Bombardieri sovietici attaccano Berlino (1941). Di Alberto Rosselli.

Un bimotore sovietico da bombardamento medio Tupolev.
Un quadrimotore da bombardamento pesante Petlyakov Pe8-1.

Alle ore 22.00 del 19 luglio 1941, una formazione composta da circa 300 bimotori tedeschi da bombardamento pesante e medio Heinkel He.111H e Junkers Ju.88A dei KG3, 27, 53, 54 e 55, martellò per oltre cinque ore la capitale sovietica, sganciando 104 tonnellate di ordigni da 250 e 50 chilogrammi e 46.000 spezzoni incendiari. I risultati di questo primo massiccio attacco su Mosca furono notevoli: esso, oltre a causare la distruzione di centinaia di edifici e la morte e il ferimento di almeno 3.500 persone, ebbe infatti un grosso impatto sulla popolazione. Preoccupato per le possibili, gravi ripercussioni psicologiche sull’intera nazione russa, Stalin decise quindi di reagire immediatamente e per vendicare il primo duro colpo subito, e il 20 luglio ordinò la mobilitazione di tutti reparti da bombardamento medio-pesante della V-VS (Voyenno-Vozdushny Sili, o Forza Aerea Russa) per intraprendere un ciclo di incursioni contro Berlino e altre importanti città tedesche della Prussia orientale. Un’incombenza che, sotto il profilo organizzativo, costrinse però il Comando aeronautico sovietico, già duramente impegnato a controbattere l’avanzata delle armate tedesche, ad un notevole sforzo. Senza considerare che le dissennate “purghe” degli anni Trenta, ordinate dallo stesso Stalin, avevano falcidiato non soltanto gli alti quadri dell’Aviazione Sovietica, ma avevano portato alla “scomparsa” di centinaia di ottimi ufficiali piloti, molti dei quali appartenenti proprio ai reparti da bombardamento. Comunque sia, per tenere buono il dittatore, il 7 agosto 1941, la Marina sovietica (V-VS-VMF, Voyenno Morsky Flot) e il Comando dell’Aeronautica unirono gli sforzi, mettendo in campo 14 bombardieri pesanti quadrimotori Petlyakov Pe-8 e relativi equipaggi per effettuare una prima rappresaglia contro la capitale nemica.

Nell’estate del 1941, la V-VS disponeva di tre tipi di bombardieri in grado di raggiungere Berlino con un sufficiente quantitativo di ordigni: l’Ilyushin Il-4, il Yermolayev Yer-2 e, appunto, il quadrimotore Petlyakov Pe-8: un grosso apparecchio rustico, robusto, ma imperfetto al quale, in vista della missione, i tecnici russi dovettero rimpiazzare in fretta e furia i propulsori a benzina (dal consumo troppo elevato) con particolari motori diesel senz’altro più economici, ma anche assai meno sperimentati ed affidabili. Come da programma, il 7 agosto 1941, quattordici Pe-8, completamente revisionati e con nuova motorizzazione, vennero radunati sull’aeroporto di Pushkino, campo situato non lontano da Leningrado. In origine il Comando aveva previsto una forza di attacco di 18 apparecchi, ma quattro di essi dovettero essere scartati proprio a causa dell’imperfetto funzionamento dei propulsori. Un quinto, in fase di avvicinamento a Pushkino, venne invece danneggiato per errore dal fuoco contraereo russo. Al comando della 81ª Divisione Aeronautica da Bombardamento a Largo Raggio (Dalny Bombardirovachny Aviadivision, o DBAD) impegnata, oltre alla squadriglia montata sui Pe-8, nel ciclo di operazioni contro Berlino era il maggiore generale Mikhail Vassilievich Vodopyanov. La divisione comprendeva la 432ª e la 433ª Squadriglia originariamente distaccate a Kazan ed equipaggiate con Petlyakov Pe-8; e la 420ª e 421ª Squadriglia montate invece su bimotori Yermolayev Yer-2. Parte degli equipaggi di queste unità venne rinforzato con personale civile proveniente dalla Aeroflot. Equipaggi aventi sì una consolidata esperienza sulle lunghe tratte, ma assai poca dimestichezza nei voli bellici, in formazioni compatte e nei decolli e atterraggi su piste non in perfette condizioni: handicap, quest’ultimo, che in seguito si rivelerà foriero di svariati incidenti. Sotto il profilo strettamente tecnico, altrettanto serio era, come si è accennato, il problema relativo al bizzarro funzionamento dei nuovi propulsori diesel a basso consumo Ach-30B montati sui quadrimotori pesanti Pe-8. L’alimentazione in volo di questi motori risultava, tra l’altro, piuttosto complicata in quanto essa non era automatica, ma doveva essere costantemente controllata e “dosata” dai motoristi di bordo. Inoltre, già dalle prime prove, gli Ach-30B si erano rivelati soggetti a frequenti “piantate”, soprattutto se sotto sforzo e a quote elevate.

