Le missioni speciali dei reali carabinieri a Creta, Macedonia e in Turchia. Di Roberto Roggero.

Il colonnello dei Carabinieri Giovanni Battista Carossini, Capo missione in Anatolia.

Fra il 1897 e il 1923, i militari dell’Arma dei Carabinieri furono prescelti per missioni di addestramento della Gendarmeria cretese. Il loro impiego risultò a tal punto soddisfacente, che il Sultano ottomano chiese un ulteriore impiego in Macedonia, e nella stessa Turchia, mentre l’Europa è travolta dalla prima guerra mondiale.

Creta:

Chiamata anche Candia dall’arabo Kandah (trinceramento), l’isola di Creta è stata fin dall’antichità un importante centro di civiltà, oltre che nodo strategico e attiva area di traffici. Occupata nel XVII secolo dai turchi dopo una guerra durata 25 anni, la popolazione isolana, di ceppo ellenico, rifiutò l’assoggettamento e la convivenza, insorgendo più volte (1821, 1833, 1848 e 1866) con il risultato di una dura repressione. All’inizio del 1897 la rivolta si riaccese più violenta, e gli scontri fra cristiani e musulmani investirono tutta l’isola.

Il 4 febbraio 1897 reparti greci sbarcarono a Colimbari al comando del generale Vassos. La notte dello stesso 4 febbraio da Catania salpò la nave con il primo nucleo di Carabinieri diretti a Creta, con contingenti inglesi, francesi, tedeschi, russi e austriaci, per un intervento concertato con il Sultano ottomano. L’ufficiale in comando dei militari dell’Arma era il capitano Federico Craveri, assistito dai tenenti Arcangelo De Mandato e Candido Celoria, e dal brigadiere Giuseppe Pesavento.

A complicare il quadro degli avvenimenti, il 2 marzo seguente, quello che rimaneva della vecchia Gendarmeria, composta in prevalenza da turchi, non ricevendo la paga da molti mesi, si abbandonò all’ammutinamento, asserragliandosi nella principale caserma. Richiesto l’intervento, marinai italiani e russi circondarono l’edificio. A trattare la resa si presentarono il colonnello turco Suleyman Bey, il maggiore britannico Boor e il capitano Craveri, che però furono accolti a fucilate. In breve, nonostante la morte del colonnello turco e del maggiore inglese, la sommossa venne alla fine sedata e, per il comportamento dimostrato, al capitano italiano fu concessa la medaglia d’argento al Valor Militare.

Federico Craveri (1860-1938) entrò nell’Arma nel 1885 e nel 1890 era al comando di diversi reparti territoriali, quindi fu trasferito a Massaua con il grado di tenente. Nel 1894 si guadagnò la prima decorazione al Valor Militare per il comportamento tenuto nella battaglia di Coatit (gennaio 1894) e due anni dopo fu promosso capitano e scelto per la missione a Creta, dove rimase due anni, distinguendosi per le doti organizzative e di comando. Al ritorno da Creta, nel 1899, fu ancora in Africa per cinque anni, al servizio del governatore dell’Eritrea, Ferdinando Martini, per tornare in Italia definitivamente nel 1904.

Allo scoppio della guerra italo-turca riprese servizio attivo e fu destinato alla polizia di Tripoli, quindi nella prima guerra mondiale, richiamato con il grado di maggiore e destinato all’ispettorato delle retrovie del 12°Corpo d’Armata. Promosso tenente colonnello svolse incarichi in zona di guerra, quindi promosso colonnello per meriti sul campo, e congedato nel 1923.

Tornando ai fatti di Creta, il 15 febbraio 1897 il Consiglio Straordinario degli Ammiragli delle Potenze europee, riunito a bordo della corazzata italiana Sicilia, comandata dall’ammiraglio Canevaro, decise lo sbarco di cento marinai per ciascun Paese membro, in accordo con il sultano della Sacra Porta, mentre la marina greca avrebbe dovuto sospendere ogni iniziativa. Il reparto italiano sbarcò a Creta dalla nave trasporto Morosini e portò a termine le operazioni e, per il successo ottenuto, il capitano di vascello Amoretti fu nominato comandante militare internazionale a La Canea. Come prima misura, chiamò i quattro ufficiali dei Carabinieri già di stanza a Creta e li fece integrare nel proprio stato maggiore. Il settore italiano prese quindi ad operare in autonomia (dal momento che gli ammiragli del Consiglio Internazionale avevano deciso l’indipendenza territoriale delle zone di influenza) pur mantenendo in funzione la Gendarmeria cretese composta da soldati turchi. Il 15 aprile seguente la Turchia dichiarava guerra alla Grecia.

Nel marzo dell’anno seguente Austria e Germania ritirarono i presidi da Creta e l’isola venne divisa in quattro zone di controllo per Francia, Russia, Italia e Inghilterra, sotto la supervisione del Consiglio degli Ammiragli.

