Attacco a Baku: Il piano segreto anglo-francese per bombardare il più importante centro petrolifero sovietico. Di Alberto Rosselli.

Un bimotore da bombardamento inglese Wellington.
I campi petroliferi di Baku (foto del 1939).

ATTACCO A BAKU

IL PIANO SEGRETO ANGLO-FRANCESE PER BOMBARDARE IL PIU’ IMPORTANTE CENTRO PETROLIFERO SOVIETICO

di Alberto Rosselli

In una tersa mattina di inizio luglio del 1940, un solitario bimotore di nazionalità sconosciuta proveniente da sud sorvolò per circa un’ora, ad una quota di circa 3.000 metri, gli immensi campi petroliferi azerbaigiani di Baku, sul Mar Caspio, senza che le difese antiaeree sovietiche fossero in grado di contrastarlo. Neanche i Polikarpov  I-16/10 dei reparti da caccia dislocati sul vicino aeroporto fecero in tempo a decollare per cercare di intercettare il misterioso intruso. Pochi giorni più tardi, un secondo identico aereo apparve nei cieli del porto russo di Batumi sul Mar Nero dove, questa volta, le numerose locali batterie della marina e dell’esercito sovietici (equipaggiate con cannoncini semiautomatici da 37 e 45 millimetri e con pezzi medio-pesanti da 75 e 100 millimetri) risposero per tempo, bersagliando il velivolo con un’intensa ma disordinata pioggia di proiettili, mentre la caccia si affannava a decollare nel un vano tentativo di individuare il mezzo non identificato che, dopo avere volteggiato sullo scalo per una decina di minuti, virò in direzione sud, scomparendo ben presto all’orizzonte. Soltanto alcune settimane più tardi il Comando Supremo sovietico, tramite il suo servizio segreto, venne a sapere che i due aerei che avevano violato lo spazio aereo russo-caucasico erano inglesi. Per la precisione si trattava di due bimotori da ricognizione e bombardamento leggero Hudson (dotati di serbatoi supplementari) appartenenti al No.1 Photographic Reconnaissance Unit decollati dal lontano aeroporto iracheno di Habbaniyeh.

Le ragioni che indussero Londra ad ordinare al Comando mediorientale della RAF di effettuare una così rischiosa duplice missione di ricognizione su due dei più importanti centri di estrazione, raffinazione, stoccaggio e distribuzione del greggio caucasico derivava da una serie di considerazioni di natura sia militare che politica. Come è noto, in conformità con il trattato decennale di non aggressione (ma anche di cooperazione segreta) nazi-sovietico siglato a Mosca il 23 agosto 1939 dai ministri degli Esteri von Ribbentrop e Molotov, Stalin aveva concesso alla Germania la fornitura di un consistente quantitativo di materie prime e soprattutto di petrolio, indispensabile per fare marciare a pieno regime la sua industria bellica. Preoccupati per i risvolti di questa cinica e pragmatica intesa (attraverso la quale Hitler permise all’Unione Sovietica di occupare la parte orientale della Polonia, attaccare la Finlandia e di esercitare una sorta di “diritto di opzione” su Estonia, Lettonia e sulla Bessarabia romena) sia il governo di Londra che quello di Parigi reagirono con molta indignazione e preoccupazione, ben sapendo che la possibilità da parte della Germania di ottenere a buon mercato ingenti forniture di ferro, carbone e petrolio avrebbe consentito ad Hitler di condurre con successo una guerra molto lunga. E sulla base di queste considerazioni, nell’autunno del 1939, il Comando Supremo britannico iniziò a prendere in esame alcune contromisure, tra cui quella di effettuare un massiccio e prolungato attacco aereo contro i centri petroliferi russi di Baku, Groznji, Majkop e contro gli scali del Mar Nero di Batumi, Suchumi, Poti, Soci e Tuapse, collegati tramite oleodotti ai giacimenti transcaucasici. Verso la fine di aprile del 1940, dopo i primi due voli di ricognizione su Baku e Batumi, il primo Lord dell’Ammiragliato Winston Churchill (che dal 10 maggio 1940 ricoprirà l’incarico di Primo Ministro e di ministro della Difesa nazionale e del Tesoro) sollecitò il Comando della RAF ad elaborare un vero e proprio piano di attacco che in codice assunse il nome di “Operazione Pike”.

Il progetto, che si sarebbe dovuto concretizzare nella primavera del 1940, si sarebbe articolato su una vero e proprio ciclo operativo di bombardamenti della durata di ben tre mesi: periodo di tempo ritenuto indispensabile dagli esperti della RAF per apportare danni di una certa entità ai numerosi pozzi, agli impianti di trivellazione, ai depositi e agli oleodotti presenti nella vasta regione transcaucasica compresa tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Sempre secondo il piano, avrebbero partecipato all’impegnativa campagna non meno di 15 squadriglie equipaggiate con bombardieri leggeri Bristol Blenheim Mk.IV (alcune delle quali già dislocate in Medio Oriente e in Egitto),  Wellesleys e bombardieri medio-pesanti Vickers Wellington Mk.II o Mk.III: mezzi che sarebbero stati adeguatamente riforniti di specifici ordigni esplosivi ed incendiari, ma anche di pezzi di ricambio, attrezzature di supporto fatte affluire dall’Inghilterra[1].