Per garantirsi il fattore sorpresa, il maggiore generale Vodopyanov e i suoi esperti programmarono per il primo raid un piano di volo notturno che contemplava per le formazioni dei Pe-8, degli Il-4 e degli Yer-2 un lungo tragitto sul Mar Baltico, in modo da evitare il sorvolo dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania. In questo modo si pensava di ridurre le probabilità di intercettazione da parte della caccia della Luftwaffe. Successivamente, dopo avere preso il largo ed effettuato un’ampia rotta semicircolare, gli aerei avrebbero puntato sulla costa tedesca, più o meno all’altezza di Stettino, per poi proseguire verso l’interno e quindi su Berlino. La missione avrebbe comportato da parte dei Pe-8 un tragitto (senza possibilità di scorta caccia) di ben 2.700 chilometri da coprirsi ad una media di 280 chilometri l’ora e ad una quota di circa 7.000 metri. Decollando alle ore 21.00 dalla base di Pushkino, i bombardieri sarebbero dovuti giungere, salvo imprevisti, sulla direttrice di sgancio intorno alla mezzanotte.

Alle 21.15 dell’11 agosto 1941, i 14 Pe-8 decollarono dalla base, seguiti, pochi minuti dopo, da due squadriglie di Il-4 della 200ª levatisi in volo dall’aeroporto di Saaremaa. Alla missione si unirono subito dopo gli Yer-2 della 420ª Squadriglia agli ordini del colonnello Nikolai I. Novodranov, levatisi da un terzo campo.

Dopo qualche decina di minuti dal decollo, la squadriglia dei Pe-8 iniziò a riscontrare alcuni gravi contrattempi. Due dei motori di sinistra del quadrimotore ai comandi del maggiore Konstantin P. Yegorov si inchiodarono quasi simultaneamente e l’aereo perse subito quota. Nonostante i disperati tentativi dei due piloti, il Pe-8, carico di bombe e di carburante, entrò in vite e dopo pochi secondi precipitò al suolo, esplodendo e causando la morte di tutti gli 11 uomini dell’equipaggio. Neanche un’ora più tardi, mentre la formazione dei Pe-8 si trovava sul Baltico, l’aereo del capitano Aleksandr N. Tyagunin venne intercettato, attaccato ed abbattuto da una coppia di caccia finlandesi decollati da una base nei pressi di Helsinki. Secondo i resoconti sovietici, l’aereo di Tyagunin era già stato precedentemente colpito da alcune schegge di granate sparategli contro per errore da una batteria antiaerea russa posizionata lungo la costa. Nel violentissimo impatto con l’acqua, il Pe-8 si disintegrò con l’intero equipaggio.

La sfortuna continuò a perseguitare la squadriglia “bombardieri pesanti” che rischiò di perdere il suo terzo aereo, quello del tenente Vasily D. Bidny. Dopo 40/50 minuti dal decollo, il motore interno destro del Pe-8 del tenente prese infatti fuoco. Spento l’incendio e il propulsore, Bidny decise coraggiosamente di proseguire la missione, seppure distaccato dagli altri aerei della formazione. Ma dopo un’ora, mentre il Pe-8 stava sorvolando il cielo di Danzica ad una quota di circa 6.000 metri, anche il motore esterno sinistro, dopo una serie di strappi e scoppi, si fermò di colpo. Pur rendendosi conto della gravità della situazione, il cocciuto Bidny, dopo essere sceso ad una quota di 2.000 metri, manovrò per dirigersi sul bersaglio alternativo di Stettino. E giunto sulla direttrice della città, sganciò l’intero carico di bombe sulla stazione ferroviaria di Lauenburg che venne colpita e danneggiata. Dopodiché, il tenente virò, riguadagnando la via del ritorno. Assistito dalla fortuna, il Pe-8 riuscì infine ad a rientrare alla base, atterrando quando ormai non rimanevano nei suoi serbatoi che 50 litri di carburante.

