Ospitiamo alcune riflessioni storico-economiche contemporanee circa il falso ‘mito’ tedesco: tra crescita al ribasso, crisi dell’auto e nuove povertà. Di Lorenzo Somigli.

La crisi della Germania della Merkel.

La locomotiva d’Europa rallenta. Mezzo punto percentuale nel 2019, una previsione dell’1,1% per il 2020. La Germania segna la più bassa crescita negli ultimi sei anni. Per tornare ai livelli del 2018 si dovrà attendere il 2021. Il manifatturiero è in affanno (-3,6% nel 2019), trascinato giù dal settore automobilistico che, dopo il dieselgate, paga l’essere rimasto ancorato al motore a scoppio quando la fa da padrone la mobilità elettrica. Ad essere penalizzate solo le esportazioni, da sempre punta di diamante del sistema tedesco, anche per colpa della guerra commerciale tra USA e Cina.

Questo rallentamento spinge molti a chiedere meno rigore e anche ad ammorbidire certe critiche all’indirizzo di Mario Draghi, premiato di recente a Berlino con la Croce al Merito. Persino la Confindustria tedesca, visto il calo del 2% del manifatturiero, chiede di abbandonare le politiche che fino ad oggi hanno contraddistinto la Germania e condizionato l’Unione.

Un dato di cui tener conto quando si parla di crescita in Germania è che questa presenta una crescente disuguaglianza. L’Istituto Ricerca Economica e Sociale WSI della Fondazione Hans-Böckler sottolinea un aumento delle persone colpite dalla povertà. Il rapporto mette in evidenza inoltre come si sia accentuata la polarizzazione tra ceto medio e poveri. “Il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio – si legge – mentre i super ricchi, cioè i multimilionari e miliardari, hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali”.

Divario nei redditi come tra Est ed Ovest. Nonostante copiosi investimenti, la Germania, trent’anni dopo la caduta del Muro, è ancora un paese diviso. Lo fotografa l’ufficio federale di statistica, il Destatis (dati riferiti 2017).

La media tedesca per rischio povertà ed esclusione sociale è del 19% (in Italia è il 28%). Il rischio è più alto nelle regioni che appartenevano alla DDR, eccezion fatta per Brema (22%). Nel Meclemburgo Pomerania Anteriore è al 20,9%, nella Sassonia-Anhalt 19,5. Altri due stati dell’ex Germania Est, la Sassonia e la Turingia, rientrano nelle regioni più svantaggiate. Le due locomotive dello sviluppo, Bayern e Baden-Württemberg, hanno un rischio inferiore alla media nazionale: entrambi si attestano sull’11%.

Dati e analisi che in parte ridimensionano il mito dello sviluppo tedesco e che non sono passate inosservate nella stessa Germania tanto da mettere in discussione anche le stesse riforme Hartz, da sempre ritenute basilari per lo sviluppo degli ultimi anni. In questo clima, una voce come quella di Heiner Flassbeck, economista ed ex sottosegretario di stato, preziosa.

“Nonostante un aumento della produttività relativamente normale, l’aumento dei salari reali tedeschi nel primo decennio del secolo è stato vicino allo zero” scrive in un contributo pubblicato a dicembre sul suo sito Flassbeck Economics. “A causa del deliberato contenimento dei salari orchestrato politicamente (riforme Hartz ndr), le aziende tedesche hanno avuto sempre maggiori possibilità di sottrarre quote di mercato ai concorrenti esteri riducendo i prezzi (ma anche in mercati terzi, non solo all’interno dell’unione monetaria), oppure di conseguire profitti significativamente più alti con dei prezzi invariati rispetto alle aziende dei paesi dell’unione monetaria con andamenti salariali normali”.

“In termini di export, la Germania ha quindi fatto molto meglio di tutti gli altri partner europei. Nel 2006 e nel 2007 e dopo la crisi finanziaria, le esportazioni tedesche sono letteralmente esplose. La Germania è stata in grado di mantenere la sua quota di mercato globale nonostante la concorrenza crescente della Cina, mentre Italia e Francia sono rimaste molto indietro. La quota delle esportazioni sul PIL in Germania è aumentata drammaticamente ed è ora a quasi il 50 %”.

Esportazioni (seppur in calo nel 2019) ai limiti del dumping che hanno dato l’illusione del successo. Anche a danno di un mercato interno asfittico proprio per il contenimento dei salari.

Sempre Flassbeck: “(…) Non vi è alcun dubbio che in un’unione monetaria un paese con un’economia aperta che riesce a produrre sottocosto rispetto ai suoi vicini beneficerà prima o poi di grandi eccedenze delle partite correnti, se i vicini non dovessero agire in tempo. Sappiamo tuttavia che questi successi non dureranno. Perché i vicini prima o poi andranno in bancarotta oppure si comporteranno allo stesso modo; per questo nel lungo periodo con una strategia di riduzione dei salari non si ottiene nulla”.

“Se in Europa si vogliono contrastare le forze centrifughe, la Germania dovrà procedere con una messa in discussione delle sue riforme e normalizzare gli sviluppi salariali. (…) È prevedibile che la sua struttura produttiva estremamente orientata all’export, formatasi negli anni dell’unione monetaria, sarebbe soggetta a un duro adeguamento. Già ora la recessione tedesca sta dimostrando quanto il paese sia vulnerabile agli shock esogeni”.

Un grande sviluppo ma non omogeneo e che anzi poggia su una crescente platea di lavoratori sottopagati. E non è un caso che in queste coorti di poveri, nuovi poveri, working poor affondino le radici del successo politico di AdD.

Proprio nel già citato Macleburgo Pomerania si è registrata una crescita poderosa di Afd. Superata persino la CDU di Angela Merkel. Si tratta di un land che ha assimilato con difficoltà le recenti ondate migratorie e ha visto la sua economia, quasi prettamente agricola, penalizzata dalle recenti sanzioni alla Russia.

Ottimo risultato nelle elezioni di ottobre in Turingia dove la vittoria è stata della Linke, trascinata dal consenso personale di Ramelow, mentre di nuovo AfD ha superato CDU (22%) passando dal 10% al 23%.

Lorenzo Somigli

Bibliografia delle fonti web:

  1. Sulle stime di crescita della Germania riviste al ribasso: https://www.repubblica.it/economia/2019/10/02/news/germania_gli_esperti_dimezzano_la_crescita_e_la_recessione_contagia_i_servizi-237527348/
  2. Sulla crescita delle disuguaglianze di reddito e sul rischio povertà: https://www.ilsole24ore.com/art/germania-divario-ricchi-e-poveri-massimi-storici-AC9b9gp
  3. Settore auto: https://www.agi.it/economia/tagli_crisi_daimler_audi_auto_germania-6659966/news/2019-12-03/
  4. Sul rischio povertà in Italia: https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=68829
  5. Il testo citato di Heiner Flassbeck: http://www.flassbeck-economics.com/hartz-iv-and-matching-efficiency-or-what-is-the-purpose-of-economics/
  6. Le esportazioni tedesche rimangono alte ma calano: https://www.startmag.it/mondo/come-e-perche-lexport-tedesco-sta-frenando-tutti-gli-ultimi-dati-pessimi-in-germania/
  7. Alcune riflessioni sul successo http://scuoladicittadinanzaeuropea.it/schede/germania-dietro-la-vittoria-dellafd/
  8. Dati su AfD: https://www.corriere.it/esteri/19_ottobre_27/germania-elezioni-turingia-linke-si-conferma-primo-partito-afd-secondo-precipita-cdu-075ab704-f8db-11e9-8af8-3023352e2b21.shtml

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