Storia di un altro mondo. Di Maria Minniti.

Introduzione. Di Fabio Bozzo.

Quanto segue è un racconto di fantasia, ovvero un esercizio un po’ inconsueto per una testata di studi storici come la nostra. Tuttavia abbiamo ritenuto tale testo meritevole d’essere pubblicato per due ragioni. La prima è lo stile asciutto e coinvolgente di Maria, che sa conquistare l’attenzione dei lettori. La seconda è l’intrinseca profondità della storia narrata, che riesce ad unire le atmosfere degne della celebre serie TV X-files con un messaggio geopolitico di incredibile attualità. Buona lettura.

98 secondi. Tanta la durata del video, disturbato e offuscato dalle gelide piogge battenti della laguna S. Rafael (Patagonia cilena); ma bastava a mettere in discussione l’intero ordine di pensiero del Presidente, uomo pragmatico e poco suggestionabile. L’autopsia aliena di Ray Santilli, le immancabili “frittelle volanti” , l’Area 51, gli scarabocchi dentro le piramidi, gli ormai inflazionati Yeti e Nessie. Tutto già visto; tutto, in qualche modo, spiegabile. Ma questo … Questo non trovava spiegazione se non nella semplice quanto spiazzante realtà che no, non eravamo soli nell’universo, e neppure sul pianeta Terra. La giovane femmina del video, che correva incespicando tra i ghiacci per poi svanire nella coltre di pioggia, di certo non era umana, sebbene le fattezze corporee potessero trarre in inganno. Ma i lineamenti del volto che spuntava dal cappuccio del pesante giaccone ponevano forti perplessità, confermate dal verde brillante della pelle e dal blu oltremare delle ciocche di capelli che svolazzavano. Le mani dalle dita palmate completavano il quadro e la colite del Presidente. Di sicuro quell’esemplare non era solo e l’equipaggiamento lasciava pensare a una lunga permanenza nel clima terrestre oltre a un’elevata adattabilità; elementi determinanti nel caso gli alieni avessero tentato di espandersi in zone meno inospitali. Cosa che sarebbe senz’altro accaduta prima o poi. Probabilmente avevano scelto quel luogo desolato come primo approdo per restare invisibili finché fossero pronti. Ma pronti a cosa? Chi erano? Da dove venivano? Forse da Marte -ridacchiò amaro- dato il colore della pelle. Alla fine il vecchio stereotipo del marziano verdognolo che neutralizza i terrestri a colpi di raggi gamma ci aveva azzeccato: erano qui e nessuno avrebbe avuto scampo. Ma scampo da cosa? Che intenzioni avevano i “marziani”? Quella settimana molti telefoni squillarono nelle stanze giuste; vennero informati gli altri presidenti, i re e i leader spirituali. Con svariate reazioni ma un elemento comune: la curiosità. In pochi mesi si preparò la spedizione: militari dei corpi scelti, medici, antropologi , religiosi e qualche avventuriero. Tutti su una nave rompighiaccio con la prua puntata su Laguna S. Rafael; ognuno con le proprie paure e le proprie domande. Non andò per il verso giusto: le condizioni metereologiche complicarono l’operazione e spesso i ricercatori rischiarono di cadere vittime dei lastroni di ghiaccio che slittavano come tessere da mosaico impazzite sul mare gelido. Per giunta delle “rane” (così definivano gli alieni oltre a “marziani”) nessuna traccia: solo bianco, cielo e pinguini. Finché, sul punto di rinunciare, le videro: due figure umane stagliate nella pioggia, rese più spesse dall’abbigliamento pesante. Stavano là, ferme in piedi accanto a una collinetta di ghiaccio, senza fuggire o spostarsi, senza alcuna altra apparente motivazione se non la loro curiosità nei confronti dei visitatori che, un po’ esitanti, si facevano sempre più vicini. I “marziani” erano entrambi maschi, uno più corpulento col viso del medesimo verde della femmina del video ma solcato da rughe intorno alla bocca e agli occhi di colore dorato. L’altro, dalla pelle azzurrissima e con un bel ciuffo rosa che gli pioveva ribelle sulla fronte, appariva più giovane anche per l’atteggiamento di sfida che mostrava ai militari con le mitragliatrici spianate. Un gesto alquanto rassicurante del più anziano li spinse a deporre le armi, e nel silenzio di ghiaccio l’uomo parlò. Era un linguaggio terrestre sebbene molto arcaico; almeno così affermò il rabbino esperto in semiologia chiamato a interpretarne le parole, che venivano scandite con lentezza incerta, come per una lingua appresa sui libri e poco praticata. Il “marziano” stranamente non poneva domande, quasi conoscesse i visitatori più di quanto immaginassero;ma li invitava a seguirlo dentro una botola metallica seminascosta