Danimarca, Svezia, Polonia: tre direttrici per la politica estera di Bonaparte. Di Gino Salvi.

Napoleone Bonaparte in un celebre dipinto.

Durante l’epopea napoleonica il grande còrso cercò di costruire, con alterna fortuna, un sistema di alleanze in funzione antirussa ed antiprussiana nell’Europa settentrionale. Ascesa e declino dell’influenza francese nelle terre del Nord.

L’oggetto di questo articolo è la politica estera napoleonica verso le nazioni nordeuropee. Tale politica procedette su tre direttrici: verso la Danimarca, verso la Svezia e verso la Polonia, sviluppandosi in momenti e modalità differenti. Però, prima di parlarne, dobbiamo delineare il contesto della Francia uscita dal periodo rivoluzionario, la politica napoleonica intesa in senso ampio (non solo nella sua accezione estera) e ciò che caratterizzò Napoleone Bonaparte quale primo vero governante moderno. In senso compiuto perché accenni di questa modernità si erano già visti nel cardinale e duca Armand-Jean du Plessis Richelieu (1585-1642), in Oliver Cromwell (1599-1658) e nelle monarchie settecentesche prussiana, russa, spagnola, svedese e austriaca. Con esse Napoleone condivise il nazionalismo, il giurisdizionalismo e l’accentramento. In primis Napoleone non fu un figlio della rivoluzione. Egli fu, piuttosto, il prototipo del contemporaneo rivoluzionario – conservatore. Inoltre Napoleone restò sempre, anche nei momenti di maggiore politicismo, un militare. Pensiamo, in prospettiva (facendo salvi, logicamente, i differenti contesti storici e nazionali), al generale Georges Boulanger (1837-1891), a Juan Domingo Peròn (1895-1974) e a Charles De Gaulle (1890-1970). Bonaparte, per la prima volta nella storia, coniugò il governare (pensiamo alla proclamazione dell’Impero) dall’alto con l’esigenza d’una partecipazione popolare (pensiamo al voler consacrare le scelte politiche attraverso dei plebisciti). Infatti, nella parabola napoleonica possiamo osservare, almeno sul nascere, alcune costanti e varianti della politica della seconda parte del secolo XIX e del secolo XX.  Vediamo. È l’anno 1800. Comincia il XIX secolo. Napoleone, a metà dell’anno, rivela subito di essere anche uomo di Stato e d’amministrazione. È sorprendente la sua bravura nei campi più disparati. Già il 13 febbraio 1800, trasforma la Cassa dei Conti correnti in Banca di Francia, modellata sulla Bank of England: si tratta di far governare la moneta da un istituto centrale. La neonata Banca di Francia risolve buona parte dei problemi della moneta fatiscente, del crollo della quotazione dei «beni nazionali» cioè le terre dei nobili emigrati, del debito pubblico, della speculazione, dell’usura e rilancia l’industria e il commercio. Martin Michel Charles Gaudin (1756-1841), finanziere geniale, è il cervello di questa evoluzione. Dopo un po’ anche l’esazione delle tasse torna a funzionare e il credito pubblico ne è rivivificato. Napoleone ha un occhio speciale per il sistema bancario. È abilissimo nel risanare le finanze e crea altri istituti: a Parigi instaura il prefetto della Senna e il prefetto di Polizia. In provincia perfeziona i commissariati di Polizia. Prova una forte attrazione per il sistema giuridico: il 12 agosto presso il Consiglio di Stato viene creata la Commissione per studiare il nuovo Codice civile. Intanto, ed è un indice per cui Napoleone è il primo moderno leader carismatico, si sviluppa un vero culto della personalità. Pensiamo soltanto allo splendo ritratto con cui l’epico David lo ritrae: Bonaparte franchissant le col du Saint-Bernard. Lo storico William M. Sloane sottolinea, appunto, che in Napoleone sono sempre convissuti due personaggi: il generale e lo statista, lo stratega e il politico.  E, da uomo moderno qual è la sua attenzione politica e strategica si dirige, con una visione davvero imperiale, a sud verso l’Egitto, in senso coloniale, e, sul versante delle alleanze, verso l’Europa del Nord. Infatti, nel 1801, dopo che levittorie di Napoleone avevano affondato la Seconda coalizione e l’Inghilterra era l’unica potenza ancora in guerra con la Francia, Svezia e Danimarca, unite nella Convenzione del Nord avevano adottato, grazie al convincimento dell’allora primo console, la neutralità. L’Inghilterra, anch’essa con una sua vocazione alla politica imperiale, voleva bloccare le ambizioni napoleoniche. In questa volontà s’inseriscono lo sbarco degli inglesi il 16 marzo in Egitto, la loro offensiva contro l’armata francese del generale Jacques François Menou (1759-1810) e l’invio, da parte britannica, d’una potente flotta davanti a Copenaghen. L’ammiraglio sir Hyde Parker (1739-1807) portò la flotta di venti navi da guerra inglesi nel porto danese a presentare un ultimatum al principe ereditario Federico, reggente al posto del folle Cristiano VII re di Danimarca e Norvegia (1749-1808). I danesi aprirono il fuoco con le batterie della costa. Sir Hyde ordinò alle navi di ritirarsi, ma il suo secondo, l’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805), ignorò il segnale. Al comando di Nelson i cannoni della flotta misero a tacere le batterie costiere, quindi egli attaccò e distrusse l’intera flotta danese all’ancora, dieci vascelli di linea. Il bombardamento, avvenuto il 2 aprile 1801, fu così devastante che introdusse il neologismo «copenaghenizzare». Il giorno dopo la Danimarca chiese un armistizio. Nonostante questo, la politica imperiale del Bonaparte (diventato, appunto, imperatore il 2 dicembre 1804) giunse a compimento con la sconfitta della Prussia nell’ottobre 1806 e si consolidò con il trattato di Tilsit (7 luglio 1807). Con esso, oltre al ridimensionamento della potenza prussiana e russa, fu creato il granducato di Varsavia, con cui la Polonia riebbe la sua indipendenza, e si stabilì che la Danimarca e la Svezia facessero parte della sfera continentale francese.