Intanto, i rimanenti 11 Pe-8 proseguivano in formazione compatta la loro missione, avvicinandosi, ad una quota di 7.000 metri, all’obiettivo finale. Ma appena 12 minuti prima del loro arrivo nel cielo della capitale tedesca, uno dei motori di destra dell’aereo del comandante della squadriglia, tenente Vodopyanov, iniziò ad imballarsi, bloccandosi dopo pochi secondi; proprio mentre la contraerea pesante tedesca iniziava ad entrare in funzione. Fermamente deciso a non mollare, Vodopyanov mantenne in rotta il suo Pe-8 e arrivato sul bersaglio ordinò al puntatore di sganciare l’intero carico di 2.700 chilogrammi di bombe da 250 e 50 chilogrammi che aveva nella stiva, imitato dagli altri 10 aerei della formazione. Pochi secondi dopo, un proiettile da 88 millimetri tedesco esplose ad una quindicina di metri dall’aereo sovietico investendolo con una pioggia di schegge. L’aereo, che riportò danni alla fusoliera e al serbatoio di carburante posto nell’ala destra, sbandò paurosamente, ma grazie alla perizia del suo pilota riuscì a non perdere quota. Dopo essersi assicurato circa le condizioni dell’equipaggio (miracolosamente illeso), Vodopyanov si consultò con il motorista e il navigatore Aleksandr P. Shtepenko. E dopo avere calcolato la rimanente autonomia in relazione alla perdita dovuta ai danni subiti dal serbatoio, Vodopyanov si rese conto di potere disporre ancora di un massimo di circa quattro ore di carburante, contro le cinque necessarie per rientrare alla base. Quindi ordinò a Shtepenko di trovare subito un’alternativa, più breve, rispetto alla rotta originale. Il Pe-8, che volava ormai staccato dal resto della formazione, puntò ad est, allontanandosi dal cielo nemico. Ma per l’equipaggio di Vodopyanov i guai non erano finiti. Lungo la via del ritorno, il suo apparecchio incontrò ad una quota di circa 6.000 metri un’imprevista area di bassa pressione che provocò pericolose formazioni di ghiaccio sulle ali, mettendo anche fuori uso diversi strumenti di bordo. L’aereo, che stava sorvolando la costa polacca, perse quota a causa dell’incremento del peso alare e quando riuscì a bucare la perturbazione Vodopyanov si ritrovò a volare ad una quota di appena 2.000 metri e ad una velocità di poco più di 250 chilometri orari (il massimo consentito per risparmiare carburante e per non sforzare troppo i tre propulsori rimasti indenni). Il Pe-8 ebbe la fortuna di non incrociare caccia tedeschi e, nonostante la bassa andatura, riuscì a sorvolare la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Ma proprio quando la salvezza sembrava a portata di mano (il navigatore Shtepenko annunciò: “Base a 30 minuti!”), tutti e tre i motori del velivolo si bloccarono di colpo, costringendo Vodopyanov ad un difficile atterraggio di fortuna. L’aereo planò molto rapidamente, vibrando ed emettendo rumori sinistri. Il pilota fece del suo meglio per mantenerlo in assetto e portarlo a terra. Vide una radura in un bosco e senza pensarci due volte compì una riuscita “spanciata”, distruggendo l’aereo, ma salvando l’intero equipaggio che, dopo una lunga marcia, riuscì a raggiungere le linee russe e in seguito il campo di Pushkino dove, nel frattempo erano atterrati quattro degli aerei che avevano preso parte alla prima missione di bombardamento su Berlino: gli unici a non avere lamentato avarie ai motori o danni di altra natura. Il Pe-8 del maggiore Mikhail M. Ugryumov, che aveva esaurito tutto il carburante, fu costretto a scendere nei pressi di una fabbrica di trattori fuori Kalinin; mentre l’aereo del maggiore Aleksandr A. Kurban registrò la ripetuta piantata, seppure temporanea, di ben due propulsori, rimessi in moto effettuando alcune picchiate controllate: espediente che tuttavia provocò un eccessivo consumo di carburante tale da costringere Kurban ad effettuare un atterraggio di emergenza a Krasnoye Selo. Per finire, altri tre Pe-8 andarono persi per ragioni diverse. Uno di questi, avendo smarrito la rotta del rientro, scese per sbaglio in territorio finlandese, dove il suo equipaggio venne fatto prigioniero. A conti fatti, su undici bombardieri meno della metà era riuscita a rientrare alla base.

