarcazioni di ogni genere fino ai barconi da pesca, destinate a questa impresa. Tutte le più grandi navi della KdF vennero utilizzate per questa imponente operazione, principalmente nei porti di Danzica, Gotenhafen, Pillau. Fra le navi utilizzate, Cap Arcona (con 27.561 persone a bordo), Robert Ley (27.288 persone), Hamburg (22.117 persone), Deutschland (21.046 persone), Potsdam (17.528 persone), Pretoria (16.662 persone), Berlin (15.286 persone), Goya e altre.

Una volta terminata la guerra, le operazioni di soccorso furono considerate un successo, in quanto vennero trasportate oltre due milioni di persone. Tuttavia ci furono numerose vittime, dalle 25mila alle 30.000, soprattutto in seguito agli affondamenti del Gustloff e del Goya. Considerando il numero di persone trasportate, le condizioni climatiche e il periodo di guerra, tale operazione fu comunque un successo della macchina di soccorso tedesca.

Quando la Gustloff lasciò il porto di Gotenhafen, il 30 gennaio 1945, le condizioni climatiche erano pessime, con vento molto forte, neve e una temperatura di 10° sotto lo zero, e il Baltico disseminato di iceberg. Le possibilità di sopravvivere per un affondamento, in un mare così freddo, erano nulle. La Gustloff iniziò il proprio viaggio senza alcuna scorta, armata solo di qualche pezzo antiaereo, ma nessuna difesa contro gli attacchi di sommergibili.

In quell’occasione, imbarcava 918 ufficiali, 173 membri dell’equipaggio, 373 membri delle Unità Navali Ausiliarie (esclusivamente donne), 162 feriti, e 4.424 rifugiati, per un totale di 6.050 persone, ma vi erano inoltre molte persone che si erano raccolte sui ponti scoperti. Nuove indagini storiche dimostrano che il numero totale di persone al momento dell’affondamento era superiore a 10.500.

La Gustloff giunse in mare aperto scortata solo dalla torpediniera Löwe poiché la Hansa e un’altra torpediniera che dovevano navigarle a fianco, erano rientrate a Grotenhafen per noie ai motori.

Una volta decisa la rotta, dopo una concitata discussione fra il comandante Friedrich Petersen e gli ufficiali, la nave, superato il promontorio di Hala, a causa di un radiomessaggio che parlava di un convoglio di dragamine che navigava in quella zona in senso contrario, si trovò costretta verso le 18, data la visibilità precaria, ad accendere le luci di posizione per scongiurare il rischio di una collisione. La decisione, presa dal capitano di corvetta Zahn, e accettata con molta riluttanza dal comandante Petersen, segnò la condanna del transatlantico.

Il sommergibile sovietico S-13

La strumentazione antisommergibile della torpediniera Löwe era inservibile per cui l’S-13 si avvicinò alla grande nave, dove gli altoparlanti trasmettevano il discorso di Hitler via radio, che commemorava il 12° anniversario della presa del potere del partito nazista e concludeva la rievocazione affermando la certezza nella vittoria finale, malgrado la difficile situazione.