La situazione, per ciò che concerneva i servizi di polizia, restava quanto mai caotica. Nel settore italiano, il capitano Craveri con i suoi ufficiali aveva già impiantato un certo numero di Stazioni, formate da militari locali e Carabinieri, inquadrati da sottufficiali dell’Arma, appositamente giunti dall’Italia. Indipendentemente dalle forze internazionali di polizia, la vecchia Gendarmeria turca funzionava ancora per proprio conto, ma apparve presto evidente, di fronte a tale stato di cose, che non fosse più rinviabile la fusione delle Polizie straniere in un’unica Gendarmeria internazionale. Fu ancora il capitano Craveri ad essere prescelto per assumerne il comando, in ragione dell’esperienza e della perizia dimostrate in diverse occasioni, e lo avrebbe conservato anche quando il comando militare internazionale passò dall’Italia alla Francia nel 1898.

Come ulteriore passo, fu creata una Guardia Civica, che comunque, vista la sovranità turca, rimase aperta anche agli ex poliziotti dell’Impero Ottomano, che doveva affiancare la Gendarmeria Internazionale e, in diverse fasi, sostituirla definitivamente. Le Stazioni dei Carabinieri italiani passarono di fatto alle dipendenze di tale organismo. Il capitano Craveri divenne così comandante della Guardia Civica del settore italiano.

Con la Gendarmeria Internazionale e la Guardia Civica, il Consiglio degli Ammiragli dispose il disarmo della popolazione, mentre la diplomazia era all’opera per una Creta autonoma, con un governo commissariale e una Gendarmeria cretese come unica forza di polizia. Come Alto Commissario fu nominato il principe Giorgio di Grecia, con soddisfazione della maggioranza della popolazione. Giorgio di Grecia arrivò a Creta il 21 dicembre dello stesso 1898, e il 25 dicembre gli Ammiragli delle Quattro Potenze, lasciarono l’isola, considerata pacificata. A garantirne la sicurezza, restavano poche forze internazionali, fra le quali i Carabinieri italiani e la Gendarmeria unica, che stava prendendo forma definitiva.

Nel periodo di pace, durato fino al 1905, fu riorganizzata anche la Pubblica Amministrazione, mentre la Gendarmeria cretese, affidata ai Carabinieri italiani, rimaneva agli ordini del capitano Craveri. Per il compito che doveva affrontare, al capitano italiano il governo inviò altri cinque ufficiali e circa 80 sottufficiali che formarono le basi della Gendarmeria.

Nel 1900, il capitano Craveri, a Creta dal 1897, chiese il trasferimento in Eritrea e, a sostituirlo, giunse il capitano Balduino Caprini, che vi restò fino al 1903. Dopo di lui il comando passò al capitano Eugenio Monaco, fino al 1906.

Il capitano Balduino Caprini.

Al momento in cui Craveri lasciò il comando, la Gendarmeria era di fatto organizzata, strutturata e funzionante su cinque compagnie territoriali, con comando a La Canea interna, La Canea esterna, Retimnos, Candia e Mirabella. Ogni stazione faceva capo a cinque tenenze e undici sezioni, dirette da altrettanti marescialli o brigadieri, oltre a 60 Stazioni affidate, a seconda dei casi, a personale cretese.

Nel 1903 la Gendarmeria comprendeva 1.200 uomini in totale, di cui 45 marescialli, 106 brigadieri, 60 vice-brigadieri, 40 Carabinieri di truppa, 835 gendarmi cretesi e i restanti Allievi Gendarmi, con una forza a cavallo di 60 uomini.

Il periodo di comando del capitano Monaco fu quasi interamente dominato dall’ultima insurrezione, particolarmente violenta, che scoppiò il 23 marzo 1905 e si protrasse fino al 23 novembre.

La sollevazione mise a dura prova le istituzioni, pur accettate con tanto favore, e soprattutto la Gendarmeria che, sempre al comando di ufficiali dei Carabinieri, dovette affrontare e risolvere situazioni complesse e di vasta portata, operando spesso nell’impervio teatro delle montagne, roccaforti e quartier generale degli insorti. Il comportamento della Gendarmeria e dei militari italiani nella rivolta del 1905 fu dimostrato, per tutti, dal conferimento della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia al tenente Giovanni Battista Carossini, che si era distinto negli scontri di Adzipopoulos, oltre a numerosi encomi e menzioni d’onore a vari sottufficiali.

Particolare significato assume il fatto che i capi dell’insurrezione, Venizelos e Fumis, si recarono di persona a rendere omaggio al comandante della Gendarmeria, capitano Monaco, per esprimere la loro gratitudine, estesa a tutto il personale dei Carabinieri che, per quanto possibile, si erano sforzati di limitare lo spargimento di sangue in una lotta fratricida.  La popolazione cretese fu chiamata a nuove elezioni nel maggio 1906, in seguito alle quali l’isola conobbe nuovamente un periodo di pace per la raggiunta unità nazionale. La missione dei Carabinieri italiani a Creta terminò con il rimpatrio del 31 dicembre 1906.

Macedonia:

Successivamente, i Reali Carabinieri svolsero un’altra importante missione, nello scenario politico dell’epoca, in seguito a una richiesta ufficiale del sultano ottomano Abdul Hamid, per ristrutturare la Gendarmeria macedone, in un momento in cui, per la Sublime Porta, vi erano notevoli problemi di politica interna.