La missione su Berlino non portò fortuna neanche ai più piccoli bimotori Yer-2 della 420ª BAP, sovraccarichi di bombe e carburante. I piloti, quasi tutti provenienti dell’Aeroflot, incontrarono grosse difficoltà fino dalla partenza. Quando il tenente Aleksandr I. Molodschy tentò di decollare, entrambi i suoi motori iniziarono e perdere potenza. Il pilota cercò disperatamente di dare gas, ma il muso dell’aereo non si sollevò e lo Yer-2 andò a schiantarsi a fine pista senza però causare la morte o il ferimento di nessun membro dell’equipaggio. Siccome altri Yer-2 andarono incontro ad incidenti analoghi, il Comando decise di sospendere la missione di questa sezione. Soltanto tre velivoli, uno dei quali pilotato dal tenente Vladimir M. Malinin, ebbero il permesso di decollare e di tentare di raggiungere Berlino. L’aereo di Malinin riuscì nell’impresa, ma al suo rientro venne abbattuto per errore dalla contraerea sovietica. L’intero equipaggio perì nell’incidente. Anche lo Yer-2 del comandante V. A. Kubyshko, che colpì la capitale tedesca, venne anch’esso abbattuto, sempre per errore, sulla via del ritorno dalla caccia sovietica. Prima che l’aereo si schiantasse al suolo, l’equipaggio riuscì però a lanciarsi con il paracadute. Un terzo apparecchio, pilotato dal capitano A.G. Stepanov, raggiunse sicuramente Berlino, ma non fece più rientro alla base.

Subito dopo il suo ritorno, il comandante della missione, Vodopyanov venne trasferito a Mosca per fare diretto rapporto a Stalin, furibondo per il pessimo esito della missione. Ma Vodopyanov non si scompose. Anzi fece le sue più aperte e giuste lamentele circa la presunta affidabilità dei nuovi motori diesel installati sui Pe-8. Vodopyanov aggiunse quindi di essere “disposto a smontare con le proprie mani quei dannati diesel dagli aerei”. Stalin, accusato indirettamente del fallimento della missione (era stato il dittatore a volere sostituire i vecchi motori a benzina con i nuovi diesel) ascoltò in silenzio e poi congedò Vodopyanov che pochi giorni dopo venne sostituito dal colonnello Aleksandr E. Golovanov al comando della 81ª DBAD. Vodopyanov venne nominato responsabile-collaudatore dei motori radiali Shvetsov M-82 che avrebbero di lì a poco sostituito i pericolosi diesel Charomsky. Nonostante le continue magagne ai propulsori, i Pe-8 continuarono ad essere utilizzati, sia come bombardieri che come aerei da trasporto speciale. Uno di essi, dotato di serbatoi supplementari, trasportò il ministro Molotov da Mosca a Londra. Il 1° settembre 1941, il Pe-8 portarono a compimento una riuscita missione di bombardamento sul porto di Königsberg, mentre altri più affidabili velivoli, i bimotori a grande autonomia Iljushin DB-3 bombers DB-3 della Marina, vennero impiegati in un ciclo di 10 sortite contro Berlino (la prima incursione venne effettuata l’8 agosto 1941 da 15 DB-3T della Flotta del Baltico). L’ultima missione sovietica su Berlino del 1941 si svolse invece la notte tra il 4 e il 5 settembre. Poi le incursioni vennero sospese a causa dell’avanzata tedesca che ormai stava minacciando la base di Saaremaa da dove decollavano gli aerei sovietici. Complessivamente, ottantasei bombardieri della Marina parteciparono a queste missioni (quasi tutte notturne), ma non più di 33 di essi riuscirono a colpire la capitale del Reich. Per la cronaca, i DB-3 effettuarono diversi altri attacchi contro obiettivi secondari tra cui: Stettino, Königsberg, Memel, Danzica, Swinemünde e Libau, ottenendo tuttavia modesti risultati.