Il comandante Marinesko aveva seguito per quasi due ore la nave a circa un miglio di distanza poi puntò direttamente verso il bersaglio avvicinandosi a circa 700 metri ed alle 21,15 lanciò il primo siluro, battezzato col nome “Alla mia patria”, verso la prua della nave, sotto la linea di galleggiamento, dove era alloggiato parte  dell’equipaggio che non ebbe scampo a causa dell’esplosione e del blocco delle paratie stagne ordinato dal comandante per evitare allagamenti, che ne impedì ogni possibilità di fuga. Il secondo siluro, chiamato “Popolo Sovietico”, scoppiò sotto la piscina, vuota da anni, dove alloggiavano le 373 ausiliarie della marina che furono massacrate dal crollo del soffitto della piscina e dai frammenti delle piastrelle che la ricoprivano che si trasformarono in schegge mortali per la violenza dell’esplosione; solo due si salvarono. La Gustloff, sebbene lievemente inclinata, riusciva ancora a mantenere la rotta, ma un terzo siluro dal nome “Leningrad” colpì lo scafo all’altezza della sala macchine mettendo i motori ed anche i sistemi elettrici e di comunicazione fuori uso, creando uno squarcio enorme nella murata che iniziò ad imbarcare acqua allagando ponti e cabine superiori. La Gustloff iniziò rapidamente ad affondare, in pochi minuti la prua cominciò ad inabissarsi. Il caos a bordo era indescrivibile, si stima che da mille a duemila persone morirono immediatamente senza rendersi neanche conto di cosa stesse accadendo; la gente si accalcava sulle scale per scappare verso i ponti superiori, i più deboli morivano calpestati e travolti dalla massa di migliaia di persone terrorizzate. Le urla delle donne ed i pianti dei bambini, come racconteranno i superstiti, erano strazianti. Il ponte inferiore, quello protetto dalla grande vetrata, si trasformò in una gigantesca trappola in quanto le uscite erano bloccate e solo quando la pressione dell’acqua infranse la vetrata alcuni riuscirono a salvarsi. Dopo circa 50 minuti la Gustloff si inabissava definitivamente di prua nelle acque gelide del mar Baltico appoggiandosi sul fondale a circa 50 metri di profondità. Finiva così tragicamente la nave che era stata l’ammiraglia e l’orgoglio della KdF. Le scialuppe di salvataggio, già in numero insufficiente, erano in buona parte bloccate in quanto i loro ormeggi erano ricoperti da uno spesso strato di ghiaccio ed inoltre parte del personale che era in grado di metterle in mare giaceva senza vita. C’erano delle grandi zattere di sughero che, insieme alle poche scialuppe disponibili, permisero a parecchie persone di salvarsi dall’annegamento o dalla morte per assideramento, mentre la torpediniera Löwe, dopo avere lanciato l’SOS, si prodigava a soccorrere i naufraghi. Ne salverà 472. Sul posto giunsero rapidamente un’altra torpediniera, la T-36, che salverà 564 passeggeri, tra i quali il comandante Petersen e il capitano Zahn e, dopo circa un’ora, altre quattro motonavi, già cariche di migliaia di profughi provenienti dai porti polacchi, che riuscirono a raccogliere in totale 1252 persone. Avvenne anche un salvataggio miracoloso: dopo sette ore dall’affondamento, una piccola nave guardiacoste tedesca arrivò sul luogo del disastro dove galleggiavano parecchie centinaia di cadaveri ed individuò un canotto di salvataggio. Un ufficiale saltò dentro l’imbarcazione e trovò, in mezzo ai corpi congelati e senza vita di tutti gli occupanti, un bambino di un anno ancora vivo avvolto strettamente in una coperta di lana. Il bimbo fu poi adottato dal suo salvatore.

I morti ripescati in mare furono circa 2.000, tutte le altre vittime, circa 7.000, rimasero intrappolate e affondarono con la nave. Una stima più accurata parla di 9.343 morti, soprattutto donne e bambini, il più grave disastro come numero di vittime della storia navale, contro i circa 1.500 morti del Titanic e i 1.200 del Lusitania. I sopravvissuti furono 1.320.

L’affondamento della Gustloff fu il più grave e spaventoso affondamento nella storia navale. Nessun’altra tragedia in mare ha avuto perdite così numerose.

Il capitano Marinesko, dopo essere sfuggito col suo S-13 ad una blanda caccia con bombe di profondità da parte del Löwe e della T-36, era riemerso per constatare l’effetto dei suoi siluri e si era riportato al largo. Tre giorni dopo intercettò la General von Steuben carica con 4.000 rifugiati e la affondò.

