L’Europa alla deriva: ‘Quando il laicismo si fa religione’. Di Alberto Rosselli. (Fonte: Rivista ‘Storia Verità’, Dicembre 2017).

Festa dell'Essere Supremo, 1794. Musée Carnavalet, Parigi.

Predomina ormai in Occidente una nuova pseudocultura laicista che vorrebbe porsi come ‘credo’ universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita e una nuova morale. Una cultura per la quale risulta razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta ed imposta alla stregua di un valore metafisico fondamentale ed intaccabile. Di conseguenza, dio rimane escluso dalla vita pubblica, e la fede diventa addirittura un optional, anche perché il mondo in cui viviamo viene presentato quasi sempre come opera e conseguenza della sola volontà umana, come ‘creazione’ laica nella quale le religioni – ad esempio, il cristianesimo, il credo europeo per eccellenza – vengono rappresentati da questa specie di nuovo deismo panteistico ipercritico alla John Toland (ma fino a che punto gli attuali soloni laicisti sono al corrente dell’opera del filosofo nord-irlandese vissuto a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo?), come punti di riferimento ‘non culturali’: concetti superati, superflui, e di intralcio al ‘progresso’.
La discutibile presa di posizione della Corte europea (tra i cui membri spicca pure il nome di un giudice turco: fino a prova contraria, non ci risulta che la Turchia faccia già parte della UE) nei confronti del simbolo del cristianesimo, cioè, l’abolizione del Crocifisso in nome di un esasperato anelito laicista, va purtroppo a minare il fondamento stesso di una Civiltà – non solo di una Religione – quella continentale, che nel corso dei secoli proprio dal cristianesimo ha tratto valori ampiamente condivisi da una vasta seppure variegata e talvolta litigiosa aggregazione di nazioni. In nome del laicismo e del relativismo filosofico e culturale, la Corte europea ha tuttavia annullato questa pratica esperienza, sentenziando con grande disinvoltura la presunta inutilità di uno dei valori fondanti del nostro modo di essere e di concepire la vita: atto destinato a provocare gravi ripercussioni e, soprattutto, a creare un precedente a dire poco imbarazzante. In nome di un multiculturalismo tendenzialmente demagogico che nulla a che fare con il vero progresso, le forti lobbies laiciste ed atee che largo potere esercitano all’interno delle istituzioni europee, hanno quindi deciso (ma – alla luce delle violente e comprensibili reazioni popolari scatenate – bisognerà vedere se ci riusciranno) di sbarazzarsi di un simbolo che, aldilà dei suoi significati metafisici, rappresenta la Storia, o meglio l’anima della Storia di un Continente. Ciò che più colpisce di questo puerile, ma pernicioso colpo di mano promosso dagli epigoni di un mal assimilato credo illuminista è e rimane la superficialità con la quale esso è stato compiuto: superficialità tipica della mentalità relativista. Ciò che i giudici europei non sembrano avere colto è infatti la netta distinzione esistente tra due termini, in senso positivo e negativo: pluralismo e, appunto, relativismo laicista. Come ebbe modo di sottolineare il 17 gennaio 2003 – nella nota dottrinale sull’impegno dei cattolici in politica (documento pubblicato dalla congregazione per la dottrina della fede)- l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in politica il pluralismo è un concetto lecito e naturale in quanto in relazione alle molteplici questioni ‘politiche’ dibattute non esiste mai una risposta preconfezionata e condivisa, ma, al contrario, sussistono diverse possibilità di operare su base pratica e possibilmente etica, mentre il relativismo (in quanto prassi culturale e filosofica applicata anche alla politica) ha la pretesa di affermare che non esistendo alcuna verità etica e morale assoluta e vincolante per la coscienza, le risposte ai problemi possono esimersi dal tenere in debita considerazione la sfera spirituale dell’individuo, unico artefice del progresso, della libertà e della felicità. Ora, pur lasciando agli uomini di Chiesa e di fede ogni giudizio circa la necessità – si veda il ‘caso’ del Crocifisso – di conservare gli elementi fondanti della tradizione religiosa, ogni individuo non necessariamente di fede- ma realmente tollerante – non può fare a meno di riflettere circa l’intrinseca pericolosità di un credo laicista portatore di ‘valori’ che di fatto vengono imposti con la forza, non ‘offrono’, o lasciano scegliere. Trattasi, infatti, di una nuova ‘religione storica’ e contingentista quella neolaicista europea, che è legata unicamente all’evolversi di un antropocentrismo spinto, svincolato da ogni naturale anelito e riferimento metafisico e metastorico: una religione materialista a tutto tondo che, sbandierando il vessillo della democrazia, tende, paradossalmente, a sopprimere ogni libertà. Proseguire su questa strada, cioè permettere di continuare a supporre – come fanno i laicisti – che il vero pluralismo combaci con il relativismo, significa per l’Europa perdere i fondamenti dell’umanesimo e della stessa democrazia che, come si sa, si basano sul rispetto di norme condivise (non soltanto giuridicamente, ma culturalmente) a tutela della giustizia e della verità. Conseguente, in questo senso (ci si consenta una breve divagazione: la distinzione tra la laicità (necessaria, delle istituzioni) e il laicismo, inteso come esasperazione del concetto ‘storico’ di esistenza: credo ateo secondo il quale i contenuti morali cristiani debbono essere totalmente esclusi dalla politica, o dalle istituzioni. Alla luce della sentenza della Corte europea – sciagurata e paradigmatica (anzi, sintomatica) – non sono dunque soltanto i religiosi, ma i difensori della Ragione Illuminata (non illuminista), cioè i laici che hanno a cuore la Tradizione occidentale a dover scendere in campo. In gioco vi è infatti il futuro non soltanto economico o sociale, ma morale di un Continente che, nel corso dei secoli, sui fondamenti della filosofia cristiana ha costruito le sue alterne – ma in realtà uniche -vere fortune. I valori metastorici del Vangelo, se ben compresi ed assimilati, rappresentano, infatti, un’opportunità di crescita morale e culturale, non certo un pericolo per la democrazia o il progresso. Anzi, essi responsabilizzano e orientano gli individui, chiarendo dubbi e soprattutto dissipando equivoci derivanti dalla finta e speculativa contrapposizione tra ragione e religione. Contrariamente alla cultura laicista per la quale il concetto di ‘neutralità’ e di agnosticismo coincidono di fatto con un modernismo ateo incatenato al ‘contingente’ e al banale, anche se ineluttabile, ciclo morfologico di culture senz’anima che mai potranno trasformarsi in Civiltà.

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