All’operazione avrebbero preso parte  anche 5 squadriglie francesi, di base a Dijezireh (Siria), equipaggiate con bombardieri Martin 167F.

Tuttavia, una serie di sfavorevoli eventi, tra cui la prematura resa della Francia e l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940), costrinsero Churchill e il Comando della RAF (severamente impegnato nella difesa delle isole britanniche dagli attacchi della Luftwaffe) ad accantonare il progetto. Almeno fino all’aprile del 1941, quando l’Operation Pike tornò alla ribalta in concomitanza con le operazioni di repressione condotte in Iraq dall’esercito britannico contro le forze nazionaliste facenti capo a leader filo-tedesco Rashid Alì[2]. In quello stesso periodo il Foreign Office venne a conoscenza del progetto tedesco di invasione della Russia, dandone comunicazione a Stalin che tuttavia, grazie al lavoro di intelligence condotto a Tokyo dalla spia sovietica Sorge, ne era già al corrente.

Come è noto, il dittatore sovietico dimostrò però di non volere dare troppo credito a queste segnalazioni: atteggiamento che il Foreign Office interpretò con  pessimismo, ma anche con molta esattezza. Stalin – che non aveva infatti alcuna intenzione di ingaggiare un prematuro conflitto con la Germania – era propenso a gettare acqua sul fuoco e a sperare in un ripensamento da parte di Hitler. In virtù di questo atteggiamento, il sottosegretario inglese agli Esteri sir Alexander Cadogan convinse Winston Churchill circa l’opportunità di rispolverare ed accelerare la realizzazione dell’Operazione Pike, se non altro a scopo precauzionale.

Verso la fine di maggio (in concomitanza con il positivo andamento delle operazioni militari in Iraq, dove nel frattempo le forze britanniche del generale Kingstone stavano per avere la meglio sulle impreparate truppe ribelli di Rashid Alì) il Comando Supremo della RAF fu in grado di presentare a Churchill un primo completo piano di attacco. Nella fattispecie, il vice maresciallo dell’aria sir Charles Portal, peccando di eccessivo ottimismo, riferì al Segretario degli Esteri Anthony Eden che la posizione e il numero dei bombardieri inglesi dislocati in Egitto e Medio Oriente risultava più che sufficiente per avviare un primo ciclo di operazioni contro l’area petrolifera sovietica. Portal riportò anche che lo stesso responsabile della Royal Air Force in Medio Oriente, sir Arthur Longmore, era stato incaricato di studiare nei dettagli tecnici ed operativi dell’intera operazione di cui sarebbe diventato il coordinatore operativo. Il progressivo e rapido sfaldamento delle quattro divisioni dell’armata di Rashid Alì (compagine appoggiata in maniera del tutto inadeguata da un piccolo corpo aereo italo-tedesco inviato nella prima metà di maggio da Rodi a Mosul) indusse infatti i capi della RAF a dare quasi per scontata la disponibilità dei mezzi e la sicurezza dei campi d’aviazione situati nel nord del paese: quelli che sarebbero stati utilizzati come basi di partenza per l’Operazione Pike.

Mentre presso il Comando RAF del Cairo fervevano i preparativi, il 14 giugno il governo britannico decise di compiere un altro passo, proponendo a Stalin l’invio a Mosca di una missione militare (denominata Thirty Mission) incaricata di cooperare con lo Stato maggiore sovietico in caso di un improvviso attacco tedesco alla Russia. Pur non credendo ancora ad un’imminente invasione da parte delle armate di Hitler, Stalin accettò comunque l’offerta, incaricando però la sua polizia segreta di sorvegliare strettamente la rappresentanza inglese. Oltre a militari e consiglieri, faceva parte della delegazione anche Eric Berthoud, un ingegnere esperto di impianti petroliferi, che aveva avuto da Churchill l’incarico di visionare l’area di Baku e di preparare su di essa un segreto e dettagliato rapporto da inviare, tramite posta diplomatica, a Londra. Ufficialmente addetto all’ambasciata inglese del Cairo con un vago incarico tecnico, Berthoud in realtà lavorava da tempo per la Sezione Operazioni Speciali dell’Esercito inglese, appositamente creata nel 1940 da Churchill per organizzare ed effettuare importanti missioni segrete all’estero. Dopo essere riuscito a farsi condurre dai russi a Baku con il pretesto di volere visionare certi impianti della zona, Berthoud – nonostante l’attenta sorveglianza dei suoi ospiti – riuscì a raccogliere dettagliate informazioni circa la distribuzione dei pozzi, dei depositi e degli oleodotti e delle difese antiaeree e aree locali. Rientrato a Mosca, Berthoud inviò quindi al Foreign Office il prezioso rapporto.

Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l’Operazione Barbarossa e ben presto, in seguito alle disastrose sconfitte subite dall’Armata Rossa, Churchill e molti alti esponenti del Comando Supremo inglese iniziarono a temere che di lì a poco l’Unione Sovietica sarebbe crollata sotto i colpi della Wehrmacht, consentendo ad Hitler di mettere le mani sui giacimenti minerari dell’Ucraina e sui campi petroliferi caucasici. Il 4 luglio 1941 Londra decise di scoprire le carte, mettendo al corrente i russi circa l’attuazione di un piano di attacco aereo contro i pozzi del Caucaso. Dietro istruzioni di Churchill, Berthoud illustrò il progetto a Stalin, assicurandogli che come contropartita per la distruzione o il grave danneggiamento dell’industria petrolifera russa l’Inghilterra, con l’appoggio degli Stati Uniti, avrebbe garantito all’Unione Sovietica ingenti quantitativi di petrolio, oli combustibili e lubrificanti e macchinari pesanti per l’industria. Dopo avere ascoltato attentamente Berthoud, Stalin respinse però il piano, sottolineando l’assoluta intangibilità del territorio sovietico.

Ciononostante, verso la fine di luglio, Churchill e i suoi collaboratori intensificarono tutti gli sforzi per avviare egualmente l’Operazione Pike, anche in mancanza di assenso russo. Contestualmente alle azioni di bombardamento, gli strateghi britannici presero tra l’altro in considerazione un’eventuale aviolancio di commandos e addirittura l’invio a Baku, attraverso l’Iran, di una divisione motorizzata; anche se tutti i maggiori sforzi vennero dedicati alla messa a punto del complesso impianto logistico-militare che avrebbe consentito ai bombardieri inglesi di trasferirsi sulle basi aeree ubicate intorno alla città irachena di Mosul, dalle quali gli aerei sarebbero decollati alla volta di Baku e degli altri centri petroliferi della Russia meridionale. Il maggiore generale John Kennedy, nominato coordinatore dell’operazione, era dell’idea di scatenare l’attacco al più presto. Kennedy temeva, infatti, che entro la fine dell’autunno 1941, le divisioni corazzate tedesche potessero raggiungere il basso corso del Don ed avvicinarsi all’area petrolifera russa. Nel frattempo, il Foreign Office iniziò a fare pressioni su Stalin affinché preparasse almeno un piano per sabotare – magari con il supporto di esperti britannici – tutti i campi petroliferi minacciati.

Ai primi di agosto, il comandante in capo delle forze britanniche in Medio Oriente, generale Archibald Wavell, comunicò a Churchill di ritenere tuttavia improbabile che il capo del Cremlino si dichiarasse disponibile a cooperare in questo senso. Condividendo appieno le opinioni di Kennedy, Wavell insistette per un immediato e massiccio attacco aereo sui pozzi o per l’invio di una missione segreta di sabotaggio inglese: anche a costo di compromettere le relazioni tra Gran Bretagna e Unione Sovietica. A tale riguardo, il generale formò sei squadre di demolizione, chiamate  in codice G(R) Sixteen, composte da un centinaio tra i più abili commandos di cui disponeva la marina e l’esercito inglese. Ben conoscendo Stalin e temendo una sua violenta quanto inevitabile reazione, lo Stato Maggiore inglese bloccò però sul nascere questa iniziativa. Anche se, grazie alla sua influenza, Churchill riuscì ad ottenne che un agente segreto legato a G(R) Sixteen, Fitzroy Maclean, venisse aggregato con un incarico fittizio presso la delegazione inglese già operante a Mosca. A Fitzroy sarebbe spettato il rocambolesco (ed improbabile) incarico di recarsi a Baku dove avrebbe dovuto sabotare le attrezzature petrolifere sovietiche.

Nel frattempo Longmore informò Churchill che i preparativi per il bombardamento dei campi petroliferi sovietici stavano per essere ultimati e che nel giro di due settimane tutti i velivoli necessari sarebbero stati concentrati nell’area di Mosul. Ma Longmore peccò anch’egli di eccessivo ottimismo. Ai primi di agosto 1941, in Medio Oriente la RAF disponeva di appena quattro squadriglie per un totale di 51 bombardieri leggeri Bristol Blenheim Mk.IV con una riserva di bombe e di pezzi di ricambio sufficiente a sostenere un ciclo operativo di due settimane di missioni “ordinarie”. Le altre unità da bombardamento britanniche accantonate per la missione si trovavano, infatti, ancora in Inghilterra e in Egitto. Longmore sollecitò allora il Comando Supremo della RAF esigendo l’immediato invio in Palestina, Giordania e Iraq di altre otto equipaggiate con i più capaci e potenti Vickers Wellington Mk III: richiesta che venne però respinta in quanto gli aerei di questo tipo non sarebbero stati pronti fino al successivo mese di ottobre.