La notizia della fine della Gustloff in Germania fu vissuta da Hitler e dalla sua gerarchia come la distruzione di uno dei preminenti simboli della potenza del Terzo Reich proprio ad opera degli odiati sovietici. Non era accettabile per il morale già scosso della popolazione, che i tedeschi apparissero come vittime e non come vincitori. A loro volta i russi considerarono, correttamente, la vicenda della Gustloff insignificante dal punto di vista militare, molto più importante era l’avanzata e le vittorie dell’armata rossa contro la Germania dal 1944 in poi. Non pubblicarono la notizia anche per la dubbia fama, nella sfera della vita privata, del capitano Marinesko, ed in seguito, con l’inizio della guerra fredda, l’episodio fu praticamente dimenticato. Ma anche gli angloamericani non diedero risalto alla notizia in quanto non era il caso di mettere in evidenza l’inutile massacro di quasi 10mila profughi da parte di una nazione, la Russia, allora alleata contro il nazismo. Le prime notizie in lingua tedesca dell’affondamento apparvero nei volantini Feldpost (Posta Militare) e Nachrichten für die Truppe (Notizie per le truppe) del 5-6 febbraio 1945 lanciati dagli alleati sulle truppe tedesche per deprimere il morale dei soldati, mentre una decina di giorni dopo, il 20 febbraio, il quotidiano svedese Svenska Dagbladet pubblicava per primo la notizia della morte “di almeno 10.000 passeggeri” nell’inabissamento della Gustloff. Soltanto dopo parecchi decenni l’argomento fu riconsiderato dai media mondiali e cominciarono ad uscire documentari e libri sull’accaduto. Da allora ci sono state discussioni e accesi dibattiti per stabilire un giudizio morale definitivo sulla fine della Gustloff.

Nel dopoguerra i palombari russi hanno lavorato parecchi anni per ispezionare il relitto della Gustloff ipotizzando che potesse contenere anche oro ed oggetti di valore e addirittura la famosa camera d’ambra del palazzo d’estate di Caterina di Russia a Tsarskoe Zelo trafugata dalle truppe tedesche durante l’assedio di Leningrado nel 1941. Poco o nulla si sa dei risultati di queste ricerche. In seguito la carcassa della nave, ancora in discrete condizioni nelle zone di prua e di poppa ma semidistrutta nella parte centrale, è stata dichiarata dal governo polacco “cimitero di guerra” e per un raggio di 500 metri l’area è stata interdetta agli esploratori subacquei.

Goya.

Un altro drammatico episodio fu il naufragio del Goya, il 16 aprile 1945, nel quale morirono oltre 6.700 persone e i superstiti furono 183. Una vicenda ancora avvolta da molti misteri.

La motonave Goya fu costruita nei cantieri Akers Mekaniske Verksted di Oslo fra il 1930 e il 1940, ed ebbe una breve vita come unità cargo, essendo stata requisita dalla Kriegsmarine all’atto dell’entrata in servizio, in occasione dell’attacco alla Norvegia. Aveva una stazza di 5.259 tonnellate; lunghezza 150 metri; larghezza 18 metri; era mossa da un impianto motore Burmeister&Wain per una potenza di 7.600 hp e una velocità di 18 nodi.

Inizialmente, il Goya doveva navigare sulle rotte commerciali del Nord Europa, e a tale scopo era stata realizzata con stive notevolmente capienti, molte delle quali dotate di impianto di refrigerazione, per beni di primo consumo e alimentari.

Quando le forze armate tedesche invasero la Norvegia, la nave venne requisita e, nel ’42, trasformata in unità ausiliaria per supporto militare, trasporto truppe e assistenza feriti, alle dipendenze della Kriegsmarine. Dopo alcune missioni, nel ’43 venne nuovamente sottoposta a modifiche, poi trasferita a Memel e usata come bersaglio per le esercitazioni degli U-Boot. Successivamente fu ripristinata per trasporto truppe e materiale bellico e, nel 1945, partecipò all’operazione “Hannibal”, per l’evacuazione di civili e militari in fuga dai sovietici.

