La teoria Gender: Il cancro nichilista e relativista dell’Occidente. Di Alfonso Indelicato.

Da qualche tempo si va dicendo, da parte di soggetti interessati, che la “teoria del gender non esiste”. Si tratterebbe, insomma, di una sorta di “favola reazionaria”, inventata ovviamente in ambienti omofobi per screditare il mondo gay. Nulla di più falso. Trattasi, invece, di una tecnica di disinformazione che consiste nel sovrapporre alla realtà una falsa realtà da far passare per vera. Naturalmente, è una tecnica che non tutti possono permettersi, nel senso che per attuarla occorre che lo slogan –perché di questo si tratta– venga ripetuto da più fonti e a tambur battente. Personalmente, avendo io vissuto il ’68, mi ricorda molto lo slogan allora in voga: “la violenza viene sempre da destra”. Il contenuto è diverso, ma medesima la tecnica e l’efficacia. Se la teoria del gender “non esiste” (o meglio, ‘non esistesse’) come molti ‘progressisti’ si affannano a dichiarare, allora è chiaro che non potrebbe esistere neppure un progetto atto ad di introdurla nella scuola. Non si introduce da nessuna parte qualcosa che non esiste. Del resto che non vi sia alcuna iniziativa in proposito lo ha recentemente assicurato lo stesso ministero dell’Istruzione, sia attraverso un’intervista a Radio 24, rilasciata dal ministro Giannini (16.06.2015), sia attraverso una circolare inviata dal medesimo ministero (15.09.2015). Nella circolare, la teoria del gender è definita “cosiddetta” e si propone un’esegesi della “renziana” L.107, comunemente nota come “buona scuola”. Successivamente viene citato integralmente l’ormai famoso comma 16: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”. Di questo comma, nella circolare, viene fornita un’interpretazione assai edulcorata. Vi si afferma che esso “risponde all’esigenza di dare puntuale attuazione ai principi costituzionali di pari dignità e non discriminazione”; vengono poi citati gli art.3-4-29-37-51 della Costituzione. Peccato che la circolare, più avanti, si sofferma su quelli che sono i riferimenti espliciti del comma 16. Li riporto di seguito riprendendoli dal testo ministeriale:

1) il DL 14 agosto 2013 convertito nella L.193/2013 il quale enuncia le finalità del “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” avente le seguenti finalità:

a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l’informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne;

b) promuovere l’educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell’ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare,informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;

c) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle Amministrazioni impegnate nella prevenzione,nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking.

2) L’art. 16 lett. D della L. 128/2013 la quale provvede: “all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.

Insomma ecco che il gender, negato a ragione dalla circolare quando questa cita il dettato costituzionale, irrompe nel testo sotto le specie degli articoli di legge, di rango meno elevato ma pur sempre cogenti. E qui sorge, en passant, un dubbio: il capo dipartimento dott.ssa Rosa De Pasquale ha letto la circolare prima di firmarla? Se l’ha letta, l’ha capita? Se non l’ha letta, perché l’ha firmata? In particolare, ha ella capito cosa sono gli “stereotipi di genere”? Si è resa conto che significa che essere uomini ed essere donna non è una realtà, ma un modello acquisito? E che proprio questo è il succo della teoria gender? A fronte di questa verità, l’intervista del ministro Giannini, la quale minaccia querela contro chi afferma che la legge 107 apre la porta al gender, si commenta da sola e non merita osservazioni, se non quella che i paladini dei diritti e delle libertà sono sempre i massimi censori delle opinioni altrui.

L’ideologia gender è in realtà ben collocata in sede governativa. L’anno scorso il dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha messo a punto una “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Punta di diamante di questa strategia è il “Gruppo nazionale di lavoro Lgbt”, già istituito dal governo Monti, di cui fanno parte ventinove associazioni, tutte accomunate dall’ideologia gender. Questa task force si propone di agire nei vari settori della società (quindi anche nella scuola) per evitare che si propalino concezioni educative tradizionali e quindi ostili al gender. Il “Gruppo nazionale di lavoro” collabora a sua volta con l’U.N.A.R. (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). Questo, nato nel 2003, è particolarmente attivo proprio nella scuola, in cui promuove corsi di formazione per i docenti, distribuisce materiale didattico, promuove l’accreditamento delle associazioni Lgbt presso il ministero dell’istruzione in qualità di enti di formazione. La sua azione –è noto– ha suscitato reazioni, anche aspre, da parte di genitori poco entusiasti di scoprire i loro bambini raccontare fiabe in cui la bella addormentata viene svegliata dal bacio di una pastorella di passaggio. Da uomini di scuola, avremmo sperato in un’uguale reazione anche da parte degli insegnanti, ma il coraggio, come è noto, non è merce comune. Da questo quadro, succintamente tracciato, si ricava che il fronte raccolto attorno all’ideologia gender è articolato ed ampiamente infiltrato nella Pubblica Amministrazione. Se qualche malizioso pensasse che lo sia anche al livello delle istituzioni europee, ovviamente non sbaglierebbe. È di questi ultimi giorni la notizia che il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’uguaglianza di genere in Europa, il quale prende atto “dell’evolversi delle definizione di famiglia” e “raccomanda” (il testo non ha, per fortuna e per ora, carattere vincolante) che le norme dei paesi europei tengano in considerazione “le famiglie monoparentali e l’omogenitorialità”. A questa presa di posizione di Strasburgo hanno fatto eco entusiastica, naturalmente, le associazioni italiane che fanno parte del “Gruppo nazionale di lavoro Lgbt”, attivo in tutti i settori della società ma soprattutto a scuola. Tornando alla scuola, finora non abbiamo un’avanzata massiccia, ma incursioni in forze che intendono saggiare il terreno e preparare le future battaglie.