Rientrato a Londra verso la metà di agosto, Berthoud venne convocato da Churchill e dal generale Kennedy. Anche Berthoud insistette affinché l’operazione contro Baku (che nel frattempo era stata rinominata Operation Raspberry) avesse inizio al più presto. Egli infatti non credeva che Stalin fosse propenso – anche in caso di estrema necessità – a consultarsi con gli inglesi per iniziare seppure autonomamente l’opera di sabotaggio dei campi petroliferi caucasici. Dopo l’incontro, Kennedy si adoperò affinché il Foreign Office convincesse il dittatore sovietico a fornire adeguate garanzie in proposito. Anche perché nel frattempo la situazione sul fronte russo stava rapidamente deteriorando, a tutto svantaggio dell’Armata Rossa. Verso la metà di agosto, gli eserciti tedeschi stavano avanzando verso la Crimea ed erano in procinto di chiudere Kiev, la capitale dell’Ucraina, in una morsa. Impressionato dai risultati conseguiti dalla Wehrmacht, Churchill interpellò direttamente Stalin, assicurandogli in cambio della distruzione dei principali pozzi russi un immediato indennizzo di 100 milioni di sterline, oltre ad ingenti quantitativi di carburante e macchinari per l’industria e l’agricoltura. Richiesta che tuttavia il dittatore non ebbe difficoltà a respingere. Stalin disse infatti che le punte corazzate tedesche erano sì penetrate profondamente in territorio sovietico, ma distavano ancora centinaia di miglia dai più vicini centri petroliferi, quelli di Armavir e di Maikop. Deluso dall’atteggiamento di Stalin, Churchill ordinò allora alla Royal Air Force di accelerare l’invio in Medio Oriente degli apparecchi e degli equipaggi richiesti da Longmore.

Il piano elaborato da quest’ultimo contemplava 16 bersagli principali. In cima alla lista c’erano innanzitutto le centrali elettriche, seguite dalle raffinerie e dai depositi della “Città Bianca” e della “Città Nera” di Baku. La grande centrale elettrica “Stella Rossa” (situata nella Città Bianca) venne identificata come l’obiettivo prioritario in quanto la sua distruzione o il suo danneggiamento avrebbe impedito il funzionamento delle raffinerie. Un altro bersaglio di vitale importanza era rappresentato dagli stabilimenti e dalle cisterne di Soyuzneft a Batumi, il porto del Mar Nero attraverso il quale veniva smistato, tramite oleodotti, il greggio proveniente dalle rive del Mar Caspio. Eliminati questi due obiettivi primari, la scelta degli altri target sarebbe stata decisa dal comandante in capo della RAF in Iraq, colonnello John D’Albiac. Questi si rese subito conto che l’arretratezza tecnica e tecnologica degli impianti sovietici avrebbe in qualche modo favorito l’azione dei suoi stormi. L’area di Bibi Eibat presso Baku era infatti caratterizzata dalla presenza di numerose torri di trivellazione in legno e di grandi depositi in lamiera molto sottile, circondati da vasti labirinti di tubature scoperte e prive di protezione in cemento. Dal lato della costa, un solo alto muraglione in semplice terra battuta proteggeva gli impianti che, tra l’altro, si trovavano parecchi metri sotto il livello del mare. In considerazione di quest’ultimo fatto, D’Albiac sperava che nel corso dell’attacco aereo qualche bomba ben piazzata potesse aprire una breccia nella diga di protezione, provocando l’allagamento di buona parte dei giacimenti.

Gli esperti del Bomber Command valutarono che in seguito ai danni apportati da un attacco di media precisione su Baku da effettuarsi con circa 500 ordigni esplosivi (general purpose) e perforanti da 112 e 224 chilogrammi e 6.000 spezzoni da 2/4 chilogrammi alla termite, ai sovietici (o ai tedeschi) sarebbero occorsi almeno nove mesi per ripristinare soltanto parte degli impianti e dei pozzi. Sempre per quanto concerneva le modalità di attacco, Berthoud aveva raccomandato ai vertici della RAF di colpire con bombe dirompenti accompagnate da spezzoni incendiari anche i punti di snodo degli oleodotti e i raccordi ferroviari: raccomandazione che D’Albiac condivise pienamente. Sempre dietro indicazioni fornite da Berthoud, D’Albiac prese in esame l’opportunità di devastare le residenze dei numerosi lavoratori russi impiegati nell’industria petrolifera. Le abitazioni degli operai di Baku e di Batumi avrebbero infatti ricoperto il settimo e l’ottavo posto nella graduatoria delle priorità. A questo proposito, lo stesso Churchill, pur giudicando questa opzione piuttosto discutibile sotto il profilo morale, diede il suo incondizionato consenso. Nella lunga lista degli obiettivi segnalati da Berthoud comparivano poi altri centri ubicati lungo la costa orientale del Mar Nero, in Transcaucasia nord-occidentale e in Georgia. Tra questi: le attrezzature portuali e i depositi di stoccaggio del porto di Poti, la raffineria di Tuapse e le stazioni ferroviarie situate lungo le linee Grozny-Armavir e Baku-Batumi. La RAF prese anche in esame il bombardamento dello scalo e della raffineria di Krasnovodsk, situati sulla riva orientale del Mare Caspio: un obiettivo irraggiungibile dai Bristol Blenheim, ma teoricamente alla portata dei più grossi bimotori a largo raggio Vickers Wellington Mk.II e Mk.III[3]. Per garantire un più completo ed articolato appoggio logistico all’operazione, le forze del genio britannico presenti in Iraq allestirono anche altri aeroporti a Qiyara e Ain Zalah, non tralasciando di utilizzare alcune basi ex francesi occupate in seguito all’invasione inglese della Siria[4].