L’aristocratica polacca Maria Walewska

Ciò era un preludio a quel blocco continentale (per escludere i prodotti inglesi dal mercato europeo) che, coniugando politica, strategia ed economia, costituiva una mossa modernissima. La ricostituzione dello stato polacco rispondeva, sicuramente, alla volontà francese, da un lato, di ridurre la forza della Prussia e, dall’altro, di usare la Polonia quale argine contro le ambizioni russe verso occidente. Così come, sempre assai modernamente, a Bonaparte non sfuggivano le potenzialità di un’alleanza o, come abbiamo visto, della neutralità, da parte della Danimarca e della Svezia in funzione anti-inglese sul Mare del Nord ed anti-russa sul Baltico. Nuovamente, come già nel 1801, l’Inghilterra reagì attaccando la Danimarca, sferrando un attacco navale a Copenhagen. Si trattò d’un attacco di tipo «preventivo». Infatti, l’allora ministro degli esteri britannico, Lord George Canning (1770-1827), affermò che i «servizi segreti» lo avessero informato di una possibile alleanza (un salto di qualità rispetto alla «neutralità armata» mantenuta fino ad allora dalla Danimarca) con l’Impero francese.  Sicuramente, l’Inghilterra volle anche, dopo la vittoria navale, nel 1805, a Trafalgar, rimarcare la propria superiorità sul mare contrapponendola, in una sorta di sfida militare, a quella terrestre francese. Perciò, l’Inghilterra impegnò la maggioranza delle sue forze nella guerra navale e nel potenziamento della Royal Navy non soltanto come mezzo per raggiungere la vittoria militare ma, anche, per spezzare quel «blocco continentale» con cui Napoleone voleva stroncarne l’economia ed il commercio. A questo proposito, nel 1807, si cominciò una produzione «in serie» delle navi da battaglia britanniche. Dunque nel 1807, come poi accadrà nel 1940, non sorprenda se la Danimarca, grazie alla sua posizione strategica sul Baltico, assunse una rilevanza grandissima rispetto alle sue dimensioni territoriali. L’attacco britannico venne portato avanti dall’ammiraglio James Gambier (1756-1833) il 3 e 4 settembre 1807.  Ciò offre l’idea che le guerre napoleoniche, non la guerra di secessione statunitense, siano state il primo conflitto moderno (sia per l’uso di agenti segreti, di nuove armi e per il coinvolgimento delle popolazioni).

Il bombardamento navale britannico di Copenhagen (1807). Nell’occasione, la Marina inglese adoperò 27.000 razzi Congreve

Riguardo alle armi, proprio nella seconda battaglia di Copenhagen, furono lanciati 27.000 razzi Congreve che contribuirono alla distruzione del 30% delle costruzioni della città e fecero oltre 5.000 vittime nella guarnigione e nella popolazione, tra morti e feriti.