Suggerimenti operativi per contrastare la diffusione dell’ideologia Gender nelle scuole.

Se si è genitori:

Leggere attentamente il patto educativo di corresponsabilità (DPR 24.06.98 1998 n. 249 – DPR 235-21 nov. 2007). Per la maggior parte di questi “patti” essi, beninteso, non hanno a che fare col gender, limitandosi a dettare regole di buon senso. Leggere attentamente il documento POF (fra poco PTOF). Più pericoloso del precedente perché il comma 16 fa riferimento per l’appunto al POF. Qualora esso contenga riferimenti espliciti al comma 16, mandare al direttore scolastico una diffida, o una semplice richiesta di non coinvolgere i propri figli in iniziative didattiche o paradidattiche ispirate alla teoria gender.

Se si è insegnanti:

In genere il campanello d’allarme trilla quando si legge una circolare la quale annuncia un corso o comunque un’iniziativa informativa in favore degli studenti che tratti le tematiche del bullismo o dell’affettività: attenzione! È abbastanza facile verificare se tali iniziative siano o meno all’insegna della teoria del gender. Bisogna innanzi tutto guardare il nome del docente referente. Assai spesso sarà un personaggio di area politico-sindacale ben determinata. A volte sarà invece una persona realmente sganciata dai gruppi politicamente orientati, sorta di cane sciolto, nonché soggetto comunemente stimato. In questo caso è stata adottata la tecnica della “testa di turco”: si manda avanti un insospettabile abbastanza insipiente o abbastanza ricattabile o abbastanza timoroso da non capire o non voler capire cosa sta succedendo, e i burattinai rimangono nelle retrovie e gestiscono. A parte questo, è sufficiente una ricerca sulla Rete per verificare quale sia l’orientamento dell’agenzia cui il corso è commissionato. A questo punto, compreso cosa sta avvenendo, bisogna verificare l’iter che ha preceduto la circolare. L’iniziativa è stata presentata al Collegio? C’è stata una votazione? Ma prima ancora della votazione, è stato dato modo ai docenti di prendere cognizione del progetto in essere? Buona regola sarebbe stata l’esporre il progetto in sala professori per alcuni giorni, onde permettere agli insegnanti di leggere e valutare: questo è effettivamente avvenuto o la proposta è stata presentata in collegio ex abrupto, senza preparazione e senza i necessari tempi di riflessione? È opportuno anche valutare se l’ordine del giorno del collegio prevedesse la votazione su quel determinato progetto o meno. Si ricorda che non sono ammesse delibere su argomenti introdotti nelle “varie ed eventuali”. Poi sarà opportuno valutare quanto ha fatto il Consiglio di Istituto. Vi è stata davvero una delibera? Si deve ricordare che sia per le delibere del collegio che per quelle del Consiglio è possibile chiedere l’accesso agli atti ai sensi L.241/90. Una volta verificato che gli adempimenti sono stati formalmente corretti, si può chiedere al direttore scolastico se il corso in classe (se di ciò si tratta) prevede o esclude la presenza dei docenti titolari oltre che degli “esperti” corsisti. La domanda è sanamente tendenziosa, perché il direttore non può disporre che i docenti non entrino in classe durante –poniamo– la lectio magistralis sull’uso del preservativo anale impartita da qualche psicologo. A questo punto si può valutare come il direttore stesso cerchi di togliersi le castagne dal fuoco e agire di conseguenza. Se l’iniziativa consiste in una sorta di convegno, si può chiedere al direttore se nella scelta dei relatori si è rispettato il principio della pluralità delle posizioni, indispensabile per permettere agli studenti di valutare le diverse prospettive dei problemi affrontati, e formarsi così una propria opinione con cognizione di causa. Nel caso in cui ciò non accadesse, si può indirizzare allo stesso direttore un atto di rimostranza in cui si denunci l’opera di propaganda cui gli studenti sono stati sottoposti. Naturalmente questo tipo di contrasto costa. Non denaro, ma costa in termini di emarginazione, denigrazione, ecc. Pochi se la sentono. Ecco perché è opportuno essere un gruppo – almeno in due, ben determinati– per portare avanti iniziative come queste. L’azione en solitaire è sconsigliabile, a meno di avere doti di carattere davvero notevoli, quasi eccezionali. Come troverete il vostro alleato? Semplice: parlando dell’argomento. La vostra parola darà coraggio a chi taceva e questi vi avvicinerà, prima o poi. Gli insegnanti che non accettano il dominante pensiero politically correct sono come sogliole appiattite sul fondo limaccioso del mare: bisogna disseppellirli dalla mota nella quale essi giacciono.

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