Come si è detto, un’offensiva contro gli obiettivi sovietici avrebbe necessariamente comportato da parte britannica ripetute violazioni dello spazio aereo turco e iraniano. Già nella primavera del 1940, allorquando l’Operazione Pike venne abbozzata per la prima volta, questo argomento era stato esaminato con la massima cautela dal Primo Ministro sir Neville Chamberlain che temeva possibili, gravi ripercussioni, come ad esempio una rottura delle relazioni diplomatiche con la Turchia o addirittura un’entrata in guerra di questo paese a fianco della Germania. Ma nell’estate del 1941 la situazione appariva molto diversa rispetto all’anno precedente. Con l’Unione Sovietica sull’orlo del collasso militare Winston Churchill, Anthony Eden e i loro più stretti collaboratori non sembravano infatti dare la benché minima importanza all’integrità territoriale di due nazioni neutrali, ma sostanzialmente deboli, come appunto la Turchia o la Persia. Senza considerare che quest’ultima, proprio a causa dell’estrema arrendevolezza del proprio governo, si era già dichiarata disposta ad accettare da parte dei potenti vicini inglesi e russi, l’occupazione de facto di alcune sue regioni strategiche, come quelle di Abadan e Bushira (Golfo Arabico) e di Tabriz (Persia nord occidentale).

Ai primi di settembre del 1941, il Comando della RAF fece sapere a Churchill che anche i più vecchi bombardieri Wellington Mk.I sarebbero stati in grado di raggiungere – a condizione di percorrere una rotta diretta – tutti gli obiettivi, ad eccezione di Krasnovodsk. Anche se era da preferire senz’altro l’utilizzo dei più moderni ma meno numerosi modelli Mk.II e Mk.III, equipaggiati con propulsori più potenti ad affidabili e capaci di una maggiore autonomia operativa. Per quanto concerneva i bombardieri leggeri Blenheim Mk IV (dotati di un raggio di azione abbastanza modesto), il Comando RAF riferì che queste macchine avrebbero potuto raggiungere, in realtà, soltanto due centri: Baku e Batumi. In poche parole, per la quasi totalità dei bersagli (Tuapse, Poti, Groznji, Armavir e Majkop e, ovviamente, Krasnovodsk) sarebbe stato indispensabile l’impiego dei Wellington. Anche se, nell’eventualità di una rotta indiretta (espediente necessario per evitare la violazione dello spazio aereo turco), anche i Wellington decollati da Mosul non avrebbero potuto colpire alcuni importanti obiettivi, tra cui Tuapse e la linea ferrata Grozny-Armavir. Il Comando della RAF fece inoltre sapere a Churchill che, data la limitatissima autonomia dei caccia inglesi Spitfire Mk.VB, Hawker Hurricane Mk.IIA e Gloster Gladiator Mk.II, doveva essere esclusa a priori la possibilità di scortare i bombardieri impegnati nelle missioni programmate. Nonostante tutto, nell’estate del 1941, con l’entrata in servizio dei bimotori da caccia pesante Bristol Beaufighters Mk.IF, alcuni alti ufficiali prospettarono questa opportunità, seppure con scarsa convinzione.

Ciò che però Churchill non sapeva era che (almeno fino alla fine dell’estate del 1941) solo pochi esemplari Wellington Mk.III risultavano in realtà disponibili; senza considerare che le squadriglie montate su Blenheim Mk.IV già presenti sui campi palestinesi, giordani e iracheni non sarebbero state pronte che per l’inizio di ottobre. In buona sostanza, nonostante i lunghi preparativi e i ripetuti vertici, all’interno del Comando Supremo britannico sussisteva una situazione di singolare confusione ed approssimazione, determinata dall’altrettanto singolare scarso coordinamento esistente tra la Royal Air Force e gli alti gradi dell’esecutivo. Il 25 settembre 1941, D’Albiac buttò giù un rapporto in cui stimava che nel corso di un primo attacco contro la centrale elettrica “Stella Rossa” sarebbero state sufficienti appena 35 bombe perforanti da 500 libbre (circa 224 chilogrammi) dotate di spolette ritardate per renderla inutilizzabile. Mentre per gli impianti petroliferi di Baku una ventina di ordigni dirompenti da 250 libbre sarebbero bastati ad innescare una devastante serie di esplosioni a catena. Secondo la relazione, ciascun bombardiere Wellington e Blenheim avrebbe dovuto trasportare un carico composto da 2 a 6 bombe dirompenti e perforanti da 112 e 224 chilogrammi, più una certa percentuale di piccoli ordigni incendiari da 2/4 chilogrammi. Gli esperti della RAF ritenevano che con un totale di 943.000 libbre di bombe (pari a 427.738 chilogrammi di esplosivo e miscele incendiarie) tutti gli impianti e le raffinerie di Baku, Batum, Grozny e Tuapse sarebbero state rese inutilizzabili per mesi. Se la RAF fosse riuscita a dislocare entro tempi rapidi sugli aeroporti nord iracheni dell’area di Mosul un sufficiente numero di bombe, la prima fase dell’operazione sarebbe potuta scattare come previsto il 1° Ottobre 1941, mentre la seconda sarebbe incominciata il 1° aprile 1942. Per quella data, infatti, sarebbero state presenti in Iraq 5 squadriglie di Vickers Wellington, sei squadriglie di Bristol Blenheim, nove squadriglie di caccia a corto raggio Hurricane Mk.IIA e Curtiss P40 (di fabbricazione statunitense), una squadriglia di caccia pesanti a grande autonomia Bristol Beaufighter Mk.IF, due squadriglie di appoggio dell’esercito su bimotori Avro Anson e monomotori Westland Lysander  e due squadriglie di aerei da trasporto e supporto logistico Bristol Bombay.