dalla collinetta per poter vedere-sosteneva-la verità con i loro occhi. Alcuni rifiutarono impauriti, altri si lasciarono condurre dai due alieni giù per una scala a chiocciola che li strabiliò fin dal primo gradino: laggiù in fondo,illuminato a giorno da potentissimi led dai riflessi lilla, si estendeva un intero, piccolo mondo. Una ragnatela di strade parecchio trafficate collegava paesi più o meno grandi che occhieggiavano dal rosa-giallo-viola dei campi coltivati o dall’azzurro intenso delle boscose colline punteggiate di laghetti verde smeraldo. Il clima era mite e i pesanti giacconi scivolarono via. L’alieno più anziano restò in pantaloni corti e camicia a fiori;il che, unito all’avanzata calvizie e a un certo modo di camminare (dovuto forse agli stivaloni sui piedi quasi di sicuro palmati) ne faceva una specie di Homer Simpson versione marziana. Tuttavia sembrava che gli abitanti di quel mondo capovolto lo tenessero in grande considerazione, radunandoglisi intorno numerosi al termine della discesa, come per cercare conferme e sicurezza. Erano una folla variopinta che squittiva (la loro lingua era composta da vocaboli brevissimi e striduli) e gesticolava: uomini, donne e ragazzi dalla pelle azzurra, arancione o verde e dai capelli rosa, blu, violetto, verde scuro o rosso fuoco. Tutti osservavano increduli i visitatori che procedevano altrettanto increduli lungo la via sgomberata dal traffico. Anche la ragazza del video fece capolino da un crocicchio per poi defilarsi fra le case ridacchiando con le amiche. Gli edifici in resina traslucida si armonizzavano perfettamente con la natura circostante riflettendone i colori e catturando la luce. Nei giardinetti ben curati animali alieni condividevano spazio e cibo con cani, gatti, caprette e numerosi pinguini (“Ecco perché si stanno estinguendo!”esclamò uno zoologo; nessuno gli badò). La casa di “Homer” doveva essere la più importante perché svettava sulle altre con la sua mole di un bel rosso cangiante. Nel cortiletto d’ingresso un barboncino e un mostriciattolo tutt’occhi e zanne facevano buona guardia, ma rimasero spiazzati di fronte a quegli estranei così simili al loro padrone e al tempo stesso così diversi. “Homer” li rassicurò con una carezza ed entrò in casa seguito dagli ospiti. Il ragazzo dal ciuffo rosa chiuse la fila e la porta. L’atrio già ampio guadagnava spazio dall’opalescente trasparenza delle pareti. Nel mezzo, una bambina dalle verdissime trecce giocava per terra sotto un grande albero che piantava le radici nel pavimento per poi estendere la folta chioma azzurra oltre il tetto. La bimba fissò gli ospiti con tranquilla sorpresa, ma una donna dai riccioli rosa accorse apprensiva portandola via. Due rampe di scale conducevano al salotto del secondo piano, dove “Homer” si liberò finalmente degli stivali e inforcò le ciabatte per poi sedersi in poltrona invitando a fare altrettanto gli ospiti, incerti se sbalordirsi di più per il fatto che le dita dei suoi piedi non fossero palmate o per il fatto che indossasse delle infradito fucsia. E l’alieno parlò, con tono pacato e dolente, raccontando una storia incredibile. Parlò di un popolo che abitava un pianeta bellissimo dal mare verde, gli alberi azzurri e il cielo lilla. Il pianeta si chiamava Terra. La vita non era certo perfetta, ma serena; dopo secoli di guerre e conflitti tra i “blu”, gli “arancioni” e i “verdi” avevano finalmente imparato il valore dell’accoglienza e del rispetto per le reciproche diversità. Per questo la decisione dei governi fu quasi unanime quando si trattò di rispondere alla proposta della Confederazione Galattica di dare asilo agli esuli da un pugno di pianetini in perenne guerra civile. Così iniziarono ad arrivare. Uomini, donne, bambini senza più casa né speranza; parlavano una strana lingua che solo pochi terrestri comprendevano, ma dai loro volti rosa pallido, ambrato o color cioccolato traspariva un’angoscia da spezzare il cuore. Si istituirono centri d’accoglienza e centri di orientamento per inserire i profughi nella vita sociale e lavorativa, insegnare loro la lingua e aiutarli nelle difficoltà di adattamento al clima e/o allo stile di vita terrestre. Si adattarono bene, tanto che ne arrivarono altri, poi altri. Paradossalmente essendo sempre di più si adattavano meno bene, perché necessitavano di maggiori risorse e questo causò intolleranza da parte di alcuni terrestri che si sentivano minacciati dagli alieni, solidarietà da parte di altri che si sentivano in colpa per