 

SCHEDE AEREI:

Ilyushin Il-4

Tipo: bimotore da bombardamento medio

Anno di costruzione: 1940 (volo del prototipo denominato DB-3, 1937)

Motori: 2 M.88B radiali da 14 cilindri da 1.100 hp (sul prototipo 2 radiali M.87A da 950 hp)

Apertura alare: m. 21,44

Lunghezza: m. 14,80

Altezza: m. 4,20

Peso al decollo: Kg. Kg. 10.000

Velocità massima: Km/h 410 a 6.400 metri di quota

Tangenza massima operativa: m. 10.000

Armamento: 3 mitragliatrici ShKas da 7,62 o da 12,7

Carico di caduta massimo: 2.500 kg di bombe o spezzoni (o un siluro da 940 kg))

Equipaggio: 3-4 uomini

 

Petlyakov Pe-8

Tipo: Quadrimotore da bombardamento pesante

Anno di costruzione: 1939, in servizio da 1 gennaio 1940 (volo del prototipo designato TB-7 (ANT-42) 27 dicembre 1936). Nel 1941 su certi velivoli vennero montati 4 motori radiali Shvetsov M.82 e successivamente propulsori potenziati M.82 FN.

Motori: 4 Mikulin AM.35A a 12 cilindri a V raffreddati a liquido da 1.350 hp ciascuno (inizialmente, sul prototipo vennero montati 4 Mikulin M.105 da 1.100 hp)

Apertura alare: mq. 39,94

Lunghezza: m. 22,47

Altezza: m. 6,10

Peso al decollo: Kg. 33.325

Velocità massima: Km/h 438 a 7.000 metri di quota

Tangenza massima operativa: m. 9.750

Armamento: 2 cannoni ShVak da 20 mm. e 4 mitragliatrici ShKas da 12,7

Carico di caduta massimo: 4.000 kg di bombe o spezzoni

Equipaggio: 11 uomini

Yermolayev Yer-2 (prima serie)

Tipo: Bimotore da bombardamento medio veloce a grande autonomia

Motori: 2 Klimov M-105 raffreddati ad acqua da 1.050-hp

Velocità massima: 491 km/h

Tangenza massima operativa:  m. 7.000

Autonomia: km 4.000

Peso al decollo: kg. 11.920

Lunghezza: m. 16,34

Apertura alare:  mq. 23

Armamento: una mitragliatrice UBT da 12.7-mm, e 2 mitragliatrici ShKas da 7,62 mm.

Carico di caduta 1.000 kg di bombe o spezzoni

Equipaggio: 4 uomini

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 The Osprey Encyclopedia of Russian Aircraft 1875-1995, Bill Gunston, Osprey

Paperback – July 2000.

The Imperial Russian Air Service: Famous Pilots & Aircraft of World War One: Famous Pilots & Aircraft of World War One, Alan Durkata, et al Flying Machines Pr Hardcover – 1 January, 1995

Russian Air Power, Yefin Gordon, Alan Dawes, Airlife Publishing, Paperback – 1 April, 2002

Black Cross/Red Star: The Air War over the Eastern Front: Resurgence, January-June 1942 by Christer Bergstrom, Andrey Mikhailov (Hardcover)

Soviet Combat Aircraft of the Second World War: Twin-Engined Fighters, Attack Aircraft and Bombers by Yefim Gordon, Dmitri Khazanov (Hardcover)

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