Secondo i piani relativi alla prima offensiva, ogni squadriglia di bombardieri pesanti avrebbe dovuto compiere un totale di 90 missioni al mese per un periodo di almeno 90 giorni, mentre ciascuna squadriglia di bombardieri leggeri ne avrebbe compiute 150. Una media abbastanza improbabile da mantenere, sia in considerazione dell’esiguo quantitativo di velivoli da bombardamento disponibili (dai 150 ai 165), sia per il loro complessivo, scarso carico pagante, sia per le oggettive difficoltà insite nelle lunghe, pericolose ed incerte missioni che essi avrebbero dovuto affrontare. Il solo attraversamento della catena del Caucaso, le cui cime superano i 5.000 metri di altezza, o quella del Mar Caspio, e la pressoché assoluta impossibilità di appoggiarsi a campi intermedi di appoggio rendevano assai problematica la realizzazione dell’intera operazione. Senza considerare che, al fine di garantire una maggiore autonomia ai propri velivoli, il Comando della RAF ordinò anche lo smontaggio di quasi tutto il loro armamento difensivo.

Il 26 settembre, intanto, l’esercito tedesco era riuscito a conquistare Kiev, annientando un’intera armata sovietica. Due giorni dopo, Stalin, spaventato dalle proporzioni della disfatta subita in Ucraina, chiese a Londra di inviare immediatamente in Russia un contingente composto da almeno 25 divisioni. Secondo gli auspici del dittatore, l’armata sarebbe dovuta sbarcare a Murmansk o ad Arcangelo o raggiungere la Russia attraverso l’Iran. Ma nonostante la drammaticità di questo appello, Sir John Dill, capo dello Stato Maggiore generale imperiale, fu costretto a respingere questa richiesta di Stalin, non disponendo degli uomini e dei mezzi necessari. Dill comunicò al dittatore russo di essere però disposto a trattare l’invio nel Caucaso di un certo quantitativo di reggimenti dislocati in Iraq e di una forza aerea composta da diversi gruppi caccia montati su Gloster Gladiator, Hurricane, Curtiss P40 e Spitfire (tratti dalle basi situate a Cipro, in Egitto, Palestina e Giordania), più una forza da bombardamento composta da Bristol Blenheim e Wellington: proprio quella che, secondo i piani britannici, avrebbe dovuto scatenare l’attacco a Baku e a Batumi. Il 21 settembre 1941, Churchill, concordando con Dill, aveva autorizzato il generale Wavell ad iniziare a pianificare una nuova operazione (denominata ora ”Velvet”), consistente appunto nel trasferimento in Transcaucasia, attraverso il territorio persiano, di un contingente terrestre ed aereo britannico.

Il 1° ottobre, a Mosca, si apriva la conferenza per la messa a punto degli stanziamenti anglo-americani a favore dell’Unione Sovietica, ed appena cinque giorni dopo la Wehrmacht, dopo avere conquistato d’impeto Orel, Brjansk, Kaluga, Mariupol, Kalinin e Odessa, scatenava l’offensiva in direzione della capitale, costringendo Stalin a trasferire il proprio governo a Kujbysev (17 ottobre) e a nominare, due giorni dopo, il maresciallo Georgij Konstantinovic Zukov comandante della piazzaforte di Mosca. Più o meno nello stesso periodo, sul fronte sud, i tedeschi e gli italiani del CSIR occupavano Stalino, Kharkov e Kurks costringendo l’Armata Rossa a ritirarsi verso est e lasciando via libera all’avanzata delle divisioni corazzate tedesche su Rostov e la regione del basso Don (che cadranno in mano ai tedeschi il 22 novembre). I timori precedentemente espressi dagli strateghi britannici si stavano rivelando esatti. Le armate di Hitler erano infatti in procinto di avvicinarsi molto rapidamente alle pianure situate a nord ovest della catena del Caucaso.

In quei giorni l’ambasciatore inglese a Mosca, sir Stafford Cripps, informò Londra che da parte russa un’eventuale contropartita di petrolio e di macchinari pesanti non sarebbe mai stata barattata con la distruzione, da parte dell’aviazione inglese, dei pozzi e delle raffinerie del Caucaso, anche qualora le truppe tedesche vi si fossero avvicinate ulteriormente. Stalin, in realtà, non desiderava nemmeno la partecipazione di reparti speciali britannici per effettuare il sabotaggio dei pozzi più minacciati, come quelli di Majkop. Il dittatore pretendeva sì truppe inglesi, ma soltanto da scaraventare al fronte contro i tedeschi. In caso di emergenza ad incendiare i pozzi o a renderli inutilizzabili attraverso colate di cemento, ci avrebbero pensato i genieri dell’esercito sovietico.