L’Europa napoleonica

Una breve digressione. Dicendo che, appunto, i razzi Congreve (così detti dal colonnello William Congreve (1772-1828), che lavorava presso il laboratorio dell’Arsenale di Woolwich, presso Londra, e che fu l’iniziatore, nel 1801, di un programma di ricerca e sviluppo sui razzi) erano costituiti da un tubo in ferro cilindrico contenente polvere nera, alla quale era applicata una testa in guerra con ogiva conica. La testa in guerra era attaccata a un’asta di legno e i razzi erano sparati a due a due da un lanciatore metallico con una struttura ad A rovesciata. Il razzo aveva una gittata massima di 2 miglia (3,2 km), e i lanci risultarono spesso efficaci. Congreve progettò numerose teste in guerra (esplosive, shrapnel e incendiarie) di differenti dimensioni con un peso che variava da 1,4 a 14,5 kg; la versione da 11 kg, che aveva un’asta lunga 4,6 m con un diametro di 33 mm, fu quella più usata (nel caso dei razzi il peso era riferito a quello di una palla di piombo che era all’interno del fuso metallico). Congreve realizzò anche un altro lanciatore con la struttura simile a una scala. Il razzo era acceso da un meccanismo a pietra focaia, attaccato alla struttura del lanciatore, che veniva innescato manovrando una lunga cima. I razzi venivano costruiti all’interno di un’apposita struttura presso la fabbrica reale di polvere da sparo di Waltham Abbey nell’Essex. L’uso migliore di questi razzi in guerra fu appunto quello navale e quella contro Copenhagen fu la seconda azione dopo quella contro la città francese di Boulogne il 18 novembre 1805. A lanciare questi razzi furono proprio alcune unità della Royal Navy, come l’HMS Galgo, il King George, il Nimrod, l’HMS Whiting e l’HMS Erebus che , tra il 1809 e il 1814 vennero appositamente concertite ed attrezzate come lanciarazzi.

Riprendendo il discorso sull’attenzione napoleonica verso la Polonia, si deve affermare che essa era assolutamente particolare e non completamente spiegabile dal punto di vista strategico. In essa c’era anche il desiderio bonapartista di far sì che l’Impero francese apparisse ai polacchi una forza liberatrice. Fu per questo motivo idealistico che, dopo Tilsit, Napoleone, oltre alle considerazioni d’ordine strategico, non accettò mai di sacrificare la Polonia ad un’alleanza con la Russia. Poi, certamente, ci fu anche la relazione sentimentale fra il Bonaparte e l’aristocratica polacca Maria Walewska (1786-1817): una motivazione nell’attenzione napoleonica verso la Polonia da non sottovalutare aprioristicamente, ma nemmeno da sopravvalutare come è accaduto nella letteratura romantica e nel cinema, nella classica pellicola interpretata dalla grande Greta Garbo.

Ora nel nostro excursus sulla politica bonapartista verso l’Europa del Nord, veniamo alla Svezia, in conflitto con la Russia. Il 7 settembre 1809, con la pace di Fredrikshamn, la Svezia cedette la Finlandia all’impero russo. In questa situazione difficile dal punto di vista territoriale, s’inserì una crisi dinastica nella Corona svedese. Al deposto Gustavo IV (1778-1837) era succeduto lo zio Carlo XIII (1748-1818), il quale era rimasto senza figli. Al trono svedese, perciò, i pretendenti alla carica di principe ereditario di Svezia erano Frederik VI e il suo parente, il principe Christian August di Augustenburg, il quale, in realtà, era già stato nominato a capo della Consiglio del Governo in Norvegia e comandante generale dell’esercito svedese nella Norvegia meridionale. Fu quest’ultimo ad essere scelto quale principe ereditario. Ma, morendo prematuramente, il Riksdag, il Senato svedese, scelse il maresciallo francese Jean-Baptiste Jules Bernadotte (1763-1844). Adesso, con l’alleanza della Danimarca, la ricostituzione dello Stato polacco e la scelta del Bernadotte quale principe reale di Svezia, apparentemente la politica estera nordeuropea bonapartista sembra coronata da successo. Non fu così. Perché? Perché nel 1811, a causa del«blocco continentale» l’economia danese risultava distrutta; perché l’attacco francese alla Russia pose le premesse, oltre che per la sconfitta della Francia, per il ritorno della Polonia sotto il governo russo; perché il Bernadotte una volta divenuto re della Svezia pensò ed agì come tale e non più come un maresciallo francese. Ritenendosi, dunque, svincolato da qualsiasi sentimento di fedeltà e giungendo ad allearsi, nel 1813, con gli avversari (Austria, Russia, Prussia ed Inghilterra) della Francia. Però anche se non coronata da un successo finale, la politica estera bonapartista era giusta, in quanto ispirata da una visione geopolitica moderna, che avrà successivamente un maestro nel tedesco Karl Haushofer (1869-1946). Quella geopolitica di potenza che oggi è purtroppo accantonata, a causa del tramonto della politica stessa, ormai sottomessa ai poteri finanziari apolidi.

Bibliografia

Napoleone. Un rivoluzionario alla conquista di un impero, Collezione Le Scie, Milano, Mondadori, 1995.

S.J. Woolf, Napoleone e la conquista dell’Europa, Laterza, Roma-Bari 1990.

Paul Johnson,  Napoleone, trad. di I. Belliti, Collana Le Terre, Fazi, 2004

Andrea  Frediani, Le grandi battaglie di Napoleone, Newton Compton, 2002.

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