Il movimento dei Giovani Turchi infatti, stava prendendo sempre più campo, mentre nel resto dei Balcani erano diversi i focolai di rivolta contro l’ormai secolare dominio: le ambizioni indipendentiste della Bulgaria, fomentate dallo zar Nicola II, la tradizionale ostilità della Grecia, la guerriglia portata avanti dalle tribù armene e le conseguenti repressioni.

A Roma, la richiesta del sultano trovò parere positivo e fu deciso che a prendere le redini della Gendarmeria macedone fosse il generale Emilio De Giorgis, assistito dal capitano Balduino Caprini. Quattro mesi dopo, nel maggio 1904, il colonnello Enrico Albera fu inviato in qualità di ufficiale aggiunto alla Commissione Internazionale, e si insediò a Salonicco, città considerata focolaio di resistenza. Proprio a Salonicco, infatti, il partito dei Giovani Turchi aveva cominciato a raccogliere le prime bande organizzate di guerriglieri bulgari, albanesi e greci, che assediavano le campagne.

Uno dei primi compiti del colonnello Albera fu quello di ristabilire l’ordine, fino all’imposizione del coprifuoco. La missione dei Carabinieri terminò nel 1911, anno in cui, nell’Impero Ottomano, erano otto gli ufficiali dell’Arma con compiti di responsabilità e comando. Oltre al colonnello Albera, assistito dai capitani Ettore Lodi e Rodolfo Ridolfi a Costantinopoli, vi erano il maggiore Carlo Cicognani e il capitano Giovanni Carossini a Beirut; il capitano Arcangelo Lauro a Smirne; il tenente Erminio Mazza a Trebisonda.

La regione della Macedonia era sotto dominio degli ottomani dal lontano 1430, dopo una vittoriosa campagna di conquista contro le minoranze serbe, bulgare e greche. Vi era poi stato il Trattato di S.Stefano, nel 1870, in conseguenza della sconfitta ottomana per mano dell’esercito russo, con cui si stabiliva che, ad eccezione di Salonicco e della Calcidia, il territorio macedone rientrava nei confini bulgari. La Germania, che aveva rapporti commerciali e militari con la Turchia, respinse ufficialmente tale sistemazione territoriale con il Congresso di Berlino del 1878, e la Macedonia tornò sotto l’impero turco. Si apriva così la “questione macedone” che indusse Russia, Inghilterra, Francia, Austria e Italia, a intervenire formando una Commissione Internazionale, il cui compito primario fu la riorganizzazione di una forza di polizia per ristabilire l’ordine.

Con gli accordi di Berlino le Potenze europee si illusero però di avere chiuso la “questione macedone” in base al nuovo assetto politico dei territori balcanici, ma in realtà niente era stato risolto.

Nel 1902, proprio in Macedonia scoppiò una rivolta contro l’autorità ottomana, che l’anno seguente si allargò all’Albania. Alle spalle di tutto, Russia e Austria continuavano a sostenere la Sacra Porta, cercando di evitare la disgregazione dell’impero almeno finché non fosse stata decisa la spartizione dei suoi territori.

La nuova missione italiana, in particolare l’impiego dei Carabinieri, si decise con l’Accordo di Murstzeg del 3 ottobre 1903 fra impero Ottomano da una parte, e Austria-Ungheria e Russia dall’altra, con riforme che il Sultano avrebbe dovuto attuare per evitare il disfacimento. Fra queste, il riordinamento della Gendarmeria macedone, per altro responsabile di manifesti abusi sulla popolazione (fra le cause della rivolta) per procedere ad una pacificazione del territorio.

Fu il ministro degli Esteri, Tommaso Tittoni, nel quadro dell’Accordo di Murzsteg, a ottenere che fossero inviati i militari italiani, e che a capo della missione di riorganizzazione della Gendarmeria macedone fosse nominato un generale italiano.

Il trattato stabiliva che il Sultano dovesse accettare l’impiego di almeno 60 ufficiali stranieri, con uno stipendio notevole data la natura dell’impiego, onere non certo indifferente per le esauste casse di Costantinopoli. Il governo turco ottenne però che in una fase iniziale gli ufficiali stranieri fossero solo 25, cercando di non arrivare mai al numero previsto, perché l’esborso sarebbe risultato troppo consistente.

A Roma, il ministero della Guerra si pronunciò a favore il 2 gennaio 1904, approvando la richiesta della Sacra Porta per l’invio di ufficiali dei Carabinieri e scegliendo quale responsabile il generale Emilio De Giorgis, all’epoca comandante della divisione di presidio Cagliari, famoso per la fermezza e la decisione nel portare a termine i compiti assegnati, che avrebbe risposto direttamente al superiore nominale, generale Federico Pizzuti. Il nome del capitano Caprini era altrettanto celebre per l’esperienza accumulata nell’organizzare la Gendarmeria cretese tanto che, nel marzo 1904, il sultano gli conferì il titolo di Saniè Linif Mutamaiz equiparato, nella gerarchia militare, al grado di colonnello. Successivamente giunsero i capitani Egidio Garrone, Carlo Cicognani, Rodolfo Ridolfi e il tenente Enrico Lodi.