l’intolleranza altrui. La solidarietà sfumò nel buonismo e vinse. Fu allora che gli esuli, giunti sempre più numerosi sulle astronavi allo sfascio in balia del vento cosmico, iniziarono a provare nostalgia. Dapprima per piccole cose, come la loro immagine per rappresentare Dio(un triangolo) invece di quella dei terrestri (un quadrato) nei luoghi lavorativi e nelle scuole, oppure quartieri dove fosse obbligatorio parlare solo la loro lingua. Poi divennero nostalgici del cielo azzurro, dei boschi verdi,del mare blu dei loro pianeti e degli animali che li abitavano. Senza quasi chiedere ottennero delle riserve naturali dove i colori delle piante, dell’acqua e del cielo fossero stati chimicamente modificati; per quanto riguarda gli animali, alcune specie le avevano portate con loro, il resto lo fece l’ingegneria genetica. Ovviamente ciò richiese molto denaro e generò malcontento fra i terrestri, alcuni dei quali reagirono con atti di razzismo all’interno delle riserve: animali uccisi, boschi bruciati, pestaggi… La solidarietà dell’opinione pubblica verso i “diafani”(così venivano chiamati per via dei colori poco vivaci di pelle e capelli)ghettizzati e martirizzati spinse all’ampliamento delle riserve, sempre più estese di anno in anno, finché…- “Homer” si interruppe sospirando piano- finché i figli dei figli dei figli dei profughi dimenticarono di esserlo mai stati. Ormai le riserve avevano coperto la maggior parte della Terra e non c’era più bisogno di agenti chimici per mantenere l’acqua blu e le piante verdi; l’ecosistema si era adattato fornendo un habitat sempre migliore agli animali alieni che prosperavano a discapito di quelli terrestri, confinati negli zoo o peggio nei centri di ricerca. Quanto ai nativi terrestri, si erano ritirati in luoghi remoti e sembravano proprio alieni per l’aspetto e per la loro strana lingua che nessuno studiava più da decenni. Nulla lasciava pensare che la Terra non appartenesse da sempre ai “diafani”e i “diafani”smisero di pensarlo. Col tempo le presenze “aliene” si diradarono fino a svanire in un vago ricordo che a poco a poco più nessuno ricordava. Al suo posto i “nuovi” terrestri immaginarono una storia diversa, che appartenesse solo a loro e li aiutasse a uscire dal regresso in cui la loro società era sprofondata. Pian piano ci riuscirono e tornarono a dominare con la scienza e la tecnologia un pianeta per il quale, tuttavia, non riescono ad avere troppo rispetto, forse perché inconsciamente sanno di non essere a casa, ma non possono ammetterlo. Finché…” “Fino ad ora” concluse il rabbino esperto semiologo con le lacrime agli occhi per lo smarrimento: scopriva che la Terra Promessa non era affatto promessa e che il popolo eletto vagava da sempre su una Terra non sua, proprio come tutti gli altri popoli. Il colonnello dei marines gli posò una mano sulla spalla per confortarlo; non aveva compreso nulla del discorso di “Homer”,ma capiva che quello era uno dei momenti importanti della Storia, in cui le cose cambiano. E cambiarono; la bugia era troppo grossa per potersi permettere di fare finta di niente, magari gettando una bella colata di cemento nell’hangar dei “marziani” e chi s’è visto s’è visto. I “marziani” uscirono dall’hangar e tornarono nel mondo, il loro mondo. I “terrestri” dovettero abituarsi ad averli nelle loro strade, nei supermercati, nelle scuole. All’inizio ci fu diffidenza e -sì- anche risentimento reciproci; dopo prevalse la curiosità e i due popoli iniziarono a comunicare in entrambe le lingue. Sentendo parlare dei pianetini di origine, alcuni “terrestri” iniziarono a provare una sorta di nostalgia per quei luoghi dove il mare era davvero azzurro e i boschi davvero verdi, e, con l’aiuto dei “marziani”, costruirono astronavi per poterli raggiungere, scoprendo con sorpresa che non erano affatto distrutti e desolati come li immaginavano;altri “diafani” li abitavano in pace e benessere. Erano i discendenti di quelli che avevano deciso di restare e salvare il loro mondo invece di modificarne un altro a loro uso e consumo. Così, mentre già il cielo terrestre guadagnava riflessi lilla e nei boschi faceva capolino tra le fronde qualche timido rametto azzurro, molti partirono per “Terra Promessa 2”(il nome era stato proposto dalle comunità ebraiche e nessuno aveva avuto cuore di negarglielo),altri invece rimasero a vivere sulla Terra, sentendosi forse un po’ più alieni al pianeta che abitavano, ma assai meno a sé stessi.

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