Il convoglio del Goya comprendeva altre due navi da trasporto e due posamine di scorta. In piena missione, il 16 aprile 1945, il Goya partì dal porto di Gdynia, agli ordini del capitano Plünnecke, navigando intorno alla penisola di Hel, nel Mar Baltico. La nave era colma di civili e militari, in particolare appartenenti al 25° Panzer Regiment, della 7a Divisione corazzata). Un numero altissimo che non è mai stato stimato in modo preciso, ma di certo era oltre le 6.700 persone. Il convoglio comprendeva due unità minori (il Kronenfels e il rimorchiatore a vapore Aegir) e i dragamine M-256 e M-328 come scorta. In conformità alla Operazione Annibale, organizzato da Hitler e dall’ammiraglio Karl Dönitz, il Goya fu una delle circa mille unità commissionate a partecipare all’evacuazione.

La posizione del relitto era conosciuta dai pescatori polacchi, tuttavia, per diverso tempo non è stata identificato se non come “Relitto n. 88″ sulle carte marittime della Marina. Il 26 agosto 2002, il relitto è stato scoperto per Polacco per subacquei tecnici Grzegorz Dominik, Michał Porada e Marek Jagodzinski, che ha anche recuperati bussola della nave.

Esattamente 58 anni dopo l’affondamento, il relitto fu localizzato con precisione il 16 aprile 2003 da una spedizione internazionale, sotto la direzione di Ulrich Restemeyer con l’aiuto di attrezzature sonar a scansione 3D. Ciò che rimane del Goya giace a circa 80 metri di profondità e pare essere in buono stato di conservazione. Poco dopo la scoperta, il relitto è stato dichiarato ufficialmente “cimitero di guerra” da parte dell’Ufficio Marittimo di Gdynia. Nel 2006 la decisione è stata pubblicata in una gazzetta ufficiale del governo del Voivodato della Pomerania e quindi è illegale immergersi a meno di 500 metri del relitto.

Generale von Steuben.

La General von Stuben era un’unità passeggeri tedesca che, come le precedenti, fu requisita dalla Kriegsmarine, finendo affondata negli ultimi giorni di guerra, il 10 febbraio ’45, silurata dal sottomarino sovietico S-13 mentre serviva come trasporto nell’operazione di evacuazione “Hannibal”. Le vittime furono oltre 4.000.

La General von Steuben venne impostata nei cantieri A&G Vulkan di Stettino, in Germania, nel 1922. Aveva una stazza di 14.700 tonnellate; lunghezza 170 metri; larghezza 20 metri; pescaggio 6 metri; era mossa da un impianto con turbina a vapore collegato a due eliche, per una velocità di 16 nodi, e poteva trasportare 795 passeggeri. Compì il viaggio inaugurale il 23 giugno 1923 e rimase in servizio come nave passeggeri fino al 10 febbraio 1930 quando, appena lasciato il molo di Brema, scoppiò un incendio che si diffuse da una stiva all’altra, causando alcune dirompenti esplosioni e la nave si adagiò sul basso fondale. Con difficili operazioni, fu poi rimorchiata, messa in bacino e, dopo un lungo periodo di lavori, rimessa in servizio.

Con la Wilhelm Gustloff e molte altre navi, fu parte della più grande evacuazione via mare della storia, ben più ampia del ritiro britannico da Dunkerque. Nonostante le perdite subite durante l’operazione, resta il fatto che nell’operazione “Hannibal” furono tratte in salvo oltre due milioni di persone, di fronte alla inarrestabile avanzata dell’Armata Rossa verso Konigsberg, Pillau, la Prussia orientale e Danzica.

Il 9 febbraio 1945, il General von Steuben salpò da Pillau, sulla costa baltica, diretto a Swinemunde. Poco prima della mezzanotte, il capitano del sottomarino sovietico S-13, Alexander Marinesko, lanciò due siluri che colpiscono a prua, subito sotto il ponte dove molti dell’equipaggio dormivano. La maggior parte morirono all’impatto dei siluri. Secondo i sopravvissuti, la nave affondò in circa 20 minuti. Si stima che circa 4.500 persone morirono nel disastro. Grazie alla torpediniera T-196, che in tutta fretta si fermò accanto al General von Steuben mentre affondava, circa 300 sopravvissuti furono tratti in salvo, estratti direttamente dai ponti ormai semisommersi. In totale si salvarono 650 persone.

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