Alla fine di ottobre, sul fronte centrale, le punte avanzate germaniche giunsero ad appena 50 chilometri da Mosca e per quanto tenace risultasse la resistenza russa, la caduta della città appariva giorno dopo giorno sempre più probabile. Per cercare di rincuorare Stalin, Churchill fece riferire al dittatore, tramite l’ambasciatore sovietico Maisky, che era in fase di avanzato allestimento uno speciale corpo motorizzato al quale sarebbe spettato il compito di raggiungere la Transcaucasia per dare man forte agli alleati sovietici. Ma Stalin si irritò molto dichiarando, non senza sarcasmo, di “non comprendere il perché della proposta inglese dal momento che in Ucraina e non nel Caucaso si stava combattendo la battaglia decisiva per bloccare l’avanzata tedesca”. Seccato per la risposta, Churchill se ne lamentò con l’ambasciatore sovietico, rammentandogli che nell’agosto del 1939 era stato Stalin e non il governo di Londra a siglare una “sporca” alleanza con la Germania, lasciando l’Inghilterra e la Francia sole ad affrontare il dilagare del nazismo in Europa.

Preoccupato dal disastroso andamento delle operazioni in Russia (il 2 dicembre, punte avanzate tedesche erano giunte a Klin, alla periferia di Mosca, venendo però respinte da un violento contrattacco sovietico), ai primi di novembre del 1941 Churchill ruppe gli indugi, annullando l’Operazione Velvet e assicurando a D’Albiac l’invio immediato dei bombardieri pesanti richiesti per l’attacco a Baku e a Batumi. Nel contempo, ordinò al successore di Archibald Wavell, il generale Claude Auchinleck, di completare con urgenza campi d’aviazione e i depositi necessari in Iraq settentrionale, provvedendo anche allo spostamento nell’area di Mosul di adeguati quantitativi di truppe, mezzi ed artiglierie contraeree a protezione dei campi di atterraggio. Secondo nuove direttive improntate ad una maggiore prudenza, i bombardieri a largo raggio avrebbero dovuto prima attaccare le colonne motorizzate tedesche in marcia verso i campi di Majkop e di Groznji e verso il porto di Tuapse. Soltanto in una seconda fase – e nel caso di un’ulteriore avanzata delle forze germaniche verso sud est – il generale Auchinleck avrebbe ordinato ai bombardieri di colpire e di distruggere gli impianti petroliferi transcaucasici. Nonostante le pressioni di Churchill, il War Office puntualizzò tuttavia che il Comando del Medio Oriente non avrebbe potuto dispiegare tutte le sue forze almeno fino al termine dell’offensiva scatenata il 18 novembre in Cirenaica (Africa Settentrionale) contro l’armata italo-tedesca del generale Erwin Rommel. Churchill decise di attendere gli esiti di quest’ultima manovra, raccomandando tuttavia il successivo spostamento di almeno due divisioni tratte dall’VIII Armata dall’Egitto all’Iraq settentrionale. Egli temeva un’imminente occupazione del Caucaso da parte dei tedeschi e, soprattutto, non si fidava delle capacità dei genieri russi che avrebbero dovuto sabotare i centri petroliferi prossimi a cadere nelle mani delle truppe di Hitler. D’altra parte, come ebbe modo di riferire al suo capo di stato maggiore, il generale sir Hastings Ismay (facente parte della missione inglese a Mosca): “i russi non ci tengono al corrente di nulla circa i loro piani e Stalin continua a manifestare nei nostri confronti una grande diffidenza”. Il 21 novembre, il Comando Supremo inglese riferì a Churchill di disapprovare l’eventuale trasferimento di divisioni inglesi nel Caucaso. E tutto ciò nonostante le proteste del generale Kennedy, allarmato dal “miope atteggiamento dei capi di Stato Maggiore”. “Anche due sole divisioni – purché adeguatamente sostenute dall’aviazione – sarebbero sufficienti a ritardare l’avanzata tedesca attraverso gli impervi valichi montani del Caucaso”, annotò sul suo diario Kennedy. Due settimane più tardi, sul fronte centrale, avvenne però il miracolo. Dopo essere riusciti, con la complicità dei rigori invernali, a bloccare la macchina bellica germanica scaraventandole addosso non meno di 15 divisioni fresche provenienti dalla Siberia, il maresciallo Zukov scacciò i tedeschi dalla regione di Mosca (12 dicembre), riconquistando Kalinin. Tra la fine di dicembre del ’41 e l’inizio di gennaio 1942, anche in Ucraina meridionale l’Armata Rossa riuscì anche a riconquistare vaste porzioni di territori, ribaltando a proprio vantaggio una situazione che soltanto fino a poche settimane prima sembrava disperata. Nel marzo del ’42, in seguito alla momentanea stabilizzazione del fronte russo e al notevole rafforzamento dell’Armata Sovietica, sostenuta ed abbondantemente rifornita dagli anglo-americani, l’Operazione Raspberry, già Operazione Pike venne definitivamente annullata.