Nei fatti, i Carabinieri incontrarono diffusa ostilità, a cominciare dagli stessi responsabili locali del Sultano che, mentre mostravano accondiscendenza, tramavano per ostacolare con tutti i mezzi l’operato degli italiani, perché il programma di riforma della Gendarmeria avrebbe segnato la fine della loro autorità. Inoltre, i Balcani erano terreno di intrighi per le Potenze europee, specialmente per gli emissari russi e austriaci, che avrebbero voluto sfruttare gli ufficiali italiani come informatori al servizio dei rispettivi padroni.

Il generale De Giorgis quindi doveva fronteggiare numerosi ostacoli. Il suo programma infatti, mirava a un nuovo concetto di territorio, prologo a una ulteriore ripartizione delle cariche locali, necessariamente basata su una epurazione di parte della Gendarmeria. Inoltre, lotta al diffuso analfabetismo con l’istituzione di una scuola, che doveva formare una cinquantina di ufficiali per ogni corso, diretta dal capitano Ridolfi.

La situazione precipitò inesorabilmente con l’inizio della guerra italo-turca nel 1911 e la missione italiana dovette essere interrotta, ma al termine delle ostilità, e della vittoria italiana, il mandato fu nuovamente approvato, con lo specifico obiettivo di assumere il controllo della Gendarmeria ottomana.

Per questa missione il comandante designato fu il generale dell’esercito Ernesto Mombelli, a tutti gli effetti comandante del Corpo Italiano di Occupazione, assistito dal capitano Caprini (direttamente dipendente dall’Ambasciatore Maissa, Alto Commissario Italiano per il controllo della Polizia Ottomana) che, nel frattempo, era stato promosso colonnello dei Carabinieri, con l’incarico di rappresentante italiano nella Sotto-commissione interalleata della Gendarmeria, composta dal generale Fillonneau, rappresentante francese e presidente, e dal tenente colonnello Spencer, rappresentante inglese. La nuova missione italiana, che faceva capo alla Legione Militare di Napoli, terminò poi nell’ottobre 1923.

A causa dei rigidi criteri di selezione, non fu facile trovare gli elementi adatti per la missione in Macedonia. Per la difficile situazione si richiedevano militari non sposati e senza figli, che conoscessero sufficientemente la lingua francese (l’unica parlata discretamente dai turchi al di fuori della loro), decisi a vivere in Macedonia per un periodo non inferiore a tre anni, durante i quali il loro impiego sarebbe stato considerato fuori ruolo e comunque a disposizione del ministero della Difesa. La retribuzione era a carico delle autorità macedoni (e quindi turche) e da parte loro, i militari italiani avrebbero versato al ministero del Tesoro italiano la cifra corrispondente alle ritenute previdenziali, calcolate sul normale stipendio italiano. Qualora però la Corte dei Conti non avesse riconosciuto il servizio in Macedonia valido per la pensione, gli ufficiali non avrebbero ricevuto alcun indennizzo. Allo stesso modo non avrebbero potuto presentare alcun ricorso se il governo ottomano avesse deciso di porre fine al loro impiego prima dei termini pattuiti. Inoltre, ogni ufficiale, assumendo servizio nella Gendarmeria macedone, si assoggettava volontariamente alle leggi e ai regolamenti con cui erano rette quelle truppe. La condotta tuttavia, anche durante la permanenza in Macedonia, continuò ad essere soggetta al controllo del Governo italiano, e sottoposta al giudizio della legge italiana. L’ufficiale, durante il servizio in Macedonia, oltre a non avere diritto ad alcuna competenza dal Governo italiano, doveva poi sottoscrivere che le infermità, le ferite o la morte incontrate durante la permanenza in Macedonia, o per effetto di essa, non sarebbero state considerate come cause di servizio. Le indennità erano certo previste dal contratto firmato con il Governo ottomano, ma era sempre molto aleatorio ottenere simili risarcimenti dai turchi. Gli ufficiali avrebbero comunque conservato il loro posto nei rispettivi ruoli, agli effetti dell’anzianità, dell’avanzamento e delle pensioni.

Gli ufficiali prescelti giunsero a Salonicco alla fine di aprile del 1904. In seguito fu selezionato anche il tenente Cosma Manera, della Legione Veneta, comandante della Tenenza di Portogruaro, e per ordine del ministro della Guerra messo a disposizione del ministero degli Affari Esteri il 12 dicembre 1904, quindi trasferito in Macedonia, dove arrivò agli inizi del 1905.

In quel periodo si trovava a Costantinopoli anche un altro ufficiale dei Carabinieri Reali, il capitano Achille Tomassi, come Aiutante di Campo del Sultano. Tomassi faceva anche parte della Commissione Governativa Permanente, che trattava in genere questioni militari e si occupava dei problemi concernenti la riorganizzazione della Gendarmeria in Macedonia. Quella Commissione era presieduta dal ministro della Guerra, e ne facevano parte altri due generali e un colonnello dell’esercito ottomano. Quando la Commissione si riuniva, anche Tomassi veniva convocato, e il suo parere sulle questioni militari, dopo essere stato tradotto in turco, veniva regolarmente registrato per iscritto. Indirettamente, dunque, anche questo ufficiale si occupava della Gendarmeria macedone, quando venivano sottoposte alla Commissione questioni riguardanti quel Corpo.