FINE

BIBLIOGRAFIA:

Patrick R. Osborn, Operation Pike ,Britain Versus the Soviet Union, 1939-1941 Greenwood Press. Westport, Conn

Lucas James, Le Truppe da Montagna di Hitler, Hobby & Work Italiana Editrice, 1997, Milano-Bresso.

Von Ernsthausen A., Wende im Kaukasus, Vowinckel Verlag, 1958, Neckargemund.

Carrel Paul, Operazione Barbarossa – 21 giugno 1941/18 novembre 1942, primo volume, Edizioni BUR RCS Libri, 2000, Milano.

Konrad R., Kampf um den Kaukasus, Copress Verlag, Munchen, s.d.

Bertin Claude, Il conflitto russo-tedesco, Edizioni di Crémille, Ginevra, 1972.



[1] Dati tecnici Vickers Wellington Mk.I

Anno di costruzione: 1938

Propulsori: 2 Bristol Pegasus XVIII, radiali a 9 cilindri raffreddati ad aria da 1.000 HP (modello Mk.II: 2 Rolls Royce Merlin da 1.145 Hp; modello Mk.III: 2 Bristol Hercules da 1.375 Hp.)

Apertura alare: m. 26,26

Lunghezza: m. 19,68

Altezza: m. 5,31

Peso a decollo: Kg.12.910

Velocità massima: Km/h 378 a 4.700 metri di quota

Quota massima operativa: m. 5.500

Autonomia: Km. 1.930

Armamento: 6 mitragliatrici Lewis da 7,7 mm.; 2.000 Kg. di bombe

Equipaggio: 6 uomini

Dati tecnici Bristol Blenheim Mk.IV

Anno di costruzione: 1939

Propulsori: 2 Bristol Mercury XV, radiali a 9 cilindri raffreddati ad aria, da 920 Hp.

Aperura alare: m. 17,17

Lunghezza: m. 12,98

Altezza: m. 2,99

Peso massimo al decollo: Kg. 6.116

Velocità massima: Km/h 428 a 3.500 metri di quota

Quota massima operativa: m. 6.700

Autonomia: Km. 2.350

Armamento: 5 mitragliatrici Lewis da 7,7 mm.; 600 Kg. di bombe

Equipaggio: 3 uomini

[2] Il 30 aprile 1941, il leader nazionalista iracheno Rashid Alì, sostenuto dall’esercito nazionale composto da quattro divisioni, dà inizio alla sommossa antibritannica. Dopo avere obbligato il primo ministro filo-inglese Nuri Said Pasha a dare le dimissioni, Rashid Alì ordina ai suoi uomini di sigillare le lunghe condotte che collegano i campi petroliferi di Kirkuk al porto di Haifa e al Libano, e di circondare la base aerea inglese di Habbaniya. Nonostante il fulmineo avvio del Golden Square o “Blocco d’Oro” (il brillante nome in codice con cui Rashid aveva voluto battezzare la sua insurrezione), la manovra si rivela però intempestiva e male architettata. Innanzitutto, perché Rashid Alì non calcola la capacità di resistenza dei britannici e in secondo luogo perché le forze armate italo-tedesche ancora impegnate in Grecia non sono in grado di intervenire con la dovuta celerità in soccorso degli iracheni. Hitler e Mussolini, infatti, non potranno che inviare ai ribelli che qualche dozzina di consiglieri, meno di cinquanta aerei da trasporto e da combattimento e – tramite il compiacente governo francese di Vichy – qualche convoglio ferroviario carico di armi e munizioni proveniente dalla Siria.

[3] Distanza obiettivi contemplati dall’”Operazione Pike”:

Mosul-Batumi (volo diretto) Km.625 circa (cioè 1.250 andata ritorno)

Mosul-Suchumi (volo diretto) Km.820 circa, 1.640

Mosul-Soci (volo diretto) Km.940 circa, 1.880

Mosul-Tuapse (volo diretto) Km.975 circa, 1.950

Mosul-Baku (volo diretto) Km.750 circa, 1.500

Mosul-Groznji (volo diretto) Km. 850 circa, 1.700

Mosul-Kransnovodsk (volo diretto) Km.1.000 circa, 2.000

Mosul-Majkop (volo diretto) Km.1.200 circa, 2.400

[4] L’8 giugno 1941, dopo avere schiacciato in Irak la rivolta anti inglese di Rashid Alì, un’armata britannica agli ordini del generale Archibald Wavell, formata da quattro divisioni composte da soldati inglesi, australiani e indiani e da cinque battaglioni gollisti agli ordini del generale George Catroux, invadono la Siria, territorio rimasto fedele al governo di Vichy, difeso da circa 35.000 soldati agli ordini del governatore e generale Henry Dentz. L’attacco viene predisposto, dietro suggerimento del ministro degli esteri sir Antony Eden, da Londra per impedire ulteriori ed eventuali infiltrazioni italo-tedesche in Medio Oriente e per indurre il governo turco a continuare a mantenere un atteggiamento di neutralità

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