Era dunque chiaro che non fosse facile istruire la nuova Gendarmeria, soprattutto con i criteri di disciplina che caratterizzavano l’istruzione e l’etica dell’Arma. L’opera dei nostri ufficiali procedeva comunque, malgrado le difficoltà che continuamente si presentavano nell’applicazione delle varie disposizioni che riguardavano il nuovo assetto militare.

A Monastir e a Uskub è organizzata una Scuola per i Comandanti di Stazione diretta dal maggiore Garrone, coadiuvato da ufficiali della Gendarmeria che avevano partecipato a un corso di istruttori a Salonicco. In ogni caso, i militari italiani avrebbero approfondito la loro opera, se vi fosse stata una minore ingerenza e invadenza da parte delle autorità civili ottomane, i kaimakam (funzionari che rappresentavano l’autorità politica centrale) e i mudir (amministratori), che avevano tutto l’interesse affinché i loro loschi intrighi e i soprusi d’ogni genere non fossero rivelati pubblicamente e potessero continuare a governare senza regole fisse di carattere morale o giuridico.

Vi erano anche grandi difficoltà economiche per procedere nell’equipaggiamento e nell’armamento della truppa perché, se pure erano previsti stanziamenti di bilancio, le condizioni dell’amministrazione ottomana avevano fatto sì che buona parte di questo denaro fosse già stato impiegato altrove, impedendo l’assunzione di altri ufficiali e la sistemazione delle caserme.

Il 5 settembre 1911 il generale Alberto Pollio, capo di stato maggiore dell’esercito, attiòa l’attenzione del generale Paolo Spingardi, allora ministro della Guerra, su una questione assai delicata: considerata la piega che stavano prendendo le relazioni fra i due Paesi, la permanenza degli ufficiali italiani presso la Gendarmeria turca diveniva problematica. Gravi sarebbero state le conseguenze d’immagine e di ordine morale per gli ufficiali, qualora fosse stato il governo ottomano a licenziarli. Inoltre, gravi avrebbero potuto essere le rappresaglie contro gli stessi ufficiali, se le relazioni fra Italia e Turchia, fino a quel momento amichevoli, fossero mutate, come in realtà già si sapeva che sarebbe accaduto.

Intanto anche il Medio Oriente iniziava a conoscere da vicino la professionalità dei rappresentanti dell’Arma. Nel Mediterraneo la guerra italo-turca avrebbe per un certo periodo sospeso le attività di questa cooperazione. Il 27 settembre, alla vigilia del conflitto, tutti gli ufficiali italiani in servizio nell’Impero Ottomano furono richiamati in patria, ma immediatamente dopo la Pace di Losanna, che segnò la fine della guerra italo-turca (1913), si tornò a parlare della presenza degli ufficiali italiani nell’Impero della Mezzaluna.

Nell’aprile del 1913, in un rapporto, l’allora Addetto Militare a Costantinopoli, colonnello Ernesto Mombelli, riferiva allo Stato Maggiore dell’Esercito, della necessità di procedere con riforme nei diversi rami dell’amministrazione ottomana per dare quella sicurezza e quella continuità d’indirizzo senza le quali era vano sperare che l’Impero turco potesse mantenere l’integrità dei possedimenti. Per quanto riguardava la riorganizzazione della Gendarmeria, ricordava l’opera che i militari italiani avevano compiuto a Creta e in Macedonia. Mombelli sosteneva che era interesse dell’Italia rientrare nella riorganizzazione amministrativa del governo ottomano, anche soltanto per la parte riguardante l’ordine pubblico, convinto che con il tempo sarebbe aumentata l’influenza italiana e l’Italia avrebbe ottenuto un ruolo più importante sullo scacchiere del Mediterraneo.

Con il ritiro, nel 1911, della Missione italiana, il comando fu affidato a un francese, il generale Bauman, impegnato in modo molto attivo insieme ad altri ufficiali inglesi. Nessuno di essi, però, aveva competenze tecniche, perché appartenevano tutti a reparti combattenti. Nel 1913, dunque, la Gendarmeria ottomana si trovò in cattive condizioni e il Governo aveva la urgente necessità di riorganizzarla, specialmente in Anatolia e in diversi territori arabi, dove l’ordine pubblico minacciava di essere seriamente compromesso. Gli stessi ufficiali turchi che prestavano servizio nelle zone di interesse, ritenevano indispensabile il ritorno dei Carabinieri italiani, e avevano presentato in proposito un promemoria al Gran Visir, Mahmud Chevket Pascià, cercando di ottenere contemporaneamente l’appoggio dell’Addetto Militare e dell’Ambasciatore d’Italia per la loro richiesta. Il Gran Visir si dimostrò favore al richiamo dei Carabinieri, ma lo scoppio del primo conflitto mondiale pose fine ad ogni ulteriore trattativa.

Turchia:

Al termine della 1a Guerra Mondiale, una serie di problemi si presentarono al tavolo delle Potenze vincitrici riunite a Versailles per discutere del nuovo assetto continentale. Gli esiti militari del conflitto comportarono una sentenza inequivocabile: la fine degli Imperi Centrali a vantaggio delle democrazie occidentali, Inghilterra e Francia su tutte. Se da un lato la Germania, battuta ma non domata, covava quel desiderio di revanche che non tardò a mostrare gli aspetti più nefasti, dall’altro lato gli Imperi Austro-Ungarico e Ottomano risultarono fortemente ridimensionati. L’Impero del Sultano, anche a causa delle disfatte militari patite in guerra, non aveva saputo porre rimedio alla crisi sociale ed economica che l’attanagliava già da alcuni decenni ed appariva chiaro come la disintegrazione dell’Impero fosse inevitabile. Nel cuore del Mediterraneo, crocevia tra Asia, Europa e la nuova Russia di Lenin, la penisola turca rappresentava un’area geografica strategicamente rilevante che richiamava gli interessi della Federazione Serba e delle democrazie occidentali. Francia e Inghilterra non celavano i desideri di sostituirsi all’autorità del Sultano e imporsi nell’area sia per ragioni economiche, sia per il controllo dello stretto dei Dardanelli, sia per porre un freno all’avanzata ideologica della Russia bolscevica.

Il 30 ottobre 1918 Inghilterra e Francia firmarono il trattato di Moudros con il Sultano e iniziarono la spartizione dell’Impero Ottomano; già a metà novembre poco meno di 60 navi occidentali erano ancorate nel porto del Corno D’Oro. Alla fine del 1918 la situazione a Costantinopoli era disastrosa. La città, abitata da oltre un milione di persone, era il centro più importante dell’Impero, ma l’anarchia vi regnava sovrana. Mancava ogni forma di autorità, l’ordine e la sicurezza pubblica

dovevano essere garantiti dalla Gendarmeria Imperiale Ottomana, organo di Polizia composto da circa 2.065 gendarmi, diretti da un funzionario civile. In realtà negli ultimi decenni il potere della Sublime Porta incideva poco sulla vita dei sudditi, l’apparato statale era ormai in forte decadenza. Funzionari e impiegati non ricevevano più la paga da diversi mesi. L’esercito era stato abbandonato al suo destino e i rovesci militari del conflitto avevano acuito ancor più la frattura con la Corte. I gendarmi vivevano in una condizione precaria, mancavano le risorse essenziali, non ricevevano salario, erano quindi diventati corrotti e non garantivano più l’ordine e la sicurezza. Per porre rimedio alla precaria situazione il comandante in capo delle truppe inglesi Generale Henry Wilson istituì, nel gennaio 1919, il Comitato Interalleato di Controllo della Polizia Ottomana con l’incarico di riorganizzare la Gendarmeria su basi e strutture moderne, renderla più efficiente, affiancarla, controllarla e coadiuvarla nelle mansioni di ordine e sicurezza pubblica e, qualora le esigenze lo avessero richiesto, sostituirla. Al tavolo delle Potenze vincitrici sedeva anche l’Italia alla quale era stato promesso, tra l’altro, il Dodecaneso, la base carbonifera di Adalia, le province di Aydin e Smirne in Turchia.

Immediatamente il Regio Governo comprese che, se avesse voluto ottenere i benefici confermati nel 1917 con l’accordo di San Giovanni in Maiorana, non doveva perdere tempo: rapidamente fu approntato un battaglione da inviare a Costantinopoli, il Corpo di Occupazione italiano del Regio Esercito, composto da 19 ufficiali e 740 militari, sbarcò a Galata il 7 febbraio 1919. Il compito dei soldati italiani era quello di assicurare la pace e mantenere l’ordine nel settore assegnato, senza interferire con l’autorità del Sovrano. Considerando che, oltre alle aspirazioni economiche e territoriali, era stata ormai decisa la riorganizzazione della Polizia locale, non poteva mancare la presenza di un distaccamento dell’Arma dei Carabinieri.

L’8 febbraio arrivarono a Costantinopoli 283 uomini agli ordini del Colonnello Balduino Caprini. La missione dell’Arma dei Carabinieri in Turchia si svolse, oltre che sullo sfondo delle pretese imperialiste franco-inglese, in presenza di altri due contrasti, il primo costituito dall’espansionismo greco (anche il governo di Atene inviò le sue truppe nella speranza di accaparrarsi una fetta delle terre turche), il secondo caratterizzato dal conflitto nazionalistico turco. La debolezza della Sublime Porta esaltava le pretese di autonomia ed indipendenza di quei popoli sottoposti al Sultano. La caotica situazione favoriva le tendenze nazionalistiche turche guidate da Mustafa Kemal Pascià (Ataturk), leader dei Giovani Turchi che comprese come fosse giunto il momento di realizzare un disegno politico ben chiaro: creare una nuova Turchia sulle ceneri dell’Impero, libera e indipendente.

Il colonnello Caprini si mise all’opera e iniziò a organizzare la nuova entità sul modello territoriale che aveva l’Arma in Italia, per svolgere funzioni di ordine e sicurezza pubblica, nonché coadiuvare le truppe durante le operazioni belliche. L’impresa fu impegnativa perché il Distaccamento Carabinieri a Costantinopoli non aveva alcuna valenza giuridica, ed era visto come parte di un corpo di occupazione.

Il 10 febbraio 1919, Costantinopoli fu divisa in tre settori e affidato ognuno ad una forza di polizia dei Paesi occupanti. Ciascun settore fu diviso a sua volta in due sotto-settori comandati da ufficiali delle altre due nazionalità occidentali: il 1° settore di Scutari, con sedi a Kadi e Scutari, fu assegnato ai Carabinieri italiani, guidati da Caprini; il 2° settore che comprendeva i sobborghi di Pera e Galata, fu affidato agli inglesi, mentre il 3° settore, che comprendeva il dipartimento di Istambul, fu attribuito al comando francese. Contemporaneamente al Battaglione di stanza a Costantinopoli, il governo italiano aveva inviato un Reggimento in Anatolia. Il Regio Esercito aveva occupato la zona costiera tra Scalanova ed Adalia in quanto nelle intenzioni italiane vi era l’obiettivo di stabilire una zona di influenza e di espansione, principalmente di carattere economico, in Asia minore. Anche in Anatolia furono inviati reparti dei Carabinieri che, oltre a svolgere le funzioni di Polizia Militare, avrebbero dovuto provvedere a riorganizzare la Gendarmeria ottomana. Il servizio in Anatolia doveva essere coordinato con quello svolto a Costantinopoli, pur assumendo un carattere autonomo. Un ruolo di primo piano nella missione in Anatolia lo ebbe il maggiore Giovanni Battista Carossini che seppe operare in un teatro particolarmente difficile dove, a differenza di Costantinopoli, erano più forti i sentimenti nazionalisti e più marcato l’odio verso le truppe occupanti. A rendere ancora più precaria la situazione contribuiva la presenza di truppe greche che miravano a imporre la propria egemonia nella regione. Per quanto riguarda la situazione della Gendarmeria ottomana, come a Costantinopoli anche in Anatolia la situazione era problematica: i gendarmi turchi apparivano sfiancati nel morale, privi di ogni mezzo di sussistenza, mal pagati, male armati.

Collaboratore del generale francese Faulon, Ispettore Generale della Gendarmeria ottomana, Carossini riuscì a formare un reggimento di Gendarmeria indipendente da influenze greche, la cui giurisdizione rientrava nella zona di occupazione italiana, e allo stesso tempo una rete informativa nell’area di Smirne.

Il 17 novembre 1919 il colonnello Balduino Caprini divenne membro effettivo del Comitato Interalleato di Controllo della Polizia. Pochi mesi dopo, nel febbraio 1920, fu collocato in posizione ausiliaria ma trattenuto in servizio a disposizione del ministero degli Affari Esteri con le funzioni di Delegato al Controllo della Polizia Ottomana, come ufficiale di collegamento fra i reparti e Alto Commissario.

Il Distaccamento continuava a dipendere per il servizio svolto in città dall’Alto Commissario italiano, mentre per l’amministrazione, l’avanzamento e la disciplina, dalla Legione Carabinieri di Napoli ed era costituito da un tenente colonnello comandante, un maggiore, 3 capitani e 4 subalterni. In un primo momento il Comando del Distaccamento fu affidato al tenente colonnello Nemore Moda, al quale successe il maggiore Ettore Borghi, infine passò al capitano Floro Flori che lo mantenne fino al termine della missione. Come ufficiali in sottordine furono designati il capitano Ettore Chiurazzi e il tenente Guglielmo Nasi. Nel corso della missione si distinsero i tenenti Mario Quercia e Dante Blasi, mentre l’impegno fu fatale per il tenente Antonio Losito e per il Carabiniere Giuseppe Silvioni, deceduti per malattia. Alcuni altri furono feriti nei disordini, fra cui l’appuntato Matteo Cavallo e i Carabinieri Emilio Nusco e Angelo Brussanelli.

Il 20 giugno 1921 il Distaccamento dei Carabinieri a Costantinopoli fu ridotto a 8 ufficiali e 150 uomini di cui 30 sottufficiali. Nel novembre dello stesso anno si giunse a una nuova struttura territoriale: un comando di Divisione, 3 Compagnie e 4 Tenenze, e i militari dell’Arma continuavano a svolgere mansioni istituzionali a fianco della Gendarmeria ottomana. Il 10 dello stesso mese fu ripristinata la Stazione Carabinieri di Beicos che era stata soppressa nel giugno del 1920 in seguito alle incursioni delle bande nazionaliste e all’occupazione del villaggio da parte di truppe greche. Contemporaneamente, fu istituita una nuova Stazione Carabinieri a Candilli, dove le condizioni di ordine pubblico erano gravissime e urgeva un controllo su quel commissariato di Polizia Ottomana. Oltre a provvedere al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, i militari del Distaccamento Carabinieri furono impegnati nel servizio di scorta sui piroscafi che solcavano il Mar Nero. Di particolare importanza era la linea Cospoli-Batum, dove la scorta composta da un Sottufficiale e due Carabinieri aveva il compito di impedire ai gendarmi turchi di avere contatti con le milizie bolsceviche. Allo stesso modo continuava l’attività dei reparti dell’Arma in Anatolia. Qui operavano la Compagnia dell’Anatolia, diretta dal capitano Raffaele Giordani, il 379° Plotone Mobilitato comandato dal tenente Ugo Luca, la 166a Sezione comandata dal tenente Tommaso Gandini e la 33a Sezione comandata dal tenente Bozza Ottorino. Nel gennaio del 1920 furono formati altri due plotoni, il 379° bis comandato dal Tenente Rubbi e il 379° ter comandato dal Tenente Guglielmo Risi. Nell’aprile del 1920 assunse il comando della Compagnia dell’Anatolia il Capitano Salvatore Mauceri che lo resse fino al termine della missione. Le operazioni militari seguivano di pari passo l’attività diplomatica delle Potenze vincitrici le quali si incontrarono prima a Londra e poi a San Remo con lo scopo di definire il destino dell’Impero, sempre mirando a tutelare gli interessi Europei in Anatolia. Si giunse così al Trattato di Sevres, che avrebbe definito la questione, qualora ratificato dalla Turchia. Ma Mustafa Kemal lo respinse ritenendo le clausole vessatorie e ingiuste; in realtà aveva compreso che la lotta, oltre al Sultano, andava estesa anche ai greci e a tutte le milizie occupanti. Egli era ormai diventato il vero leader e le mire delle potenze occidentali avrebbero dovuto fare i conti con le sue milizie. Angora, l’attuale Ankara, sede del governo nazionalista, diventava sempre più il centro politico e di potere più importante.

In seguito alla mancata ratifica, l’occupazione italiana fu limitata alla vallata del Meandro e alla città di Adalia; alcuni reparti dell’Arma furono sciolti. Nel settembre del 1921 anche la zona di Adalia fu abbandonata e la 33a Sezione fu sciolta. Un nucleo di carabinieri a cavallo rimase presso il consolato di Adalia, per svolgere servizi di vigilanza alla sede diplomatica. Nel novembre del 1921 fu inviata di rinforzo la 169° Sezione Carabinieri a cavallo comandata dal sottotenente Pietro Mazzeo. Il 30 aprile 1922 tutte le truppe italiane del Regio Esercito si ritirarono definitivamente dalla zona anatolica e con loro partirono anche i reparti dell’Arma che rientrarono in Italia, tranne il 379° Plotone Carabinieri che si trasferì a Rodi con un battaglione di fanteria per consentire lo sgombero pacifico delle truppe greche da Smirne, ma fu inutile. L’odio maturato fra turchi e greci non consentì di evitare le atrocità che si consumarono dopo la caduta di Smirne in mano, perpetrate dai turchi.

Il 2 novembre 1922 l’Assemblea Nazionale turca destituiva il governo del Sultano di Costantinopoli, inserendo un governo provvisorio guidato da Rifaat Pascià. Questi chiese al Comitato Interalleato di Controllo della Polizia di limitare la propria attività al servizio della Polizia Militare. Il 22 novembre 1922 fu deciso che la polizia alleata avrebbe limitato la propria azione ai soli sudditi europei, mentre la Gendarmeria turca avrebbe avuto giurisdizione esclusiva sui cittadini.

Il 16 gennaio 1923 il Distaccamento Carabinieri fu ridotto a 100 unità. Nel 1923 fu proclamata la Repubblica Turca e la capitale fu spostata da Costantinopoli ad Ankara. L’Impero Ottomano era definitivamente tramontato, e la moderna Turchia di Ataturk era un fatto compiuto, con la sovranità fu riconosciuta dal Trattato di Losanna dello stesso anno. Il 4 settembre il colonnello Caprini, capo della delegazione italiana firmava, con i delegati delle altre Potenze, i verbali di cessazione della polizia interalleata, ponendo fine al controllo internazionale su Costantinopoli.

Alla fine del 1923 si chiudeva definitivamente l’esperienza dell’organizzazione della Gendarmeria turca cui avevano dato il loro contributo i Carabinieri italiani, con due progetti, uno del colonnello Caprini, l’altro del colonnello Carossini. Ambedue, pur con alcune differenze, prendevano in considerazione gli aspetti principali di un’organizzazione della Gendarmeria: la carenza di fondi, i pessimi rapporti fra ministero della Difesa e ministero dell’Interno, dipendenza e rapporti con le autorità e con la magistratura.

Il 1 ottobre 1923 il Distaccamento fu sciolto. Nel rientrare in Patria, pur non essendovi stato il tempo sufficiente ad attuare i progetti, l’Arma lasciava un’eredità consistente alla nuova Gendarmeria, che a breve sarebbe diventata una realtà concreta. Erano state poste le basi per realizzare una forza valida ed efficiente, in grado di garantire ordine e sicurezza. I Carabinieri italiani avevano agito in un teatro frammentario e di difficile comprensione, in una regione ostile, contesa, fra esasperati nazionalismi e odio etnico, fra mire espansionistiche e interessi economici. Con la loro attività contribuirono comunque a farsi apprezzare dalle altre Potenze europee, dalla popolazione e dalle autorità turche.

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